Credo che Emilio Alberti sia in fondo un giardiniere appassionato, instancabilmente
alle prese con le sue piantumazioni, potature, talee, innnesti...
Lente reiterazioni e istantanee intuizioni caratterizzano il concretizzarsi
dei suoi artefatti, come in ottemperanza alla necessità di controllo
della crescita e del configurarsi della forma di organismi vegetali
ma... non di piante o fiori si tratta anche se... scrivendo delle
sue opere mi piace rievocare l'immagine del "Giardino dei sentieri
che si biforcano" (argomentata da J.L.Borghes nell'omonimo scritto
del 1941) non tanto per la trama quanto piuttosto per l'idea del racconto/labirinto,
curioso elemento simbolico teso fra la cultura occidentale e quella
orientale, una sorta di giardino cinese/all'inglese caratterizzato
da un'intricata circonvoluzione di percorsi.
L'idea del labirinto è centrale nel pensiero di Alberti come in quella
di Borges e pervade tutta la sua produzione, anche dove non geometrizza
le superfici ma, appunto, in qualità di terreno fertile accoglie il
germinare e lo svilupparsi del pensiero in infinite sciarade, in declinazioni
ondivaghe in seno ad uno spazio improbabile quanto certo nella sua
evidenza fisica.
Ricordo di aver già osservato come Emilio Alberti, ceramista, operi
mescolando terra ed acqua in dosi calibrate, immerso nei propri pensieri,
prefigurando le forme, compiutamente modellate... toccando con mano
l’innocenza della materia, sperimentandone infinite trasfomazioni,
alla ricerca dell’impasto perfetto né troppo molle né troppo refrattario
a ricevere impronta… Ed ecco che, esaminando i dipinti, trovo ora
quell'impronta digitale impressa/ingigantita sulla superficie
di più di una tela... fatta di circonvoluzioni, trasformata in immagine
enigmatica che nel suo essere biologica nella metonimia identità/verità
mi ricorda le sinuosità dell'effigie del volto di Humbaba, celato
da sette veli, custode misterioso della foresta degli dei e ucciso
da Gilgamesh. L'epopea di questo eroe babilonese che sfida il divino,
prefigura l'avventura di Teseo e la foresta/giardino, luogo oscuramente
disorientante, prelude alla costruzione di Cnosso, con un comun denominatore
espresso dalla decisionalità eroica. Il labirinto si rivela dunque
luogo/logos delle verità e delle contraddizioni fra le quali si snoda
il percorso, un percorso fatto di scelte che il filo di Arianna guida.
Per Alberti, riprendendo il filo dell'impronta, è nel mesomorfismo
incerto del primo impasto che si colloca la natura elementare di ogni
opera compiuta... la cui materia accoglie il fondersi di grandi sogni
elementari, articolati in brevi racconti enigmatici, quasi haiku,
facendoci talvolta anche ironicamente perdere in un bicchier d’acqua.
Una porzione minima però, già intellegibile, di quell'acqua profonda,
carica di mistero, soglia degli abissi oceanici dell'inconscio. Ora
navigatori, ora naufraghi immersi nella vastità delle acque genitrici,
è li che sperimentiamo psichicamente l'ampiezza e la profondità del
mistero. Sono acque di luce ed oscurità come lo spazio che ci sovrasta
e ci contiene, ora rutilante nell'apparente nascere del giorno,
ora tetro e voragine divoratrice di luce e stelle.
Riflessioni e diffrazioni generati dall'acqua e dall'aria sono gli
elementi più osservati ed elaborati da Alberti. La loro oscillazione,
le metamorfosi cromatriche, gli istanti percettivi che nel flusso
del divenire ce ne rivelano la natura fisica e ne permeano l'interpretazione
simbolica, si ritrovano in ogni sua opera, espressi dai colori, rappresentati
da metafore e simboli compositivi: meridiane, pendoli, gnomoni, labirinti,
specchi d'acqua, onde e vortici... in un vero viaggio, anch'esso labirintico,
fra gli elementi.
Un viaggio, chiamato Tempo, la cui misteriosa natura sperimentiamo
ad ogni istante, quasi senza rendercerne conto, e che Alberti ci invita
a penetrare leggendo per immagini il dipanarsi del suo racconto, mentre
la certezza fisica delle opere già si dilegua così come nuvole incerte
nel cielo, trasportate dalla corrente nell'alveo del tempo all’estuario
di questo fiume inesistente dove l’acqua salsa rifluisce mescolandosi
a quella dolce, ai confini del mare della vita.
Michele Caldarelli, gennaio 2011
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