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IDROVOLANTI NELLA STORIA

dal libro "In volo sull'acqua"

di: Cesare Baj

ed. Editoriale s.r.l. 2004

(per gentile concessione dell'autore)

 

Presentare nei dettagli la nascita e lo sviluppo del volo sull’acqua richiederebbe un’opera della mole di una grossa enciclopedia. Qui si fa un modestissimo
e succinto excursus in questa interessante storia al fine di ricordare almeno
con il loro nome le persone che vi hanno avuto un ruolo preminente.

Lo scopo, da parte nostra, è di conferire un giusto tributo ai padri fondatori
della nostra disciplina e a coloro che, nell’ambito di essa, realizzarono importanti imprese come piloti, costruttori o esercenti.

La trattazione che segue si propone anche di offrire al lettore un memorandum
che gli consenta di riconoscere l’elementi di interesse idrovolantistico quando
sta assistendo a un programma storico in TV o quando, in una fiera o negozio,
sta scartabellando tra vecchie cartoline, libri e oggetti o quando giunge per caso
in luoghi lontani toccati in epoche passate da attività con idrovolanti. Il ricordare
il nome di un pilota o di un luogo può essere ciò che gli consente di reperire
preziose informazioni e di salvare dall’oblio documenti od oggetti di interesse idrovolantistico che altrimenti andrebbero perduti.

 

 

Navigare nell’acqua e nell’aria sono attività “cugine”, rese diverse dal solo fatto che l’aria è 800 volte meno densa dell’acqua. Questa differenza rende tuttavia più complesso il sostenersi e muoversi nel mezzo meno denso che in quello più denso. Infatti possiamo sostenerci nell’acqua con i modesti mezzi offerti dalla natura e muoverci in essa con la forza delle nostre braccia, mentre per sostenerci e muoverci nell’aria dobbiamo ricorrere a espedienti particolari e “innaturali”, quali l’impiego di motori, che riescano a esercitare forze centinaia di volte più intense di quelle generate dall’uomo o da un animale.

È così che agli esordi del XX secolo l’uomo giunge a compiere navigazioni raffinate con mezzi di enorme mole e complessità, frutto di millenni di esperienza e di evoluzione - le navi - quando ancora non riesce a fare stare in aria un trabiccolo poco più complesso di una motocicletta. Ed è così che mentre chi si dedica alla prima disciplina gode della massima considerazione, chi si dedica alla seconda è considerato, ancora ai nostri giorni, forse simpatico, certamente intelligente e coraggioso, ma un po’ pazzo.

Si deve dire che, raggiunto il primo risultato utile, lo sviluppo della nuova disciplina è prorompente, complice l’innata curiosità dell’uomo, l’intima soddisfazione di sentirsi epigoni di Prometeo e quell’istinto primordiale che impegna a fondo gli individui della nostra specie quando devono studiare un nuovo modo per sopraffare il proprio simile.

La similitudine dei due mezzi - aria e acqua - fà sì che terminologia e tecniche costruttive e di impiego dell’aereo siano mutuate dalle corrispondenti terminologia e tecniche in uso in marina. Dunque le prime macchine volanti non a caso sono indicate come “navi aeree”.

Dove la cuginanza tra nave e aereo è rimasta più marcata è nel settore del volo idro. Qui le macchine sono ibridi in grado di operare come navi e come aerei; veri capolavori di ingegneria, in quanto si tratta di mezzi atti a resistere a tutte le minacce di cui è prodigo sia l’ambiente acquatico sia quello aereo.

L’aviazione idro è anzi un tassello fondamentale nello sviluppo dell’aviazione in generale. Infatti i primi più seri esperimenti di aerodinamica sono compiuti con velivoli galleggianti privi di propulsore trainati da motoscafi. Perché questa combinazione? Semplice, perché gli specchi d’acqua offrono notevolissime estensioni sulle quali si ha tutto il tempo di sperimentare lievi progressive variazioni di parametri o configurazioni. Il traino di un mezzo aereo su terra non potrebbe durare che poche decine di secondi prima di incontrare qualche ostacolo e dover riprendere l’esperimento in direzione opposta o ritornare al punto di partenza.

I tentativi più riusciti in questo senso, dopo essere stati immaginati nel 1871 da Alphonse Pénaut, ideatore dell’aereo giocattolo planophore, sono quelli del francese Gabriel Voisin, nel 1905. Meno noti, ma non meno produttivi, sono i tentativi che nel 1907 Mario Calderara compie nel Golfo di La Spezia con il suo idroveleggiatore.

Lasciando agli storici dell’aviazione la discussione su chi sia riuscito a volare per primo (Orville Wright? Clément Ader? Weisskopf?) accenniamo qui al tentativo dell’austriaco Wilhelm Kress. Sul piccolo lago di Tullnerbach, vicino a Vienna, Kress, nell’ottobre del 1901, alla bella età di 68 anni, tenta il decollo sulla sua macchina volante dotata di galleggianti. L’idrovolante accelera, quasi esce dall’acqua quando un ostacolo si presenta davanti agli occhi dell’improvvisato pilota, che vira e cappotta, salvandosi a fatica a nuoto.

Nei sette anni successivi al primo volo dei Wright, con i cieli di almeno due continenti che si popolano di curiosi oggetti volanti, molti tentativi sono fatti per cercare di far decollare un aereo dall’acqua, per poi farvelo ritornare. La seconda parte del problema è facilmente risolvibile con i mezzi dell’epoca, ma la prima pone problemi insormontabili. Il fatto è che nessun motore disponibile offre la potenza necessaria per vincere la resistenza dell’acqua e “strappare” dalla superficie la macchina volante per farla innalzare nella lieve atmosfera. O - almeno - nessun motore che abbia un peso accettabile.

Perché mai l’idrovolante ha tutto questo fascino? La risposta è semplice ed è quella che assicurerà a questa macchina il suo successo: perché due terzi della superficie della Terra sono ricoperti d’acqua e perché uno specchio d’acqua, oltre a non costare nulla, è presente in o presso tutte le località notevoli del mondo abitato. Ciò vale in particolare nella fase iniziale della storia dell’aviazione, che si svolge in un mondo privo di aeroporti.

Mentre molte aziende e privati si scervellano su come risolvere il problema, il classico inventore solitario, che fa da sé all’insaputa di tutti, riesce nell’impresa. Si tratta dell’ingegnere francese Henri Fabre, giovane di buona famiglia, senza alcuna esperienza di volo, nemmeno sugli ormai relativamente evoluti aerei terrestri, che il 28 marzo 1910, alle ore 10:10, nello stagno di Berre (quello adiacente all’attuale aeroporto di Marsiglia), al largo di Martigues, compie il primo volo della storia sull’idrovolante da lui stesso costruito.

Ha la brillante intuizione di fare assistere all’impresa un cancelliere del tribunale, che descrive in un atto pubblico lo svolgimento delle operazioni e lo fa controfirmare a due testimoni. In assenza di quel documento sarebbe poi difficile per lo sconosciuto Fabre fare valere il suo primato, conteso da più agguerriti operatori nella stessa Francia e in altri continenti. Oltre al cancelliere, hanno assistito all’impresa i fratelli Laurent e Augustin Seguin, costruttori del motore Gnôme da 50 cavalli montato all’estremità posteriore della macchina. Fabre, nel pomeriggio dello stesso giorno, compie due altri voli e la mattina dopo un altro ancora, ammarando nel porto di Martigues.

L’idrovolante di Fabre è sostanzialmente una coppia di travi a cui è collegato il motore spingente, le ali e i più piccoli piani di governo, in posizione avanzata, in una configurazione che Fabre immediatamente chiama canard per la somiglianza del tutto a un’anatra in volo (nome che in seguito si applicherà a tutti i velivoli con piani di stabilizzazione e controllo avanzati rispetto alle ali). Dire che la macchina è spartana è un eufemismo. Il pilota siede direttamente sulla trave superiore, governa con un’asticciola i piani di governo anteriori e riesce a compiere timide virate inducendo una torsione differenziata alle due semiali. Per gli aspetti idro, l’idrovolante di Fabre è del tipo a galleggianti (due dietro e uno davanti). Dopo un incidente che porta alla distruzione della macchina, Fabre abbandona gli idrovolanti per dedicarsi alla fabbricazione dei soli galleggianti, che vende ad altri costruttori.

Intanto, a molte migliaia di chilometri di distanza, Glenn Curtiss, che ha dedicato parecchi anni della sua vita alla costruzione di un idrovolante, riesce finalmente a farlo volare il 26 gennaio 1911. Ritiene, in perfetta buona fede, di essere il primo pilota “idro” del mondo, fatto sancito in un atto che ha fatto redigere alla Corte di Appello di New York, ma non sa che dieci mesi prima Henri Fabre lo ha preceduto. La querelle va avanti per qualche tempo prima che gli americani, dopo accurate ricerche, ammettano che il primato appartiene al francese.

Il primo volo idro di Curtiss è spettacolare: decolla dalle acque dell’oceano, si posa presso la corazzata Pennsylvania, fa issare a bordo della stessa il suo idrovolante, lo fa posare di nuovo in acqua e ridecolla in direzione della costa.

Curtiss detiene un altro primato: è il primo ad aver costruito un idrovolante a scafo, ovvero la prima flying boat (sebbene i francesi si ostinino ad attribuire il primo volo di un idrovolante di questo tipo al loro concittadino François Denhaut). La flying boat di Curtiss vola per la prima volta il 10 gennaio 1912.

È curioso come Curtiss abbia deciso di dedicarsi alla costruzione di idrovolanti. Nel 1910 aveva vinto un premio di 10.000 $ per aver volato per 225 km, da Albany a New York, lungo il fiume Hudson. Durante il volo, dopo aver passato alcuni brutti momenti, aveva pensato quanto fosse desiderabile avere un aereo in grado di posarsi sulle acque del fiume in qualunque momento, in caso di panne.

Curtiss, grande perfezionatore dell’idrovolante, ha anche il merito di aver introdotto nella costruzione degli scafi il gradino, detto anche redan o, in inglese, step. L’idea era venuta alcuni decenni prima all’inglese Ramus. Pastore anglicano, Ramus aveva condotto negli anni Settanta del XIX secolo esperimenti che avevano messo in evidenza il vantaggio di dotare lo scafo di un gradino. Questo facilita enormemente il passaggio da una sostentazione idrostatica a una sostentazione idrodinamica. In parole povere il gradino, permettendo di estrarre dall’acqua la parte posteriore dello scafo e riducendo di colpo la resistenza idrodinamica, consente allo scafo di giungere agevolmente alla condizione della planata e quindi di procedere ad alta velocità sull’acqua, requisito indispensabile per consentire alle ali di un aereo di generare portanza (i primi idrovolanti decollano a velocità intorno ai 60 km/h). Il problema dei primi costruttori è di fare raggiungere alla macchina la velocità di sostentamento usando un motore non eccessivamente pesante. Il rapporto peso/potenza del motore è dunque il fattore limitante che ha ritardato la produzione dell’idrovolante rispetto all’aereo terrestre.

La storia del volo idro vive la successiva tappa fondamentale a Parigi, sulla Senna, ove sorgono le officine dei fratelli Gabriel e Charles Voisin, il primo dei quali è lo stesso degli esperimenti del 1905. Divenuto costruttore di aeroplani con le ruote, Gabriel applica a uno di essi quattro galleggianti costruiti da Fabre e realizza così il primo anfibio. Il 3 agosto 1911, alle ore 8:00, la macchina, del peso di 600 kg e dotata di motore Gnôme da 80 cavalli, decolla da Issy-les-Moulineaux e si posa sulle acque della Senna. Le sei sottili ruote penetrano nell’acqua senza creare problemi di stabilità. Dopo mezz’ora ridecolla e torna ad atterrare sul campo da cui era partita, rullando fin nell’hangar. Per curiosità, la piazza d’armi di Issy-les-Moulineaux era stata nel 1908 il campo di volo per il Flyer di Wilbur Wright.

Gli italiani non perdono tempo nella corsa alla realizzazione dell’aereo che decolla dall’acqua. Il primo volo di un idrovolante in Italia avviene il 5 novembre 1911, a La Spezia. A pilotarlo è il capitano del Genio Navale Alessandro Guidoni, che ha adattato due galleggianti a un Farman terrestre. Il primo volo di un idrovolante interamente italiano avviene, sempre a La Spezia, dopo un mese, nel dicembre 1911. Lo pilota Mario Calderara, che lo ha realizzato dopo aver fatto le già citate prove con un idroveleggiatore, nel 1907, e dopo aver soggiornato per qualche tempo a Parigi, nell’officina dei Voisin. Calderara ha un altro particolare primato: il brevetto di volo numero 1 nel nostro paese. Lo ha conseguito nel 1909, sul campo di Centocelle, in seguito al corso di sei ore che gli ha fatto Wilbur Wright, venuto dagli Stati Uniti per commercializzare la macchina costruita con il fratello Orville.

Nel 1912 vola un’altro idrovolante italiano, il primo a scafo centrale. Progettato da Crocco e Ricaldoni, è pilotato dal tenente di vascello Ginocchio, che dopo breve tempo progetta e costruisce un suo idrovolante a scafo.

Le alte gerarchie militari stentano a comprendere l’importanza dell’aviazione e non è fatto alcuno sforzo per svilupparla, se non quello di lasciare che ufficiali della Marina come Guidoni e Calderara si divertano con i loro “giocattoli” e di inviare alla scuola di Juan-les-Pin un gruppetto di ufficiali, composto da De Filippi, Scelsi, il già citato Ginocchio, Roberti di Castelvero e Garassini Garbarino. Il gruppo di italiani impara a pilotare l’idrovolante su macchine Paulhan-Curtiss e Borel.

Da chi ottengono i primi idrovolanti i piloti della Marina? Si immaginerebbe dalla Marina stessa o dal Ministero. Nulla di tutto ciò. Gli alti comandi non hanno fondi da stanziare per il più pesante dell’aria e si ostinano a destinare le limitate risorse al dirigibile. Interviene dunque l’Aero Club d’Italia, che, all’insegna dello slogan “Date ali alla Patria”, lancia una sottoscrizione che frutta la ragguardevole somma di tre milioni e mezzo. Essa consente l’acquisto di quattro idrovolanti francesi, assegnati subito alla piazzaforte marittima di Venezia, ove sono trasferiti anche gli idrovolanti sperimentali di Guidoni e Calderara e dove viene formato il primo nucleo organizzato di idrovolanti.

Guidoni progetta la prima nave portaidrovolanti, ma l’avveniristica idea non è capita dagli alti comandi, che vedranno dopo non molto tempo il progetto realizzato dagli inglesi, che adattano al nuovo impiego l’incrociatore Hermes. La musica cambia quando il viceammiraglio Paolo Thaon de Revel, forte sostenitore di un’aviazione di Marina, assume la carica di Capo di Stato Maggiore. I fondi scarseggiano sempre, ma infine vengono trovati per adattare l’incrociatore Elba quale portaidrovolanti, poi sostituito dal piroscafo Europa, che risulterà pronto per l’uso nei primi mesi della Grande Guerra.

Ritorniamo ora al panorama più generale. Nei pochi anni successivi ai voli di Fabre e di Curtiss sono prodotti idrovolanti, oltre che in Italia, in tutte le nazioni dell’Occidente. In Europa sono immediatamente organizzati gare e raduni specifici per questo tipo di aerei.

La prima coppa è messa in palio dal conte Caravadossy d’Aspremont. La gara si tiene sulle acque di Juan-les-Pins il 2 e 3 marzo 1912 ed è vinta da Louis Paulhan su idrovolante Paulhan-Curtiss.

Le gare più celebri sono quelle di Monaco. La prima è del marzo 1912, vinta dai fratelli Henri e Maurice Farman. Il secondo meeting, nell’aprile 1913, fa registrare un trionfo completo dei francesi, che vincono tutte le prove. Tutti gli idrovolanti montano galleggianti costruiti da Henri Fabre. Vincitore assoluto è Louis Breguet, sul suo idrovolante monogalleggiante. Nell’aprile 1914 si tiene il terzo meeting, denominato “Rally aereo di Monaco”, che comporta lunghi trasferimenti dei partecipanti in tutto il continente europeo e nel Mediterraneo nordoccidentale. Trionfano ancora i francesi (18 idrovolanti), soprattutto con Roland Garros, sui soli avversari tedeschi (7 idrovolanti).

Alla fine dell’agosto 1912 si tiene un raduno e concorso di idrovolanti in Bretagna, a St.-Malo, che prevede una prova di volo andata-ritorno fino all’isola di Jersey, con ammaraggio e sosta obbligatoria nell’isola del Canale.

Il raduno successivo è organizzato dal 7 al 16 settembre dall’Aéro Club du Belgique, a Tamise, sulla Schelda, con prove particolarmente studiate per permettere ai militari di scegliere l’idrovolante ideale da acquistare per le operazioni sul fiume Congo, nell’omonima colonia belga.

Intanto, nelle prime settimane di settembre è organizzata in Germania, a Heiligendam, una gara non pubblicizzata a cui partecipano per regolamento solo idrovolanti tedeschi.

Piloti, costruttori, importatori, appassionati civili ed esperti militari creano in tutto il mondo occasioni di volo per i primi idrovolanti. Curtiss vende le sue macchine in molti paesi europei, in Russia, in Giappone. Con quegli aerei Louis Paulhan ha fondato la citata scuola di volo a Juan-les-Pins.

In Svizzera i primissimi idrovolanti volano a Lucerna, sul Lago dei Quattro Cantoni, sul Lago di Ginevra e di Neuchâtel.

In Gran Bretagna l’aviazione idro nasce nel 1912, soprattutto grazie agli sforzi di Charles Wakefield, il cui Water Hen vola quasi ogni giorno del 1912, fatto che per quell’epoca può essere considerato un primato. Nel 1913 Thomas Sopwith progetta la sua Bat Boat, il cui scafo in legno è realizzato e magnificamente finito dall’esperto costruttore di barche Sam Sounders, di Cowes. Questo idrovolante a scafo, il primo costruito in Europa, rappresenta anche il primo anfibio del mondo effettivamente usabile. È impiegato dai militari per esperimenti di lancio di bombe, per simulare le quali il sottotenente J.L. Travers usa patate, che ha portato a bordo, in un sacchetto.

Nell’agosto 1913 è indetta la corsa per idrovolanti Parigi-Dauville, nel corso della quale gli aerei devono seguire esattamente tutti i meandri della Senna.

All’inizio di ottobre, i principali piloti di idrovolante europei si incontrano a Como, per partecipare al “Gran circuito dei laghi”, evento descritto nel libro Ali sul Lario. La competizione è vinta da Roland Garros, anche a seguito di alcune torbide manovre volte all’esclusione dalle gare del tedesco Hirth.

Nel 1913 sono organizzate altre gare di idrovolanti in Russia, in Spagna e in Svizzera. Il giornale Daily Mail organizza un Giro d’Inghilterra, ma impone un regolamento talmente esigente che nessuno riesce a completare il percorso.

Nel frattempo Jacques Schneider ha istituito la celebre competizione che porta il suo nome, una gara di velocità pura, su un percorso di 150 km. La prima edizione si tiene a Monaco nel 1913 ed è vinta dal francese Maurice Prévost su idrovolante Deperdussin, che tiene la media di 72,836 km/h.

L’anno successivo, in aprile, la coppa passa agli inglesi.

In America si dedicano alla costruzione di idrovolanti, oltre al citato Curtiss, anche i fratelli Wright, Thomas Benoist e Glen Martin.

Nel 1913, nasce il primo servizio di trasporto commerciale con idrovolanti, che si svolge tra St. Petersburg e Tampa con aerei Benoist. L’unico passeggero trasportato compie, per 5 dollari, i 32 km del percorso in 20 minuti invece che nelle due ore che sono necessarie in auto.

Sempre nel 1914 l’inglese Lord Northcliff, proprietario di molti dei principali quotidiani inglesi e grande sostenitore dell’aviazione, offre un premio di 50.000 sterline al primo che riesca ad attraversare l’Atlantico in aereo. Rodman Wanamaker, rampollo di una ricca famiglia americana, raccoglie la sfida e commissiona a Curtiss la costruzione di un aereo che sia in grado di vincere il premio. Il risultato di questo sforzo, a cui ha partecipato anche l’esperto pilota inglese John Porte, è l’idrovolante America, che tuttavia non compirà mai l’impresa a causa dello scoppio della guerra mondiale.

All’inizio della Grande Guerra pochi si rendono conto dell’importanza di possedere un’aviazione, se non per generiche funzioni di osservazione. Pochi ma decisi “visionari”, in varie nazioni, avevano invece previsto esattamente tutte le potenzialità dell’aereo e dell’idrovolante. Ricerche sull’impiego di idrovolanti per lanciare siluri verso navi nemiche sono compiute in Italia, da Alessandro Guidoni, nel 1911, e in Inghilterra, nel 1913. L’Italia usa l’aereo in Libia per i primi bombardamenti aerei della storia, nell’ottobre 1911, all’inizio della guerra italo-turca, mentre l’impero austroungarico schiera i primi idrovolanti nel 1913, nel corso della guerra dei Balcani.

Nel 1914 Alessandro Guidoni cura all’arsenale di Venezia la costruzione del primo aerosilurante, inventato dal marchese Raul Pateras-Pescara. L’idrovolante è curiosissimo: ha due galleggianti dotati di alette idrodinanimiche, due motori da 200 cavalli con eliche contrapposte affacciate nella parte centrale della fusoliera; ha un peso massimo al decollo di 3200 kg e ben 1200 kg di carico utile. Il Pateras-Pescara, pilotato da Guidoni, lancia da un aereo il primo siluro della storia.

Un aereo di notevole successo di quest’epoca è il biposto austriaco Lohner, usato per osservazione e bombardamento, in grado anche di lanciare bombe di profondità antisommergibile e dotato di faro di ricerca e mitragliatrice in prua. L’aereo è tanto ben progettato e prestante che gli italiani, dopo averne catturato uno intatto subito dopo lo scoppio delle ostilità, nella laguna di Grado, in soli 34 giorni completano la costruzione della sua prima copia, che sarà seguita da altri 138 esemplari. Il Lohner italiano, costruito dalla Macchi, è anzi superiore all’originale, avendo motore più potente.

Due Lohner austriaci sono protagonisti di un’impresa storica: il 15 settembre 1916 affondano nell’Adriatico il sottomarino francese Focault. Dopo aver compiuto la prima azione di questo genere della storia, i piloti ammarano e portano cavallerescamente in salvo i naufraghi.

Le necessità belliche danno un inevitabile spinta alla costruzione di idrovolanti di ogni tipo e destinati a vari tipi di missione. In Italia se ne producono molti sia su progetto italiano sia su licenza. I Macchi M5 e successivi sono idrovolanti a scafo tra i più prestanti prodotti dall’industria aeronautica nazionale. L’idrovolante più usato dagli italiani nel corso del conflitto è tuttavia l’FBA, costruito su licenza in quasi 1000 esemplari. La guerra produce migliaia di piloti idro e l’allestimento di molte basi e infrastrutture a terra.

In Inghilterra lo sviluppo di idrovolanti si ha soprattutto a Felixstowe, ad opera del John Porte, lo stesso che aveva collaborato alla produzione dell’America di Curtiss. Nasce lo scafo a gradino multiplo e con forma a “V”, per reggere bene il mare. Gli idrovolanti della serie “F” compiranno moltissime importanti missioni contro sommergibili e dirigibili. Porte inventa il primo “composito”, aereo doppio comprendente un grande idrovolante triplano che porta un piccolo caccia; questo viene liberato nella zona delle operazioni, per compiere la sua difficile missione di abbattere gli Zeppelin.

I piloti di Felixstowe diventano noti per le loro geniali invenzioni. C’è nebbia? Il mare è a specchio? Si vola lo stesso; un’asticella di legno è applicata alla cloche e sporge dalla chiglia, così che quando tocca l’acqua spinge la cloche all’indietro, “invitando” il pilota a completare la richiamata.

Anche la Short incomincia a produrre idrovolanti, che parteciperanno a importanti operazioni.

Le esigenze belliche fanno nascere l’aviazione imbarcata. Gli aerei sono perlopiù idrovolanti, che sono calati in mare e issati a bordo al termine della missione, se il mare consente l’ammaraggio. Gli aerei imbarcati su unità italiane tra il 1913 e il 1918 sono il Curtiss 1912, la Curtiss Flying Boat, il Lohner L1, il Macchi L2, l’FBA, il Macchi M5 e l’Ansaldo SVAI.

Altra soluzione, destinata ad avere un grande futuro, è la catapulta. Fin dal 1912, quando uno Short S 38 è catapultato dalla nave Hibernia, tutte le marine militari lavorano per dotare le navi di aerei che possano essere mandati in volo senza dove decollare dalla superficie del mare. Nei ristretti teatri bellici dell’Adriatico e o del Mare del Nord l’idrovolante, al termine della missione, può dirigere verso un territorio amico, se le condizioni del mare presso la nave non consento l’ammaraggio.

La fine della guerra rende riciclabili per usi civili migliaia di aerei e piloti, ma l’avvio di attività di trasporto, pur rispondendo a una generale aspettativa, è meno facile di quanto si possa prevedere. Ciò è anche dovuto alla condizione delle industrie aeronautiche dei maggiori paesi, che devono affrontare il difficile compito di fare progredire l’aviazione a fronte di un drastico calo delle commesse di aeroplani.

L’attenzione nel dopoguerra si rivolge subito ai grandi progetti che erano stati bloccati dagli eventi nel 1914. Il primo è l’attraversamento dell’Atlantico. La conquista di questo oceano è compiuta nel maggio 1919 dal capitano Albert Read, via Azzorre, Lisbona, Plymouth, con l’idrovolante Navy-Curtiss NC-4. Il tragitto di 7573 km è percorso in 57 ore 16 minuti. All’arrivo, a Plymouth, i trasvolatori sono fatti approdare e ricevuti esattamente nel punto in cui tre secoli prima erano partiti per il Nuovo Mondo i Padri Pellegrini.

Sarebbe arduo affrontare in queste pagine una descrizione dettagliata dell’“esplosione” dell’aviazione civile e militare idro negli anni Venti e Trenta. Ci concentreremo dunque sulle sole imprese e realizzazioni più importanti.

Nel 1919 i francesi Lefranc e Monteley, su idrovolanti Donnet-Dehaut, compiono spedizioni di esplorazione del fiume Senegal e di altri fiumi africani.

L’Atlantico è più facile sotto l’equatore che sopra di esso, per il clima più clemente. A compiere per primi l’impresa, dall’Europa al Brasile, sono, nella primavera del 1922, Gago Coutinho e Arturo de Sacadura Cabral, con un idrovolante inglese Fairey, battezzato Lusitania. La rotta è da Lisbona alle Canarie, poi a Capo Verde, per lanciarsi nell’Atlantico. L’idea è di compiere la traversata da San Vincenzo, una delle isole dell’arcipelago di Capo Verde, a Pernambuco, in Brasile. Dopo un infruttuoso tentativo di decollare troppo carichi, i piloti si alleggeriscono di benzina e decidono di conseguenza di fermarsi in un punto intermedio. Sull’Atlantico del Sud ce ne sono due: l’isolotto di San Paolo e l’isola di Fernando de Noronha. L’equipaggio fa sosta sull’isolotto, dove l’equipaggio compie un buon ammaraggio, ma la tempesta che giunge di lì a poco distrugge l’idrovolante. Trasferiti in nave a Fernando de Noronha, i piloti ricevono in pochi giorni dal Portogallo un aereo identico al Lusitania e riprendono la traversata, in direzione di Pernambuco, non senza essere ritornati a sorvolare l’isolotto di San Paolo, per dare una continuità al loro viaggio. Il motore però pianta a 300 km dalla costa. I due piloti sono salvati da una nave britannica, mentre l’idrovolante cola a picco. Dopo essersi fatti lasciare di nuovo a Fernando de Norunha, i due si fanno inviare un terzo Fairey dal Portogallo, con il quale completano il loro viaggio, ormai durato due mesi e mezzo. Dopo avere dato una dimostrazione di vera “caparbietà idrovolantistica” terminano il viaggio e sono accolti trionfalmente al loro arrivo a Rio de Janeiro.

In Italia, nel gennaio 1921, la Caproni vara nelle acque del Lago Maggiore, per il collaudo, il gigantesco noviplano C 60, inteso per il trasporto di 100 passeggeri attraverso l’Atlantico. L’aereo si danneggia però irrimediabilmente per un indesiderato spostamento della zavorra e il progetto viene abbandonato, rimanendo una delle più curiose realizzazioni della storia dell’aviazione.

In tutto il mondo sono compiuti esperimenti e trasvolate atti a dimostrare le potenzialità commerciali dell’idrovolante. Nel 1919 un F-5 compie un viaggio di 4000 km, con partenza da Felixstowe, che lo porterà in tutti i paesi scandinavi, senza alcun inconveniente. Nello stesso anno è inaugurata una linea, con idrovolanti a scafo Supermarine Channell, da Southampton a Le Havre. Il pilota e i tre passeggeri paganti devono penare non poco per riuscire a decollare sul piccolo aereo con 160 cavalli, tanto che si riporta che un passeggero ha ironicamente suggerito che su brevi tratte è più pratico che l’aereo proceda in flottaggio per l’intero viaggio. Nel mondo degli idrovolanti capita tuttavia che una piccola modifica faccia di una macchina critica un gioiello. Quando il Channell è rimotorizzato con motore da 240 cavalli, diventa tanto prestante da trovare impiego per molti anni a venire nell’isola di Bermuda, nella Guiana Britannica, in Cile, Giappone, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia e Trinidad. Un esemplare è usato per esplorare l’Orinoco.

Nel 1922 l’americano Walter Hinton, uno dei piloti dell’NC-4 della prima trasvolata atlantica, organizza un volo da Pensacola a Rio de Janeiro, mai tentato in precedenza. Dopo essersi fatto finanziare l’impresa dal quotidiano The New York World, noto per il suo sostegno all’aviazione, parte su un Navy-Curtiss H-16 battezzato Sampaio Correia. A bordo porta il copilota, il brasiliano Pinto Martins, il meccanico, un giornalista e un fotografo.

Tra le tante avventure vissute, quella che porta alla perdita dell’aereo. In forte ritardo, Hinton giunge al largo di Cuba ormai al buio di una notte senza luna e decide il dirottamento sulla base navale americana di Guantanamo. Raggiunta quella che ritiene essere la punta orientale dell’isola, segnalata da una luce, imposta la discesa pensando di essere nella baia, ma la luce è quella della USS Danver e l’aereo ammara non nella baia protetta, ma sulle onde dell’oceano, squartandosi. Dai ponti della Danver molti hanno visto le luci del Sampaio Correia che finiva in acqua, ma l’ultima cosa che possono pensare è che possa trattarsi di un aereo e ritengono infatti che si sia trattato di una stella cadente. Il comandante ha però un ripensamento, ricordandosi di avere letto, qualche tempo prima, un articolo sul viaggio progettato da Hinton. Ferma la nave e scandaglia la superficie del mare con i potenti fari di bordo. I naufraghi sono letteralmente strappati dalle fauci degli squali che stanno accorrendo in gran numero e li stanno assalendo. Il viaggio è poi portato a termine con un Sampaio Correia II, che viene messo a disposizione dalla Marina degli Stati Uniti. Il periplo delle coste dell’America centrale e del Brasile si svolge in modo avventuroso. Capita che l’aereo alla fonda in un porto si salvi miracolosamente dall’incendio della nave ormeggiata nelle vicinanze, oppure che finisca incagliato in un groviglio di alberi, radici e liane in un fiume della Guiana francese; per liberarsi l’equipaggio deve lavorare con sega e machete per un giorno intero. Avventure di questo genere si consumano ogni giorno nei primi decenni di storia dell’aviazione e offrono di questa attività e di questi piloti un’immagine mitica.

Nel 1924 MacIntyre e Globe compiono con un Fairey III D il giro dell’Australia. Questo viaggio dà una bella dimostrazione delle possibilità dell’idrovolante, esattamente come farà un anno dopo, lungo le stesse coste, de Pinedo. I due piloti australiani partono infatti “alla ventura”, senza prevedere alcuna delle soste. Si fermano in prossimità di villaggi costieri, dove si procurano la benzina e di che vivere e ripararsi. Percorrono 18.000 km in 44 giorni, affrontando il buio, violenti acquazzoni tropicali e arditi ammaraggi presso le barriere coralline. Nel corso dell’intero viaggio tirano in secca l’aereo solo tre volte, a riprova della robusta costruzione e affidabilità di quelle macchine.

Sempre nel 1924 si compie un’altra grande impresa: il giro del mondo. Protagonisti sono quattro Duglas World Cruiser, aerei usati perlopiù come idrovolanti e, in alcune parti del percorso come aerei terrestri. Il viaggio di 44.342 km è terminato solo da due aerei: il Chicago di Lowell Smith e Leslie Arnold e il New Orleans di Erik Nelson e John Harding. Sul manuale dell’aereo si può leggere la dotazione di attrezzi ritenuta utile per affrontare questo volo: “martello, pinze, cacciavite, chiave inglese, torcia elettrica”. Il viaggio è stato “regolato” per fare passare gli allora tre Cruiser sui Champs Elysées durante la parata del 14 luglio.

Gli aviatori americani, a Reykjavik, incontrano l’italiano Antonio Locatelli, che con un Dornier Wal sta tentando la traversata dell’Atlantico del Nord. Decollano insieme diretti a Terranova. Locatelli, a 1500 km dall’Islanda, si trova a volare in condizioni impossibili e, per evitare il peggio, ammara sulle onde dell’oceano in tempesta. Perso l’aereo, verrà raccolto dalla nave di soccorso Richmond. Per la cronaca, gli aviatori americani dirottano e riescono a raggiungere felicemente la Groenlandia.

Non c’è zona della terra che sia esente dalla smania di conquista degli aviatori. Se la meta è lontana e fuori dal “mondo civile” la scelta del mezzo non può che cadere su un idrovolante. Roald Amundsen, sempre nel 1924, un anno densissimo di avvenimenti di interesse aviatorio, usa due Dornier Wal, progettati in Germania ma costruiti in Italia, per lanciarsi verso il Polo nord. L’impresa è finanziata dal magnate americano Ellsworth, il cui figlio Lincoln è presente su uno degli aerei.

I due Wal sono specialmente attrezzati per il freddo polare. Ogni tubo è catramato e intelato, mentre l’acqua di raffreddamento è addizionata per il 40% da glicerina, che ne porta il punto di congelamento a -17 °C. Prima dell’avviamento i motori sono portati da - 10 a +35 °C grazie a un sistema di riscaldamento catalitico “senza fiamma”, che evita il rischio di incendio.

A 250 km dal Polo gli idrovolanti atterrano con i loro scafi sulla banchisa, che si rivela più accidentata del previsto. Uno si danneggia e viene abbandonato. La sosta dura un mese e porta gli equipaggi alla fame. Dopo aver riempito di ghiaccio i crepacci e spianato una striscia di lunghezza sufficiente,
l’N-25 viene fortunosamente fatto decollare e procede verso sud alla quota di 100 m, nella nebbia. In quasi 9 ore di volo e di navigazione stimata, condotta dai piloti in cabina aperta, l’idrovolante giunge al Capo Nord della Terra di Nordest, nell’arcipelago delle Spitzberg, e ammara in acque libere.

L’N-25 usato da Amundsen sarà usato nel 1930 dal tedesco Wolfgang von Gronau per la traversata dell’Atlantico del Nord, che lo porta dalla Germania a New York in sole 44 ore 25 minuti. Il tedesco compirà una seconda traversata, sempre con un Wal, nel 1931.

Nel 1928 si consuma la tragedia del dirigibile Italia di Umberto Nobile e un grande sforzo internazionale è organizzato per condurre le ricerche. Gli idrovolanti di molte nazioni vi partecipano. Uno di questi è l’idrovolante francese Latham-47, che si porta sulla zona delle operazioni dopo aver imbarcato Roald Amundsen in Norvegia. Decollato da Tromsö, l’aereo svanisce nel nulla, con il suo equipaggio e il grande esploratore. I naufraghi del dirigibile sono infine trovati da Umberto Maddalena, ai comandi di un Savoia S 55.

Nel 1924 hanno inizio in Italia le operazioni della SISA, la prima linea aerea italiana fondata dalla famiglia Cosulich, con base a Portorose e Trieste, operante esclusivamente con idrovolanti. Collega Torino con Pavia, Venezia, Trie-ste e Portorose, lungo una rotta che segue il Po e poi la costa veneta. Altre linee della SISA collegheranno in seguito le più importanti città dell’Adriatico, tra cui Ancona e Zara.

Negli suoi anni di vita la SISA fa registrare un’incredibilmente alta percentuale di servizio svolto, a riprova della grande sicurezza offerta da idrovolanti che volano su acqua e che si trovano sempre in condizione di effettuare un ammaraggio di emergenza.

Nel 1925 si svolge l’importante impresa di Francesco de Pinedo, un raid di 55.000 km, il più lungo compiuto fino a quel momento, che porta il valente pilota e navigatore italiano, accompagnato dal meccanico Ernesto Campanelli, fino in Australia e in Giappone, senza beneficiare di alcun particolare appoggio logistico. Una breve descrizione del viaggio è riportata nel capitolo “In onore di Francesco de Pinedo”.

Nello stesso anno il capitano John Rodgers decolla da San Francisco con un PN9 verso le Hawaii. A 500 km dalle isole finisce la benzina e dopo una difficile navigazione di 9 giorni condotta grazie a vele improvvisate raggiunge l’arcipelago. Infine è avvistato e aiutato da un sottomarino americano, ma ormai è arrivato, trovandosi a una ventina di chilometri dall’isola di Kauai.

Nel 1926 Ramon Franco, fratello del futuro Caudillo, attraversa l’Atlantico del sud in un raid da Palos a Montevideo, con il Dornier Wal battezzato Plus Ultra. La località di partenza è volutamente quella da cui partirono le caravelle di Colombo.

Nel 1926 Sir Alan Cobham, accompagnato dal meccanico-pilota Elliot, compie con un piccolo idrovolante a galleggianti, il De Havilland DH 50, un raid di 43.000 km Londra-Melbourne-Londra, per studiare la possibilità di una futura linea commerciale. Decollato da Bagdad, Cobham è colto da una tempesta di sabbia e ammara precauzionalmente nell’Eufrate. Ridecollato, sorvola territori abitati da tribù arabe ribelli. L’aereo è bersagliato da colpi di fucile, uno dei quali colpisce mortalmente Elliot. Questo raid dimostra, oltre alla pericolosità di muoversi in certe parti del mondo, l’alta affidabilità che ormai hanno raggiunto i motori aeronautici. In Australia, infatti, il motore è revisionato per il volo di ritorno, ma viene rimontato senza sostituzione di pezzi.

Sempre nel 1926 gli argentini Bernardo Duggan ed Edoardo Olivero, dopo aver assoldato il meccanico italiano Ernesto Campanelli, organizzano un raid da New York a Buenos Aires con un Savoia Marchetti S59.

La febbre che coglie i piloti di idrovolanti nel 1926 non si placa. Il tenente di vascello francese Bernard va e torna da Parigi al Madagascar con un Lioré et Olivier LeO H 194. Lo svizzero Walter Mittelholzer vola da Zurigo a Città del Capo con un Dornier Do.B battezzato Switzerland, dotato di un radiatore supplementare per affrontare i caldi africani. Ad Assuan ammara sul Nilo insieme all’idrovolante di Bernard, di ritorno dal Madagascar. Fanno parte dell’equipaggio lo scrittore René Gouzy e il geologo e fotografo Arnold Heim, che realizza il primo reportage fotografico aereo in Africa.

Lo spagnolo Ignacio Jimenez, con i suoi colleghi, i fratelli Llorente, conduce tre Dornier Wal da Melilla a Fernando Poo, nell’Africa equatoriale.

Il maggiore Dargue, della US Army, organizza un lungo raid di 30.000 km in tutto il Sudamerica con 5 Loening OA 1A, anfibi a galleggiante unico, i primi a essere dotati di carrello comandato elettricamente. All’arrivo in formazione stretta nei cieli di Buenos Aires, due aerei si urtano e precipitano; uno solo degli equipaggi si salva saltando con il paracadute.

Nel 1927 il già citato Alan Cobham del raid a Melbourne e Sir Charles Wakefield partono per un viaggio di esplorazione in Africa di 32.000 km con uno Short Singapore I, capostipite degli idrovolanti metallici, e quasi naufragano nel Mediterraneo, presso Malta, a causa di una tempesta.

In Europa Umberto Maddalena, con Del Prete, compie con un Savoia S 62 un viaggio di oltre 7000 km nell’Europa centrorientale.

L’Atlantico torna a far parlare di sé, quale teatro della prima traversata notturna. La compiono il pilota Sarmento de Beires e il navigatore Jorge de Caltilho con un Dornier Wal costruito a Marina di Pisa. La tappa di 2595 km tra Bolama, in Guinea, e Fernando de Noronha, è compiuta in 18 ore usando esclusivamente metodi di navigazione astronomica. Jorge de Castilho, nel tragitto, compie 158 osservazioni con il sestante, una ogni 7 minuti, per controllare la regolarità della navigazione.

Il 1927 è anche l’anno del viaggio di Francesco de Pinedo nelle Americhe, il primo che prevede l’andata attraverso il Sud-Atlantico e il ritorno attraverso il Nord-Atlantico. Tornato dal viaggio in Australia e Giappone, de Pinedo aveva progettato un complesso viaggio in tutti i continenti di 120.000 km, ma ha poi dovuto ripiegare sul più “modesto” viaggio nelle Americhe.

Alla partenza si registra un fatto curioso, relativamente all’eterno problema che ogni pilota di idrovolante deve affrontare prima di un viaggio: il carico. Temendo di non riuscire a salire sul redan e quindi a decollare con il suo Savoia S 55 Santa Maria, de Pinedo offre agli operai e ai tecnici un premio per ogni chilo guadagnato alleggerendo l’aereo.

Tra i molti strumenti di navigazione, a bordo è anche presente un grafometro, da usare per determinare la deriva, grazie all’osservazione di candelotti fumogeni lasciati cadere in mare.

Dopo essere giunto negli Stati Uniti e ammarato alla Roosevelt Dam, in Arkansas, de Pinedo vede il suo idrovolante bruciare in pochi minuti, per la sbadataggine di un giovane inserviente, che ha gettato un mozzicone di sigaretta vicino al punto in cui si sta svolgendo il rifornimento. Un Santa Maria II è immediatamente inviato via nave, in modo che l’aviatore italiano possa terminare il suo viaggio.

Nella traversata di ritorno, il vento avverso determina un forte ritardo e de Pinedo si rende conto di non poter raggiungere le Azzorre. Effettua allora un ammaraggio precauzionale 300 km a ovest dell’arcipelago, presso un veliero. Questo, rilevato in seguito da una seconda nave, e poi una nave italiana inviata in soccorso, trainano l’idrovolante a doppio scafo a Horta, ove vengono riparate le poche parti danneggiate durante i vari giorni di traino. Il viaggio di 45.000 km prosegue per Lisbona e Barcellona e si conclude a Ostia, ove il trasvolatore è accolto da un’immensa folla e dal capo del governo.

Torniamo ora sulla rotta dell’Oriente, ove il capitano della Royal Air Force Brown Cave conduce una spedizione di 4 Supermarine Southampton dall’Inghilterra a tutto l’Estremo Oriente e all’Australia, nel corso della quale sono studiate molte migliorie alla tecnica di costruzione degli idrovolanti.

Sempre nel 1927 Juan Trippe, fondatore della Pan American Airways System, dà inizio, con la consulenza di Charles Lindbergh, alla conquista dell’America Centrale e Meridionale. Protagonisti sono i Sikorsky S-36 e S-38 e in seguito gli S-40 e S-42, fiancheggiati dagli idrovolanti delle compagnie via via “fatte fallire” dalla spregiudicata politica commerciale di Trippe e incorporate nella Pan American.

L’epopea della Pan American è difficile da descrivere in meno di un corposo volume. Qui basti considerare che in quattro anni la linea di 180 km tra Key West e L’Avana diventa un sistema di linee regolari lungo 29.000 km.

Nel 1931 un S-38 è dirottato in volo dalla compagnia su Managua, in Nicaragua, ove un violento terremoto ha provocato migliaia di vittime. L’idrovolante e la sua radio di bordo permettono di fare arrivare gli aiuti e di coordinare le prime operazioni.

Eccoci giunti al momento della prima traversata dell’Atlantico senza scalo, nel giugno 1928. Una gentildonna inglese, Federica Guest, ha l’ambizione di essere la prima donna che attraversa l’Atlantico in aereo. Assolda il pilota Willmur Stultz e il navigatore Lou Gordon e acquista dall’esploratore Richard Byrd il trimotore Fokker F-VII/3M, denominato Friendship, nome che molto tempo dopo verrà dato a un commuter di grande successo della nota casa costruttrice olandese.

Gli amici della gentildonna fanno però di tutto per dissuaderla dal partecipare a un’impresa così pericolosa. Lady Guest infine cede, ma esige che il suo posto a bordo sia assegnato a una donna che sia rappresentativa dei tempi. La scelta cade su una ragazza che nel 1922 aveva battuto il record femminile di quota raggiunta (4600 m), ma che aveva già in sé tutte le caratteristiche che ne avrebbero fatto in seguito un “gigante dell’aviazione”: Amelia Earhard. Nel 1937 Amelia, dopo aver battuto un record dopo l’altro e aver compiuto varie trasvolate oceaniche, partirà per un giro del mondo su un Lockheed Electra. Dopo aver percorso 43.500 km, lasciata la Papuasia, sarà attesa invano sull’isola di Howland, sparendo senza lasciare traccia. Oggi le ipotesi sulla sua fine sono le più varie e circa ogni due anni esce un altro libro che, oltre a offrire una nuova e più ricca biografia dell’affascinante aviatrice, presenta un’ulteriore interpretazione di come sono andate le cose.

Tornando al 1928, Amelia dunque è scelta per il volo che porterà il Fokker da Boston a Trepassey, a Terranova, da dove ha inizio la traversata. La parte finale del viaggio si svolge con radio in avaria e a corto di carburante. L’aereo riesce comunque a raggiungere le coste dell’Inghilterra, presso Swansee, nel Galles, dopo 20 ore 45 minuti di navigazione. Il giorno dopo l’idrovolante raggiunge Southampton, ove una folla festante accoglie l’equipaggio. Amelia confessa ai giornalisti che ha il solo rammarico di non aver compiuto quel volo transatlantico ai comandi dell’aereo, impresa che compirà presto da sola.

Sempre nel 1928 si deve registrare un’impresa italiana: un raid nel Mediterraneo occidentale con 60 Savoia S 59, al comando di Francesco de Pinedo, che si svolge senza alcun inconveniente.

L’anno successivo lo stesso de Pinedo conduce un raid nel Mediterraneo orientale, fino a Odessa, nel Mar Nero, con una flotta di 31 Savoia S 55.

Il ministro dell’Aeronautica Balbo crede fermamente nella formula delle crociere “di massa” non solo per offrire una dimostrazione della validità delle macchine italiane, ma quale momento di formazione di piloti che diventino l’emblema dello spirito della “nuova” Italia fascista. Le crociere segnano il passaggio da un’aviazione intesa quale somma di imprese individuali di eroici “assi” a un’aviazione che diviene prodotto dello uno sforzo ben coordinato da parte di un’organizzazione efficiente e complessa.

Nel 1929 si svolge anche il volo dei russi Chestakov e Bolotov da Mosca a New York. I due attraversano la Siberia, le Aleutine, l’ex territorio russo dell’Alaska e l’America del Nord. L’aereo è il Tupolev Ant 4, con motori BMW, che dimostra in questo difficile viaggio tutta la sua robustezza e affidabilità.

Ancora nel 1929 lo spagnolo Ramon Franco, già citato per la sua attraversata dell’Atlantico del Sud, tenta quella dell’Atlantico del Nord con un Dornier Wal, ma resta senza benzina prima delle Azzorre, venendo raccolto dopo parecchi giorni dalla portaerei inglese Eagle.

Nel frattempo il Wal della Dornier è costruito su licenza anche in Olanda. Tre Wal olandesi sono usati per organizzare un raid fino a Surabaya, nell’isola di Giava, colonia olandese. Uno è distrutto in seguito all’urto di un’ala con un ponte, nel corso di una prova motore, che causa la morte del pilota e il ferimento dei meccanici. Un secondo aereo è perso per incendio nel corso di un rifornimento. Un solo aereo riesce a terminare il percorso di 15.610 km.

Nel 1931 L’Italia si fa notare con la crociera atlantica organizzata da Italo Balbo, che porta in Sudamerica una flotta di 9 idrovolanti, su 12 partiti. Gli equipaggi si sono formati alla scuola di Orbetello, organizzata dallo stesso Balbo, nota per la vita estremamente spartana, quasi monacale, imposta agli aspiranti piloti. Una delle prove per i piloti al termine della loro formazione consiste nell’affrontare il Tirreno durante una tempesta.

Sempre nel 1931 Charles Lindbergh, con la moglie Anne Morrow, è incaricato dalla Pan American di fare un viaggio esplorativo fino in Cina. A bordo di un monomotore Lockheed Sirius, la coppia attraversa migliaia di chilometri di regioni inospitali, vivendo le interessanti avventure riportate da Anne nel suo libro North to Orient. In Cina i Lindbergh partecipano con il loro idrovolante alle operazioni di soccorso conseguenti al passaggio di un tifone, nel corso delle quali l’aereo si danneggia irrimediabilmente.

Trasferiamo ora la nostra attenzione alla Nuova Zelanda. Qui vive Francis Chichester, inglese, che ha deciso di trasferirsi dall’Inghilterra a questo “nuovo mondo” raggiungendo in volo l’Australia a bordo di un De Havilland DH 60 Gipsy Moth. L’aereo viene poi portato in Nuova Zelanda via nave. Chichester non è ricco, non lavora per alcuna industria aeronautica, non è un militare e non ha amici influenti. Inoltre, quando parte dall’Inghilterra, ha il brevetto di pilota da soli 5 mesi. Questo è probabilmente il più lungo viaggio compiuto fino a quel momento da un privato che si paga interamente le spese di viaggio. Chichester dimostra inoltre che un viaggio di quel genere è alla portata di un pilota di non grande esperienza.

Nel 1931 Chichester organizza un difficile viaggio tra la Nuova Zelanda e l’Australia, attraverso le isole di Norfolk e Lord Howe. L’impresa la compie nel Mare di Tasman, noto per i rapidi cambiamenti di tempo e le frequenti tempeste, in mezzo a mille difficoltà, che risolve via via dando fondo alla propria intraprendenza: è costretto a ricostruire l’aereo, cappottatosi alla boa a Lord Howe in seguito a un fortunale; in un incidente perde un dito, che gli viene amputato; nella tappa finale affida la propria salvezza a due piccioni viaggiatori, lasciati liberi a centinaia di chilometri dalla costa australiana, in mezzo alla tempesta, recanti le coordinate della sua posizione del momento.

Le avventure vissute non scoraggiano il grande navigatore, che progetta subito il proseguimento del viaggio dall’Australia al Giappone. Parte da Sidney con sole 44 sterline in tasca, prestategli da un amico. Attraversato l’arcipelago indonesiano, le Filippine e sorvolata Formosa, Chichester giunge in Cina, precedendo di poco il tifone che porterà alla perdita del Sirius dei Lindbergh. Giunge in Giappone, a Katsuura, ove nel corso di un volo, sollecitato dai notabili locali, urta un palo della linea telefonica, distruggendo l’aereo.

Chichester diventerà famoso negli anni sessanta per le sue traversate in barca a vela in solitario e, nel 1966, per il primo giro del mondo in solitario.

Nel 1932 si tiene a Roma, organizzato da Balbo, un raduno mondiale di trasvolatori, noto come “Giornate internazionali dei voli oceanici”, a cui partecipano la gran parte dei piloti citati in precedenza.

Tornato in Germania da questo raduno, il già citato Wolfgang Von Gronau, che ha alle spalle due traversate atlantiche, riesce nell’impresa di convincere due ministri a finanziargli un giro del mondo. Impresa - quella di farsi finanziare - tutt’altro che facile nella sbrindellata repubblica di Weimar, che conta al momento sei milioni di disoccupati e che è in procinto di consegnare il Paese nelle mani di una nuova “guida” venuta dal nulla, ma capace di esercitare un indubbio fascino sulle folle.

Il decollo del Dornier Wal da List avviene grazie a una tecnica avanzata tipica del volo idro: l’aereo si trova a decollare in condizioni di assoluta calma di vento e piattezza della superficie, condizioni dunque molto sfavorevoli per un idrovolante carico; sfrutta però la scia ondosa e il vento artificiale appositamente provocati da un aereo che lo precede di poco, in questo caso un quadrimotore Superwal. La rotta che lo porta in Islanda, Groenlandia e Terranova è in molti punti contrassegnata da nebbia e visibilità nulla, ma gli aiuti alla navigazione e l’impiego esteso della radio permettono ormai di affrontare queste condizioni come una normale operazione.

Negli Stati Uniti von Gronau è assistito in varie traversie da importanti aziende automobilistiche e da famosi piloti. Dopo aver sorvolato le Aleutine raggiunge la Kamchatka e percorre le vulcaniche isole Curili, riprendendo suggestive colate di lava che si gettano nell’oceano.

In Giappone fa revisionare l’aereo alle officine della Kawasaki, che costruisce il Wal su licenza, ma deve subire incessanti domande sulle basi militari americane nel Pacifico settentrionale.

Il viaggio prosegue per Shangai e Hong Kong, ove il Wal ammara in trafficatissimi porti. A Manila von Gronau incontra Douglas Mac Arthur, comandante delle forze americane nel Pacifico. Dopo aver festeggiato il passaggio dell’equatore con una coppa di champagne, von Gronau ammara a Surabaya, capitale di Giava, tra i 14 Wal della Marina olandese alla fonda nel porto. Radio Berlino riesce a stabilire un collegamento in onde corte e trasmette in diretta una conversazione di von Gronau con il ministro delle comunicazioni tedesco, che avviene lungo una distanza di 15.000 km.

Al largo della penisola malese, gli ingranaggi della pompa del liquido di raffreddamento si deteriorano e il motore anteriore grippa e pianta. Il Wal è fatto ammarare sul mare in tempesta, con onde alte 5 metri. Il robustissimo idrovolante resiste per otto ore alle terribili sollecitazioni ed è infine soccorso dalla nave delle poste britanniche Caragola, che ha ricevuto l’SOS lanciato dall’operatore radio Albrecht prima dell’ammaraggio. L’idrovolante è trainato fino a Rangoon alla notevole velocità di 12 nodi, che la nave deve tenere per evitare le penali imposte in caso di ritardo. Qui i motori sono revisionati e vengono prodotti nuovi ingranaggi in bronzo, in sostituzione di quelli danneggiati. Il viaggio può quindi proseguire.

Il resto del viaggio è quasi senza storia. All’arrivo in Europa von Gronau è festeggiato calorosamente da Balbo, a Ostia, e poi a Friedricshafen, per essere infine ricevuto dal nuovo presidente del Reich Hindenburg e dal nuovo vicecancelliere Adolf Hitler.

È giusto ricordare un altro viaggio di un tedesco, Hans Bertram, compiuto nel 1932-33, con un idrovolante a galleggianti Junkers W 25, battezzato
Atlantis
. Bertram, che sottotitola la sua impresa “Dal Reno al Mare di Timor”, raggiunge l’Australia in un viaggio di 14 mesi, percorrendo lentamente tutto il medio Oriente e l’Asia meridionale, consentendo al fotografo che lo accompagna di fare ampi reportages di interesse etnografico, oltre che di realizzare affascinanti immagini dello Junkers in ambienti esotici.

Il 1933 è l’anno di Balbo. Ben 24 Savoia Marchetti S 55X, con a bordo in totale 99 uomini, compiono un epico viaggio da Orbetello a Chicago e poi New York, guadagnando un trionfo nella Quinta Strada che fa ingelosire e andare su tutte furie Mussolini.

Il 1933 vede un’altra grande impresa di Lindbergh, sempre accompagnato dalla moglie Anne, che con il loro Lockheed Sirius compiono un lungo viaggio dall’America all’Europa e alla Russia, per tornare in America attraverso l’Atlantico del Sud.

La cronaca idrovolantistica degli anni Trenta sarebbe carente se non ricordassimo i nomi di due grandi piloti italiani. Il primo è quello di Mario Stoppani, la cui carriera è una delle più lunghe e ricche che si possono immaginare. Aviatore nella prima guerra mondiale, Stoppani fa l’istruttore, il collaudatore, batte molti record e gira il mondo con i “Cant”, gli idrovolanti dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico, basati a Monfalcone. Collauda il Cant Z 511, il più grande idrovolante con galleggianti mai costruito e, dopo la guerra, ormai anziano, collauda il Siai Nardi FN 333 Riviera.

Un altro grande pilota italiano degli anni Trenta è Arturo Ferrarin. Noto per il suo viaggio da Venegono a Tokio (con aereo terrestre), è meno noto per le imprese che ha compiuto con idrovolanti, tra cui una traversata dell’Atlantico del Sud con lo sfortunato meccanico Del Prete, che perde la vita in un incidente durante il viaggio.

Ma ritorniamo ora un momento indietro nel tempo per seguire come sono andate le gare, riprese dopo la prima guerra mondiale, per la conquista della Coppa Schneider. Nel 1922, a Napoli, vince il Supermarine Sea Lion II, un idrovolante a scafo. Nel 1923 vince l’americano Curtiss CR-3, alla velocità di 285 km/h e nel 1925 un altro Curtiss.

Gli italiani, con il Macchi M39 di De Bernardi, vincono la gara del 1926, evitando che la coppa finisca definitivamente nelle mani degli americani (che se la sarebbero aggiudicata con la terza vittoria consecutiva).

Nel 1927 la gara si corre a Venezia ed è vinta dagli inglesi, con il Supermarine S-5, alla velocità di 454 km/h, sotto gli occhi delusi delle migliaia di italiani accorsi. Nel 1929 rivincono gli inglesi, con l’S-6, che raggiunge la velocità di 576 km/h.

Nel 1931 gli inglesi, nella condizione di potersi aggiudicare la coppa, con la terza vittoria consecutiva, si vedono annullare il sostegno economico del governo. Interviene, a finanziare la preparazione del nuovo aereo, Lady Huston, che con il suo generoso e patriottico sforzo permette la definitiva conquista inglese della coppa, ottenuta dall’S-6Bs alla velocità di 547,31 km/h. Lo stesso aereo raggiunge in seguito la velocità di 656 km/h. Gli sforzi fatti dalla Supermarine per conquistare la Coppa Schneider hanno una ricaduta di rilievo, portando alla produzione dello Spitfire, di cui durante la guerra verrà realizzato anche un curioso esemplare dotato di galleggianti.

Gli italiani, amareggiati dalla sconfitta di Venezia e dal non essere arrivati a partecipare all’edizione della gara del 1931, si rifanno raggiungendo risultati sempre più interessanti con il Reparto di Alta Velocità di Desenzano del Garda. Nel 1934 Francesco Agello consegue il record assoluto di velocità con un aereo a elica, raggiungendo la velocità di 709,209 km/h. Tale record è ancora valido per la categoria degli idrovolanti a elica.

Gli anni Trenta vedono grandi sviluppi nella costruzione di idrovolanti militari, di cui in molti casi sono poi prodotte versioni civili. In Inghilterra sono perlopiù Short. La Germania nazista produce i Dornier (magnifico il Do 18 con motori diesel e il Do 26, con 9000 km di autonomia), i Blohm und Voss, gli Heinkel, gli Junkers (usati dalle compagnie in molti paesi del mondo nella versione civile). In Italia i più noti sono i Cant Z 501 e 506, i Savoia, i Macchi, i Caproni. Il Caproni CA 100 diventa l’aereo “popolare”, venendo prodotto in quasi 2000 esemplari e contribuendo alla formazione di migliaia di piloti.

Negli Stati Uniti la Martin produce una serie di flying boat sempre più grosse e nasce il Catalina, forse il più famoso degli idrovolanti militari, prodotto in più di 3000 esemplari, alcuni dei quali volano ancora oggi nelle mani di collezionisti. In Francia sono prodotti i Breguet, i CAMS, i Lioré et Olivier, i Latécoère. In Giappone i Kawanishi e gli Aichi, oltre che una curiosissima versione idro dell’indovinatissimo Zero.

Nel campo del trasporto aereo civile gli anni Venti, in tutto il mondo, ma in particolare in America e Canada, vedono la nascita di centinaia di compagnie grandi e piccole che collegano con idrovolanti località affacciate su specchi d’acqua. Curioso, per fare solo un caso, è un servizio della Aeromarine Airways, che opera negli Stati Uniti, nella regione dei Grandi Laghi. Nel 1922 un Cruiser Buckeye della compagnia, idrovolante a scafo, trasporta da Cleveland a Detroit una Ford T, eseguendo il primo trasporto commerciale di un’auto con un aereo. Ai comandi si trova Edwin Musik, che dopo un decennio sarà il pilota della Pan Am più celebre e amato dalle folle.

Gli anni Trenta vedono invece un’aviazione civile, ormai matura, affermarsi su centinaia di rotte continentali e di cabotaggio lungo le coste o in piccoli mari, come il Mediterraneo.

L’impresa di maggiore rilievo la compie la Pan American, che dalla metà degli anni Trenta si lancia nel Pacifico. L’Atlantico è in effetti più importante in quanto consentirebbe di immettersi nel ricchissimo mercato dei trasporti tra il Vecchio e il Nuovo mondo, ma un accordo impedisce a operatori americani di avviare trasporti transatlantici finché anche gli operatori inglesi non siano pronti a fare altrettanto. Gli Short inglesi non riusciranno mai a garantire il collegamento e questa limitazione rimarrà in vigore fino alla fine della seconda guerra mondiale.

L’attenzione è dunque rivolta al Pacifico. Nel 1935 si apre la linea che da San Francisco raggiunge Manila, nelle Filippine facendo tappa a Honolulu e sugli atolli e isole di Midway, Wake e Guam. Viene subito istituita anche una linea aggiuntiva che da Manila porta a Hong Kong.

L’espansione nel Pacifico delle rotte della Pan Am non è certo sgradita ai militari, che hanno nella compagnia uno strumento per controllare le operazioni degli aggressivi giapponesi. Sikorsky S-42, Martin 130 e Boeing 314, i celebri Clipper, sono i protagonisti della conquista dell’oceano più vasto del pianeta. Si tratta di magnifiche macchine condotte da esperti e coraggiosi piloti, il più noto dei quali è Edwin Musick, perito infine in un incidente mentre conduce un S-42 in un volo sperimentale tra Honolulu e la Nuova Zelanda. Con l’aereo in avaria poco dopo la partenza, il pilota decide di scaricare l’enorme massa di carburante prima di rientrare all’isola delle Hawaii; l’aereo esplode in migliaia di minuti pezzettini, probabilmente dopo che la scia di benzina si è incendiata passando vicino agli scarichi del motore.

Illustra bene la personalità di Edwin Musik, vero condottiero del volo idro, un episodio di cui è stato protagonista. Noto per la sua riservatezza e il rifiuto di voler apparire su giornali e riviste, Musik viene calorosamente richiesto dalla sua compagnia, durante il volo inaugurale di una nuova tratta, di accettare un collegamento radiotelegrafico con la base, il suo messaggio venendo poi immediatamente diffuso su una rete radiofonica nazionale. Musik, nell’occasione, trasmette solo dati tecnici, del tutto indigesti al pubblico di milioni di persone che pendono dalle sue labbra. Il conduttore del programma, spazientito, invia un messaggio radiotelegrafico all’aereo in volo, invitando Musik a dire qualcosa di più, a parlare di ciò che vede e prova in quei momenti di importanza storica. Invita Musik, per esempio, a descrivere le emozioni che suscita in lui il tramonto, che sta per cogliere l’idrovolante in volo. La risposta di Musik giunge laconica: “Sunset: 0638 GMT”.

In Europa nascono le grandi linee destinate a tenere uniti gli estesissimi imperi coloniali. L’Imperial Airways collega le coste inglesi della Manica con il Medio Oriente, il Sudafrica, l’India, l’Estremo Oriente, l’Australia e la Nuova Zelanda.

Spinti dalla spasmodica ricerca di maggiori autonomie, gli inglesi inventano il rifornimento in volo e il Short-Mayo Composite, un curioso insieme di un grande idrovolante a scafo che ne porta uno a galleggianti sul dorso, proprio una bella dimostrazione di quanto i due tipi fondamentali di idrovolanti siano entrambi utili. L’idrovolante con galleggianti è rilasciato quando l’insieme dei due ha già raggiunto una certa distanza. Usato per collegare l’Inghilterra al Nordamerica, il composito compie il suo viaggio più lungo nell’ottobre 1938 tra l’Inghilterra e il fiume Orange, in Sudafrica, lungo un percorso di 9652 km. Un’altra invenzione degli inglesi, destinata però a rimanere senza seguito, è l’idrovolante a monogalleggiante retrattile, costruito dalla Blackburn.

Nel Pacifico meridionale gli americani, alla ricerca di atolli e isolette da ricondizionare quali basi di rifornimento intermedio, provenienti da nordest, trovano sulla loro strada gli inglesi, provenienti da sudovest. Non mancano momenti di lieve tensione tra queste due grandi potenze marinare del XX secolo, che vedono per esempio gli americani costruire un faro sull’isoletta di Canton, mentre sulla spiaggia dal lato opposto gli inglesi erigono un solitario e “utilissimo” ufficio postale, mentre le rispettive Marine sorvegliano da vicino le operazioni e assicurano protezione ai pochissimi addetti.

I Francesi, con l’Aéropostale e poi l’Air France, danno vita alla Ligne, la linea postale che collega la Francia con il Sudamerica, raggiungendo Santiago del Cile. I più celebri eroi di questa epopea sono Jean Mermoz, Antoine de Saint Exupery e Henri Guillaumet. Mermoz scompare nell’Atlantico a bordo della Croix-du-Sud il 7 dicembre 1936, segnando il tramonto di un’epoca e destando in ogni francese e in ogni amante del volo un’enorme emozione.

Non è facile descrivere un personaggio come Mermoz, su cui sono stati scritti fiumi di parole, protagonista di avventure che possono riempire volumi. Valga solo, per descriverne la personalità, la sua considerazione abituale quando qualcuno gli chiedeva se non aveva paura di morire in un incidente aereo: «Incidente, per noi, è morire in un letto».

I tedeschi costruiscono l’enorme e poco pratico DO X, nel 1929, che effettua una traversata atlantica, per le prime 2000 miglia in effetto suolo, non avendo la potenza per elevarsi a quote maggiori. Il DO X Umberto Maddalena sosta a Como per qualche giorno nel 1931, durante la costruzione dell’hangar. Nel 1933 i tedeschi inventano un sistema per accelerare la consegna della posta attraverso l’Atlantico. Quando la nave si trova a un migliaio di miglia dalle coste americane, un idrovolante è catapultato con il carico di posta da consegnare. La Deutsche Lufthansa progetta linee regolari anche verso il Medio ed Estremo Oriente.

Anche la piccola Olanda, con la KLM, gestisce linee aeree di grande respiro, usando intelligentemente le infrastrutture delle grandi compagnie. Gli aerei sono i Fokker di fabbricazione nazionale e gli americani Duglas.

L’Italia, oltre a gestire linee nel Tirreno e nell’Adriatico, inaugura linee che uniscono lo Stivale con le colonie africane (Tripoli, Addis Abeba, Mogadiscio, Asmara) e vari paesi del Mediterraneo, raggiungendo anche Tunisi, Caifa, in Palestina, Costantinopoli, Gibilterra e Cadice.

Quando ormai servizi regolari consentono a passeggeri e posta di attraversare gli oceani e i continenti, scoppia la seconda guerra mondiale, un evento che condiziona pesantemente gli sviluppi dell’aviazione. Durante la guerra gli idrovolanti svolgono essenzialmente la funzione di osservazione, ricerca e soccorso in mare e trasporto. Gli idrovolanti non si rivelano più adatti quali mezzi di attacco, anche se si registrano occasionali affondamenti di navi e sommergibili e l’impiego di alcuni tipi di idrovolanti quali aerosiluranti. Più ampio, per ovvi motivi, è l’utilizzo di idrovolanti nel teatro del Pacifico, ove rimangono epiche le operazioni di salvataggio in mare dei Catalina. La funzione di ricerca e soccorso è svolta intensamente anche nel Mediterraneo, scenario in cui spiccano le ardite imprese dei piloti inglesi dei Walrus, con i quali hanno strappato al mare molti equipaggi abbattuti.

Le necessità belliche comportano la requisizione di buona parte degli idrovolanti delle flotte commerciali, mentre l’impossibilità di compiere molte tratte in sicurezza porta a una generale contrazione dell’aviazione civile.

La guerra porta alla costruzione di enormi flying boat. La più celebre è l’Hercules di Howard Houghes, poi noto come Sprouce Goose. È il più grande aereo mai costruito, il cui piano di coda è di 3 metri più ampio delle ali di un B 17. Inteso come aereo da trasporto transatlantico, vera “Liberty dell’aria”, tutto costruito in legno per non sottrarre preziosi metalli all’economia di guerra, il gigante è pronto quando la guerra è terminata. Fa un solo volo di un miglio a Long Beach, il 2 novembre 1947, pilotato dal costruttore e celebre produttore cinematografico.

Altre grandi flying boat sono i Martin Mariner e Mars, l’ultimo dei quali è usato ancora oggi come water bomber, capace di caricare 28 tonnellate d’acqua. I tedeschi hanno prodotto il grande esamotore Blohm und Voss Bv 238.

La produzione russa è poco nota in occidente, ma consente agli ingegneri di quel paese di accumulare una preziosa esperienza, che verrà utile a distanza di qualche decennio, quando la Beriev proporrà il suo jet da trasporto di passeggeri e verrà sviluppata la grande famiglia dei curiosi ecranoplani.

Sono degni di essere ricordati due grandi idrovolanti con galleggianti prodotti appena prima o dopo la guerra. Uno è il C47 con galleggianti anfibi, prodotti dalla Edo, recentemente restaurato e conservato nel Maine. L’altro è il più grande idrovolante con galleggianti mai costruito, il quadrimotore Cant Z 511, un vero capolavoro della tecnica italiana, non assurto a maggiore gloria solo per essere venuto alla luce in un momento sbagliato.

Dopo la guerra mondiale un’altra guerra, quella di Corea, stimola alcuni sviluppi, rappresentati dal grosso biturboelica Martin Marlin e dall’enorme idrovolante da sbarco Convair Tradewind, fatto per approdare sulla spiaggia poggiandovi lo scafo, ribaltare verso l’alto tutta la parte anteriore della fusoliera e, dopo aver calato gli scivoli metallici, far sbarcare in pochi minuti truppe e mezzi corazzati sulla spiaggia. In quegli anni un altro Convair quadrimotore, il Coronado, svolge missioni di pattugliamento su tutto l’Atlantico.

In Inghilterra si tenta la via dell’idrovolante con motori a getto; è il Saunders-Roe SR/A1, prodotto in tre esemplari. Per essere il primo aereo di questa classe, si comporta benissimo e dimostra doti inaspettate, ma non può reggere la concorrenza dei corrispondenti aerei terrestri e infine viene abbandonato.

Negli Stati Uniti l’idrovolante a getto è il Convair Sea Dart, un jet con ali a delta e sci centrale estraibile, che gli consente di planare sull’acqua. Nell’agosto 1954 l’aereo è il primo idrovolante a superare il muro del suono, ma il programma è definitivamente cancellato in seguito a un grave incidente in cui incorre uno dei prototipi.

Sul fronte dell’aviazione civile, l’idrovolante, quale mezzo per trasporti transoceanici, ha ancora forti sostenitori. È così che nel 1945 viene prodotto in Inghilterra il Saunders-Roe SR-45 Princess. Dotato di cabina passeggeri pressurizzata a doppio ponte, il gigantesco aereo, con 10 motori turboelica da 3500 cavalli, è in grado di portare 100 passeggeri su tratte di oltre 3200 km. Dopo che i tecnici della stessa casa hanno terminato lo studio di un’enorme flying boat di 500 tonnellate, capace di portare 300 passeggeri e 40 tonnellate di merce attraverso l’Atlantico e malgrado il progetto si sia rivelato fattibile, tutto viene archiviato.

In Francia la rinata aviazione civile punta le sue carte su alcune grandi macchine a scafo, la più celebre delle quali è l’esamotore Latécoère 631. Usato per alcuni anni sulle rotte dell’Estremo Oriente e dell’Indocina, questo aereo va incontro a una serie di catastrofi che non trovano spiegazione. L’avventura finisce.

Con lo Sprouce Goose ormai divenuto oggetto da museo, con gli insuccessi della Saunders-Roe e con l’abbandono del 631 da parte dei francesi tramontano definitivamente i sogni di proseguire sulla strada delineata da tanti costruttori e compagnie degli anni Trenta. Ormai nel trasporto aereo dilagano le macchine con il carrello, più leggere, veloci ed economiche, sebbene non così sicure e versatili come l’idrovolante.

Nel decennio che segue la fine della guerra l’utilizzo di idrovolanti e anfibi ereditati da un passato più o meno lontano o sviluppati nel corso del conflitto vive la sua ultima stagione.

Le grandi flying boat della Short sono perfezionate, migliorate e messe sul mercato con i nomi di Sandrigham e Solent. I Sunderland sono modificati con l’asportazione dell’armamento e adattati all’impiego civile, per essere largamente usati anche dai francesi in Africa e in Polinesia.

Tre Boeing 314 sono usati per alcuni anni dalla BOAC sulla rotta dell’Atlantico e volano più di 3500 ore all’anno ciascuno, ovvero una media di 10 ore al giorno, una prestazione oggi inimmaginabile. La stessa compagnia usa una flotta di 21 Sunderland.

Terminate nel 1950 le operazioni con idrovolanti della BOAC, con la partenza per il Sudafrica, il 3 novembre, dell’ultimo volo del Somerset, negli anni Cinquanta l’iniziativa passa alla Aquila Airways. Questa compagnia rileva a prezzo di realizzo le grandi flying boat britanniche e ne rilancia l’impiego su rotte interne, in collegamenti con l’isola di Jersey e le Shilly e in collegamenti con Lisbona, Madera e le Canarie e con importanti località turistiche europee e del Mediterraneo. Dall’Inghilterra i passeggeri sono portati direttamente a Montreaux, sul Lago di Ginevra, e a Santa Margherita Ligure. La compagnia svolge anche un servizio di trasporto di equipaggi di navi tra l’Inghilterra e i porti ove le navi si trovano al momento. Molti servizi di questo tipo sono svolti tra Southampton e il porto di Aden.

Incapace di sopportare la concorrenza degli aerei di linea terrestri, che possono servirsi di un numero crescente di aeroporti, e a corto di pezzi di ricambio per i propri idrovolanti, non più in costruzione, la gloriosa éra delle grandi flying boat termina, per quel che riguarda l’Europa, il 26 settembre 1958, con l’ultimo volo per Madera del Solent di nome Awateri.

Un altra flying boat gigante, costruita in tre esemplari alla fine degli anni Trenta, è l’elegante quadrimotore Vought-Sikorsky VS-44. L’ultimo esemplare rimasto, l’Excambian, è riesumato nel 1957 dalla Avalon Air, che lo usa per il trasporto di quaranta passeggeri tra Long Beach e Avalon Bay, sull’isola di Catalina, e che lo vende poi alla Antilles Air Boat.

In Nuova Zelanda opera la Tasman Empire Airways con 4 Solent, che confluiranno nel 1955 nella flotta dell’Aquila Airways. Sul Solent dal nome maori Aoetearora (“Terra della lunga nuvola bianca”) la regina Elisabetta e il principe Filippo fanno il giro della Nuova Zelanda nel 1953.

Una linea regolare tra Sidney e l’isola di Lord Howe è aperta dalla Trans Oceanic Airways, poi affiancata dalla Quantas Empire Airways e sostituita infine dalla Ansett Boats. Queste compagnie, che hanno operato con Catalina e Short Sunderland, Sandrigham e Solent tra il 1947 e il 1974, hanno rappresentato un elemento di enorme importanza economica per l’isola di Lord Howe, che grazie alle flying boat ha visto i propri abitanti poter sviluppare attività commerciali con il resto del mondo e in certi casi avere salva la vita dopo essere stati trasferiti velocemente in un ospedale del continente. Inoltre la linea ha consentito di lanciare la magnifica isola tropicale, con le sue montagne selvagge e le sue barriere coralline, nel circuito turistico internazionale (in realtà nella fascia più raffinata di esso).

Proprio la linea regolare Sidney-Lord Howe è l’ultima che vede impegnati i grandi idrovolanti a scafo del passato. La fine definitiva di questa éra, l’addio finale alle flying boat si registra il 10 settembre 1974, quando lo Short Solent che ha per nome Islander decolla con l’ultimo carico di passeggeri per Sidney. Tutta la popolazione dell’isola si è radunata per l’evento. Molti piangono. Il sindaco fa un discorso commovente. Il grande idrovolante, prima di lasciare per sempre quei lidi, fa un basso passaggio, dal sapore ironico, sulla ancora sconnessa pista che le ruspe hanno aperto sventrando una parte della foresta dell’isola, ove giungeranno presto gli aerei con le ruote.

Negli anni successivi le ultime grandi flying boat, tra cui l’Excambian, affiancate da alcuni Catalina adattati come aerei passeggeri, sono usate come aerei privati per qualche spedizione e per sporadiche operazioni di charter di lusso lungo le coste statunitensi e nei Caraibi. Un Catalina è proposto negli anni Ottanta da un operatore inglese per viaggi di piccoli gruppi di persone lungo il Nilo. L’esperienza del sorvolo del grande fiume africano, considerata la bassa velocità dell’aereo e gli ampi blister, ove erano disposte le mitragliatrici, che consentono un’eccezionale visibilità verso l’esterno, deve essere stata indimenticabile, seppure alla portata di pochissimi facoltosi passeggeri.

Alcuni privati che se lo possono permettere tengono in condizioni di volo alcune di queste macchine per un uso personale e per partecipare a manifestazioni aeree. Oggi i più grandi idrovolanti d’epoca in condizioni di volo sono i Grumman Albatross, mantenuti da un affiatato gruppo di proprietari.

Purtroppo quelli posseduti dall’Aeronautica Militare Italiana, usati per molti anni per missioni di ricerca e soccorso, sono stati abbandonati in vari aeroporti alla metà degli anni Settanta e lasciati andare letteralmente in rovina.

Ultimo rampollo di un’importante stirpe, vola ancora oggi nelle Filippine un Dornier Do 24 ATT, rimotorizzato con tre motori turboelica. L’aereo è transitato all’Idroscalo di Como nell’estate 2004 durante un giro del mondo commemorativo organizzato dalla famiglia Dornier, pilotato dal nipote del fondatore Iren Dornier.

Non più usati come aerei di linea, ormai pressoché abbandonati dai militari, se non in rarissimi casi per funzioni SAR, non più in grado di stabilire record, gli idrovolanti sono usati a partire dagli anni Sessanta semplicemente per i servizi che possono svolgere in aree del pianeta alle quali l’aereo con le ruote non ha accesso. Si tratta di eseguire trasporti di persone e materiali verso destinazioni sprovviste di qualunque infrastruttura e di cui talvolta l’unica informazione che se ne ha alla partenza è che offrono la presenza, nelle vicinanze, di uno specchio d’acqua.

Alcuni degli aerei usati per questi scopi sono di derivazione militare, come i Grumman, prodotti in quattro tipi, tutti bimotori, dal piccolo Widgeon al grande Albatross, passando per il Goose e il Mallard.

Migliaia di piccoli aerei dell’aviazione generale, tra cui moltissimi Cessna e Piper, sono trasformati in idrovolanti con l’applicazione dei galleggianti, in qualche caso galleggianti anfibi.

Vengono prodotte piccole flying boat bi e quadriposto, come il Colonial Skimmer, derivato da un progetto della Grumman, che si evolve successivamente nei Lake Buccaneer e Renegade; altre diffuse flying boat sono il Republic Sea Bee, il Siai Nardi Riviera, la Spencer Air Car e il Thurston Teal.

Questo tipo di trasporto ha grande importanza nelle aree ancora selvagge del pianeta. Tutta la parte settentrionale del Nordamerica e l’Alaska sono teatro di migliaia di piccole spedizioni e di operazioni di minuscole charter companies, che in alcuni casi non possiedono che un solo idrovolante.

Questa attività, in queste zone, si è in realtà sviluppata fin dai primordi dell’aviazione. Si può affermare che queste regioni del mondo devono la colonizzazione umana essenzialmente agli aerei dotati di scafo o galleggianti, a quelli dotati di sci e in qualche caso pneumatici maggiorati, i tundra tyres. Una ricca mole di libri e di memorie ricorda le infinite avventure di moltissimi bush pilots, molti dei quali hanno pagato con la vita l’anelito di conquistare questa nuova, ultima frontiera.

C’è però una differenza tra le operazioni dei bush pilots nei primi decenni della colonizzazione del Grande Nord e quelle che prendono piede a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo. Le prime sono operazioni per assicurare una rudimentale sopravvivenza alle comunità sparse di cacciatori, cercatori d’oro, allevatori, addetti all’industria del legname, oltre che agli esploratori di queste distese di terre, montagne e laghi ancora sconosciuti. I trasporti riguardano queste avventurose persone e viveri, attrezzature, medicinali, oltre che l’immancabile posta, di enorme importanza in aree in cui il contatto con la “civiltà” avviene poche volte o addirittura una volta all’anno.

Nel dopoguerra, con l’arrivo in queste regioni della ferrovia, con la realizzazione di aeroporti e la scoperta del petrolio in Alaska il panorama cambia. Gli idrovolanti e i bush pilots passano al servizio di un pubblico sempre più vasto in cerca di una natura incontaminata, ove è addirittura un bene che siano assenti infrastrutture urbane e aeroporti. Ogni azienda che si rispetti ha il suo idrovolante con cui portare a pescare o a compiere escursioni i clienti di riguardo. La meta è un laghetto sperduto su cui si affaccia un’unica capanna di legno, in cui vivere per un week end la rude ed eccitante vita del trapper.

Migliaia di piloti privati, con le loro famiglie, si lanciano alla scoperta di questi ambienti inconsueti per scopi puramente ludici e turistici. Inevitabile, in queste condizioni, l’accadere di “inconvenienti”. Da qui il perfezionarsi di regolamentazioni che impongono ai piloti che si avventurano nelle sparsely settled areas l’adozione di una serie di misure di sicurezza, che vanno dagli apparati di comunicazione e sopravvivenza ai mezzi per difendersi dagli orsi. L’avvento del GPS e dei telefoni satellitari fa fare un deciso salto nella sicurezza di queste operazioni.

L’idrovolante diventa dunque il mezzo per conoscere la natura e muoversi in essa in modo discreto e sicuro ed è decantato per questa sua caratteristica da noti ambientalisti, come, in Italia, Fulco Pratesi, presidente del WWF.

L’idrovolante conserva oggi una funzione importante in un settore specifico, quello del volo panoramico, detto sightseeing flight o scenic flight. E ciò non perché dagli aerei con le ruote non si veda bene il paesaggio, ma per il fatto che con gli aerei con le ruote si parte necessariamente da un aeroporto, mentre l’idrovolante consente di partire per il volo dai luoghi più belli e interessanti del mondo, dal centro storico delle città, dai fiumi, dai laghi. Dunque l’idrovolante può fornire un servizio nel preciso luogo ove c’è una concentrazione di domanda e senza che la cosa richieda un’organizzazione logistica e perdite di tempo, quali il trasferimento in un aeroporto. Solo l’elicottero ha potuto fare concorrenza all’idrovolante per questa funzione, ma non in tutti i luoghi e non allo stesso costo e allo stesso elevato livello di sicurezza.

Altri servizi essenziali oggi svolti con idrovolanti sono quelli di charter, ovvero di piccolo trasporto privato, di affari e di servizio, in aree prive di infrastrutture. Un campo che vede ancora il Nord americano e l’Alaska quali principali teatri.

L’idrovolante è stato “scoperto” quale risorsa in molte aree ove era sconosciuto. L’esempio più clamoroso è quello delle Maldive. Decine di Twin Otter e Caravan portano masse di turisti dall’aeroporto intercontinentale direttamente ai resorts sparsi sugli atolli, evitando loro ore di navigazione in mare.

L’impiego degli idrovolanti più conosciuto al grande pubblico è quello nel suo ruolo di bombardiere d’acqua. Divenuto popolare con la diffusione dei Canadair, in grado di caricare 6 tonnellate d’acqua, questo ruolo è stato svolto in passato da Canso Catalina appositamente modificati, e ancora oggi, in Canada, dagli enormi e “antichi” Martin Mars. La necessità di questo servizio ha stimolato la costruzione di macchine più piccole, come il Fire Boss, versione idro dell’Air Tractor (usato per irrorazione), in grado di caricare 3 tonnellate d’acqua, ma avente un costo molto inferiore a quello di un Canadair CL 415. Chi ha avuto l’occasione di vedere le ardite picchiate dei Canadair sugli incendi della macchia mediterranea e le rapide manovre di scooping, ovvero di caricamento dell’acqua durante lo sfioramento della superficie, rimane affascinato dall’utilità e versatilità di queste macchine.

L’altra attività che si svolge con gli idrovolanti è l’istruzione. Non sono molti i luoghi ove si può imparare a pilotare un idrovolante, in particolare in Europa. L’idroscalo di Como e la scuola di volo idro dell’Aero Club Como hanno assunto, negli ultimi anni, un’importanza crescente in questo settore, in cui l’attività è di solito penalizzata da una serie di fattori, che fanno sì che sia pressoché impossibile, nel mondo, affittare un idrovolante per volarci come pilota solista. Como rappresenta dunque una fortunata e per il momento felice isola di libertà.

Oltre al già citato Canadair, in tempi recenti si è assistito allo sviluppo di due idrovolanti di grosse dimensioni: il giapponese Shin Meiwa PS-1 e il russo Beriev A 40. Il primo, studiato inizialmente con funzioni “antisom”, è più noto nella sua versione civile e nei suoi impieghi per operazioni di perlustrazione, ricerca e soccorso in mare, un compito particolarmente importante per un Giappone proteso verso l’oceano per molte delle sua attività vitali. Il PS-1, dotato di 5 turbine, è un vero capolavoro di ingegneria, permettendo operazioni su onde oceaniche fino a 3 m di altezza, sulle quali si posa all’incredibilmente bassa velocità di 42 KTS.

Il russo Beriev A 40, rimasto allo stadio di prototipo, è un anfibio a scafo biturbina, ha un erede per il mercato civile, il Beriev 200, che potrebbe essere chiamato “Il Concorde degli idrovolanti”, ancora allo studio, progettato per ospitare un’ottantina di passeggeri.

Oggi il più grande idrovolante usato per il trasporto commerciale di passeggeri è il Turbo Mallard, ovvero il Mallard dotato di turbine invece che degli originali motori radiali a pistoni. A farne largo uso è la Chalks Ocean Airways, nome dato dal nuovo proprietario italoamericano alla Chalks, che opera da tempi immemorabili tra la Florida, Bimini e le Bahamas e che in passato si è servita anche di molti Albatross, convertiti all’impiego civile.

L’idrovolante potrà svolgere in futuro compiti importanti. Al di là dei ruoli che oggi svolge con successo - servizio antincendio, volo panoramico, scuola e piccolo charter - c’è chi prevede un nuovo sviluppo di questi mezzi per servizi di linea, con macchine in grado di trasportare un centinaio di persone.

Che cosa, oggi, fa rivalutare un mezzo inferiore ai suoi omologhi terrestri, che lo hanno scalzato dalla scena del trasposto aereo cinquant’anni fa? L’idrovolante o l’anfibio da trasporto passeggeri è infatti, oggi come allora, più costoso, più lento e con minore capacità di carico dei modelli-cugini dotati del solo carrello.

Ebbene, ci sono due ordini di ragioni. La prima risiede nella grande difficoltà e negli ormai altissimi costi connessi con la costruzione o l’ampliamento di un grande aeroporto.

La seconda ci riporta alla caratteristica più connaturata con l’idrovolante, la versatilità, ovvero la capacità di potersi posare ovunque vi sia acqua.

Dunque la prospettiva di poter operare in migliaia di luoghi servendosi solo di infrastrutture leggere ed economiche o addirittura temporanee e senza costringere i passeggeri a sottoporsi a lunghi trasferimenti da e per la città è ciò che potrebbe riservare a questo antico mezzo di trasporto un esaltante futuro.

 

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