L’idea
di un possibile canone universale di bellezza generato dal concetto
di “infinito”, coniugato dinamicamente al sistema di proporzionamento
suggerito dalla “Sezione Aurea”, ha ispirato una grande quantità di
artisti, ben oltre i confini storici o stilistici di specifiche aree
culturali, dal Rinascimento alla modernità stessa che ha visto, col
fiorire delle avanguardie del '900 il moltiplicarsi delle esperienze
di ricerca sul campo e della trattatistica stessa ad essa riferita.
Fondamentali e forse i più conosciuti, per l’ampio carattere riassuntivo
e la puntualizzazione di metodo, sono stati gli studi teorici di Matila
Ghika che nel 1946 scriveva “L’estetique des proportions dans la nature
et dans les arts – Le Nombre d’Or”. Saggio moderno, questo, comunque
debitore al “De Divina Proportione” che Luca Pacioli diede alle stampe
con la collaborazione di illustratori eccellenti come Leonardo da
Vinci e Piero della Francesca.
Nel caso di Silvia De Bei, il riallacciarci a questa matrice
culturale ci fornisce un utile strumento di analisi e interpretazione
del suo percorso artistico, accanto alle sue stesse parole: I miei quadri sono quasi tutti strutturati
secondo la Sezione Aurea "Divina Proporzione" come la chiamava
Luca Pacioli, anche se alla armonizzazione geometrico-matematica delle
forme precede una fase fatta di gesti veloci quanto sommari nella
partitura istintiva delle superfici. Mescolanza di colore e linea,
in silenziosa struttura di leggi cromatiche e geometriche, mai prevaricanti
sulla poetica. Intuizione imbrigliata in regole fisse, ma libera di
negare il ripetitivo e di agire con fantasia. Non forme essenziali
astratte, ma un dato di natura inserito in uno schema severo è l'assunto
di questi miei "appunti".
È su questo legame profondo
con la natura dicotomica della "bellezza", contemporaneamente
intellettualizzata e concretamente rappresentata, che si fonda il
coinvolgimento di ogni canone armonico e probabilmente è proprio qui
che trova anche giustificata origine il "Canto delle Sirene".
La Sirena nella citazione letteraria più nota, quella di Omero nell'Odissea
(XII 39 - 200), non è descritta fisicamente ma limitata allo specifico
dell'incantamento canoro mentre, nel "Fisiologo" - il più
antico bestiario che si conosca, composto fra il II e il IV secolo
d.C. - la Sirena compare fino all'ombelico in forma umana e, di lì
in giù, come volatile. L'iconografia che vuole questo essere per metà
pesce si diffonde e si radica nella tradizione a partire dall'VIII
secolo con un altro bestiario, il "Liber Monstrorum", benché
testimonianze più antiche, alcuni reperti archeologici e accenni letterari,
suffraghino la probabile coesistenza delle due versioni. Va detto
che ala e pinna, in greco, sono tradotte dal medesimo vocabolo, pterüghion
mentre in latino, pennis e pinnis differiscono per una
sola vocale; si può ipotizzare perciò una confusione linguistica anche
se più credibilmente sia teorizzabile una sovrapposizione simbolica
del remigare aereo col movimento natatorio. Ninfe, demoni o mostri,
le Sirene in modo del tutto ambiguo, come il loro aspetto, veicolano
la fascinazione: ora della corporeità, ora della conoscenza intellettuale...
Nel "Fisiologo" le Sirene "...simili a muse cantano
armoniosamente con le loro voci e i naviganti che passano di là quando
odono il loro canto si gettano nel mare..." Nel "Bestiario
moralizzato di Gubbio" (XII sec.) le Sirene sono di tre tipi
"...alcune hanno la voce come di suono di un'arpa o di una viola
e altre cantano come un flauto o una tromba e altre come una vergine,
così che i naviganti per la dolcezza del canto e la loro melodia si
addormentano e sprofondano in mare...".
Le Sirene dell'Odissea
per contro così cantano: "Qui, presto, vieni, o glorioso Odisseo,
grande vanto degli Achei, ferma la nave, la nostra voce a sentire.
Nessuno mai si allontana di qui con la sua nave nera, se prima non
sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce; poi pieno di gioia
riparte, e conoscendo più cose. Noi tutto sappiamo, quanto nell'ampia
terra di Troia Argivi e Teucri patirono per volere dei numi; tutto
sappiamo quello che avviene sulla terra nutrice". Verosimilmente,
come sottolineava Cicerone nel "Dei confini del bene e del male",
ciò con cui le Sirene potevano imprigionare un uomo come Ulisse era
la Conoscenza; esse rappresentavano le tre potenze dell'anima: Memoria,
Intelligenza e Volontà.
Michele Caldarelli
Silvia De Bei nasce a Milano il 10 maggio
del 1921. Entra giovanissima all'Accademia di Brera dove segue i corsi
di Aldo Carpi e Achille Funi. Suoi compagni sono stati Crippa, Dova,
Alik Cavaliere, Francese, Ajmone, Peverelli, Kodra e fra le pittrici
Tiziana Fantini, Anna Sogno, Antonia Tomasini, Luigia Zanfretta. Dopo
la laurea in giurisprudenza conseguita nel 1943 e una lunga pausa
dovuta a impegni di lavoro, riprende a frequentare i corsi di Walter
Lazzaro e Saverio Terruso. Nel 1981 si diploma all'Accademia. La tesi
su "Il colore in Seurat" relatore Luciano Caramel e successivamente
(1982) la frequenza del corso di cromatologia presso la Nuova Accademia
con Luigi Veronesi, ne chiariscono lo specifico interesse. Nel 1983
segue il corso di perfezionamento in incisione tenuto da Walter Valentini
alla Nuova Accademia. Dall'80 il percorso artistico si certifica attraverso
una serie di mostre personali e collettive e la notazione di scritti
e articoli di critici importanti.
Il Museo del Po
di Revere di proprietà comunale, fondato nel 1983 ha come tema
centrale il fiume, il suo territorio e le sue genti. Ospita undici
sale ricche di testimonianze della storia del fiume, degli animali
che lo popolano e della storia delle sue genti. Dopo l’ingresso con
bookshop, le sale sono suddivise in: il castello e il suo committente,
la sala multimediale, la preistoria e la protostoria, dai Romani all’Umanesimo,
Revere nel XX secolo, le imbarcazioni e la navigazione, i ponti di
barche sul Po, i mulini natanti e gli opifici idraulici, il territorio
di Revere nella cartografia antica e moderna, la caccia e la pesca
nel territorio, l’avifauna e la fauna, il Premio Revere.
Parte integrante del museo
è anche il Fontinalia
Museum - Miti e Simboli delle Acque: una raccolta permanente composta da un centinaio
di opere d’arte e avente come tema conduttore il significato (antropologico-culturale)
che gli uomini hanno attribuito all’elemento acqua,
servendosi dei linguaggi del simbolo, della metafora, del mito,
della leggenda e della fiaba. L’allestimento del Fontinalia Museum,
attualmente in via di riorganizzazione e implementazione, comprende
dipinti, incisioni, fotografie e disegni organizzati lungo un itinerario
espositivo articolato in nove sezioni: L’acqua come manifestazione
del sacro - Le acque come elemento generativo - Le acque della salute
e dell’eterna giovinezza - Le acque inquiete della seduzione e del
mistero - Le acque del desiderio e della passione incontrollata -
Le acque degli ex-libris - Le acque del fumetto e dell’illustrazione
- Le acque della fotografia - Miti, simboli e fantasie delle acque
nella storia dell’arte contemporanea.
Appendice esterna del Museo
del Po è il Mulino
collocato sulla riva destra del fiume a pochi isolati dal Palazzo
Ducale. Il Museo del Po è riconosciuto come museo di interesse regionale.