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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo

Nani Tedeschi
Un Acquario Latino
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Ovidio
Halieuticon Liber, vv. 1-48; 86-127; 130-135
(traduzione di Luigi Picchi)

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Accepit mundus legem: dedit arma per omnes
admonuitque sui. Vitulus sic namque minatur,
qui nondum gerit in tenera iam cornua fronte ;
sic damnae fugiunt, pugnant virtute leones
et morsu canis et caudae sic scorpius ictu,
concussisque levis pennis sic evolat ales.
Omnibus ignotae mortis timor, omnibus hostem
praesidiumque datum sentire et noscere teli
vimque modumque sui. Sic et scarus arte sub undis
si n<assae in patulas fraudes de vimine textas>
decidit adsumptaque dolo tandem pavet esca,
non audet radiis obnixa occurrere fronte:
aversus crebro vimen sub verbere caudae
laxans subsequitur tutumque evadit in aequor.
Quin etiam si forte aliquis, dum praenatat, arto
mitis luctantem scarus hunc in vimine vidit,
aversi caudam morsu tenet atque <ligatur:
liber servato quem texit uterque resultat.>
Sepia tarda fugae, tenui cum forte sub unda
deprensa est- iam iamque manus timet illa rapacis-
inficiens aequor nigrum vomit illa cruorem
avertitque vias oculos frustrata sequentis.
Clausus rete lupus, quamvis inmitis et acer,
dimotis cauda submissus sidit harenis
<dum sensit transisse plagas.
Et mugil> in auras
emicat atque dolos saltu deludit inultus.
Et muraena ferox, teretis sibi conscia tergi,
ad laxata magis conixa foramina retis
tandem per multos evadit lubrica flexus
exemploque nocet: cunctis iter invenit una.
At contra scopulis crinali corpore segnis
polypus haeret et hac eludit retia fraude
et sub lege loci sumit mutatque colorem
semper ei similis quem contegit, atque ubi praedam
pendentem saetis avidus rapit, hic quoque fallit,
elato calamo cum demum emersus in auras
bracchia dissolvit populatumque expuit hamum.
At mugil cauda pendentem everberat escam
excussamque legit.
Lupus acri concitus ira
discursu fertur vario fluctusque ferentes
prosequitur quassatque caput, dum vulnere saevus
laxato cadat hamus et ora patentia linquat.
Nec proprias vires nescit muraena nocendi
auxilioque sui morsu nec comminus acri
deficit aut animos ponit captiva minacis.
Anthias his tergo quae non videt utitur armis,
vim spinae novitque suae versoque supinus
corpore lina secat fixumque intercipit hamum.
<aspice>……………………………………….
aspera num saxis loca sint – nam talia lentos
deposcunt calamos, at purum retia litus –
num mons horrentes demittat celsior umbras
in mare – nam varie quidam fugiuntque petuntque
num vada subnatis imo viridentur ab herbis,
<sol>…………………………………………
oblectetque moras et molli serviat algae.
Discripsit sedes varie natura profundi
nec cunctos una voluit consistere pisces.
Nam gaudent pelago quales scombrique bovesque,
hippuri celeres et nigro tergore milvi
et pretiosus elops nostris incognitus undis,
ac durus xiphias ictu non mitior ensis
et pavidi magno fugientes agmine thynni,
parva echenais – at est, mirum, mora puppibus ingens
tuque, comes ratium tractique per aequora sulci,
qui semper spumas sequeris, pompile, nitentes,
cercyrosque ferox scopulorum fine moratus,
cantharus ingratus suco, tum concolor illi
orphos caerulaeque rubens erythinus in unda,
insignis sargusque notis, insignis iulis,
et super aurata sparulus cervice refulgens
et rutilus phager et fulvi synodontes et ex se
concipiens channe gemino sibi functa parente,
tum viridis squamis parvo saxatilis ore
et varus faber et pictae mormyres et auri
chrysophrys imitata decus, tum corporis umbrae
liventis rapidique lupi percaeque tragique,
quin laude insignis caudae melanurus et ardens
auratis muraena notis merulaeque virentes
inmitisque suae cancer per vulnera gentis
et capitis duro nociturus scorpios ictu,
ac numquam aestivo conspectus sidere glaucus.
At contra herbosa pisces laetantur harena,
ut scarus, epastas solus qui ruminat escas,
fecundumque genus maenae, lamirosque smarisque
atque inmunda chromis, merito vilissima salpa
atque avium dulces nidos imitata sub undis
et squamas tenui subfusus sanguine mullus,
fulgentes soleae candore concolor illis
passer et Hadriaco mirandus litore rhombus.
Tunc apodes lati, tum molles tergore ranae,
extremi<per acumina>………………………
lubricus et spina nocuus non gobius ulli
et nigrum niveo portans in corpore virus
lolligo durique sues sinuosaque caris
et tam deformi non dignus nomine asellus,
tuque, peregrinis acipenser nobilis undis.
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Il mondo accetta una fatale Legge: l’istinto
di sopravvivenza. Per questo ogni essere
sa difendersi. Ad esempio il vitello, anche
se la tenera fronte corna ancora non ha,
può essere violento e così pure fuggono
i daini, si battono i leoni, ringhiano i cani,
punge lo scorpione e i volatili agitano le ali
e poi volano via leggeri. Tutti la morte temono;
l’ignoto che è; così tutti  imparano a fiutare
il nemico e un nascondiglio e conoscono
bene la forza e l’uso della propria arma.
Ecco lo scaro che, con arte sott’acqua, se
mai finisce tra i vimini della nassa (una vera
trappola!), pigliata l’esca, conscio dell’inganno,
non tocca di muso le pareti, ma indietreggiando
le colpisce di coda allargando le stecche,
quindi sguscia fuori. Anzi, se per caso un altro
scaro lo vede dibattersi nel cesto, con le mascelle
il lato posteriore gli afferra e lo tira fuori.
La seppia, lenta a fuggire, se si trova su basso
fondale e si sente braccata, allora secerne
un liquido nero e cambiando direzione
confonde la vista al predatore. Circondata
da reti, la spigola, di solito pugnace, s’inabissa
e si stende sulla sabbia intorbidando l’acqua
con colpi di coda finché il pericolo non sia
passato. E il muggine? Supera le trappole
guizzando in aria, incolume. Feroce la murena,
ben consapevole della propria forma a cilindro,
con sforzo smaglia la rete e, scivolando fuori,
è di esempio alle altre compagne. Il polpo
languido aderisce tutto alla scogliera e astuto
evita la cattura e a seconda dell’habitat
mimetizza il pigmento variandone il colore.
Sa pigliare l’esca beffando il pescatore: dopo
lo strappo della canna affiora in superficie
e molla la presa sputando l’amo. Il muggine,
invece, staccata l’esca con un colpo di coda,
la ingoia. Furibonda la spigola si dibatte
abbandonandosi alla corrente, finché non
ha tolto l’amo dall’ampia ferita, lacerandosi
la bocca. La murena, conscia della propria
forza, lotta tenacemente con i suoi denti
affilati e, se viene catturata, ancora attacca.
La cernia, anche se non vede la sua pinna
dorsale, sa di essere forte: s’impenna e,
recisa la lenza, fugge con l’amo nella carne.
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Fondali rocciosi, bada bene, richiedono
canne flessibili, ma lungo le spiagge tranquille
usa pure le reti. Un’alta rupe con la sua ombra
cupa può attirare pesci e spaventarne altri.
E’ importante anche vedere se nelle secche
c’è vegetazione o se la luce favorisce soste
dei branchi e crescita d’alghe. La Natura,
ha stabilito ambienti diversi e non volle
che vivessero tutti insieme. C’è chi ama
la profondità come cefalottere, sgombri,
le guizzanti corifene, i pesci rondine
con il dorso bruno, il làdano sconosciuto
nei nostri mari e quindi pregiato, il pesce
spada pericoloso come un’arma bianca
o i tonni che a miriadi, fifoni, fuggono
lontano. Poi c’è la remora, cosa incredibile,
capace di rallentare una nave e il colombre
che segue la scia scintillante delle navi.
Tra gli scogli s’imboscano il pericoloso
scorfano, il càntaro, al gusto amaro, e alla
tinta simile l’occhialone e tra il ceruleo
delle onde il rosso fragolino, il sarago
striato, la donzella iridata, lo sparlo
che scintilla d’oro in testa, il pagro
dai lombi scarlatti, i dentici rossastri
e lo sciarrano ermafrodita. Poi i labri
con scaglie verdi e la boccuccia, il curvo
sanpietro e le assortite mormore, l’orata
che splende come oro, le ombrine grigie,
le spigole fameliche, il persico, le mènole
quando sono maschi, l’occhiata riconoscibile
dalla macchia nera sopra la coda, la murena
dalle fascinose sfumature gialle e i merli
di mare verdi scuro, il granchio crudele
che squarcia i propri simili, la scorpena
che non scherza quando ferisce con le spine
della sua fronte e la ricciola che sfugge
alla vista durante la canicola estiva.
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Ma c’è pure chi ama i fondali sabbiosi
e ricoperti d’erba, come lo scaro, unico
pesce che rimastica il cibo ingerito,
le numerose mènole, lo zerro, il làmiro,
l’immonda castagnola, la spregevole
salpa, lo spinarello che come un volatile
si fa il nido, ma sott’acqua, la triglia
con le squame screziate di rosso sangue,
le sogliole d’argento, la platessa dello
stesso pigmento e lungo l’Adriatico
bello è il rombo. Ecco quindi le razze
a forma di disco, le rane pescatrici
che hanno la pelle elastica e la trìgone
con l’aculeo sull’addome, il siluro,
il pacifico ghiozzo, malgrado le spine,
il pallido calamaro che secerne nero
inchiostro e i pesci balestra dalla pelle
coriacea, la conocchia a forma d’arco,
la motella che non si merita il nome
dispregiativo che le si appioppa
e tu, nobile storione che nuoti
lontano.

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