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COSMOGONIE
il grande mistero dell’universo esplorato da
PAOLO BARLUSCONI
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Cosmogonia e psicogonia in Empedocle: un breve tracciato storico-antropologico
di Fabio Gabrielli

   

In primis, i due poemi, Katharmoi e Physika, Purificazioni e Dell’Origine, non sono, come si riteneva in passato, inconciliabili, poiché inconciliabile è la fisica con la mistica, bensì si richiamano vicendevolmente. Ecco come Reale chiarisce il punto in questione: «La fisica empedoclea è tutt'altra cosa da quella moderna e il naturalismo empedocleo non è il materialismo moderno: abbiamo visto, infatti, come i quattro elementi siano considerati “divini” e sono denominati anche con nomi di numi, così come divini sono Amore e Contesa.

Di più, il ciclo del nascere e del perire del cosmo è fatto dipendere dal gioco della Contesa e dell'Amore, in modo analogo al ciclo delle nascite dei singoli uomini, che dipende nella sua origine, da un atto di Contesa e di odio, e nella sua conclusione da un atto di Amore, o comunque da un atto di totale estinzione della Contesa.

Perciò il naturalismo empedocleo reca fin dall'origine un carattere “religioso”, e con questo in certo senso s'accorda la mistica orfica del Poema lustrale; in ogni caso, la mistica orfica è conciliabile con la fisica empedoclea meno peggio di quanto non lo sia con la dottrina dei numeri dei Pitagorici.

Infatti, i Pitagorici non hanno potuto se non affiancare l'anima-dèmone ai numeri, mentre Empedocle dice espressamente che tutto deriva dai quattro elementi e dall'Amore e dalla Contesa: pesci, fiere, uccelli, uomini e donne e anche i “numi longevi”» (2004, 1, p. 222. Non così, invece, Faggin, che nel suo L’anima nel pensiero classico antico, p.40, afferma che la visione dell’anima con una sua individualità e un suo destino, quale emerge dalle Purificazioni, rinvia alla dimensione orfico-pitagorica, in antitesi, e quindi inconciliabile, con il meccanicismo e l’impianto teoretico e scientifico espressi in Dell’Origine. Per la fisica empedoclea, sospesa tra matematizzazione del quantitativo e insistenza sul qualitativo, tra natura qualitativa degli elementi originari e la loro struttura interna e le aggregazioni da cui germinano gli enti individuali di connotazione quantitativa, almeno in parte,  con le connesse aporie, vedi Gentile, 1939, p.62; per le fonti storico-teoretiche, rinviamo ad Aristotele: Metaph., 1, 3, 984 a 8; Phys., 1, 4, 187 a 20; De gen. et cor., II, 334 A 26 e II, 6, 333 B 20 ).

In secondo luogo, come nota giustamente Tonelli (2002, p. 11), l’impianto cosmogonico di Empedocle finisce per sconfinare in una psicogonia, espressiva di una corrispondenza tra microcosmo antropico e macrocosmo (Tonelli  richiama l’analogia tra il  microcosmo antropico e il macrocosmo empedoclei con Atman (Sé individuale) e Brahman (Sé cosmico) della speculazione indiana. Per la differenza, invece, tra la visione più mistica dei Presocratici italici e quella più razionale, speculativa, degli Ionici, vedi Laurenti, 1999, pp. 29 e sgg.). Non solo, la sapienza greca, qui incarnata da Empedocle, sempre nella lettura di Tonelli, non si limita a richiamare il mondo sciamanico panasiatico arcaico, ma anche l’orfismo.

Ecco un passo particolarmente eloquente dello stesso Tonelli, dal quale trarre fruttuose indicazioni antropologiche/animologiche: «Come gli Orfici, Empedocle crede nella metempsicosi, e Katharmói già nel titolo allude alla vita come processo di purificazione che consente il recupero della pace e dell'armonia originaria simboleggiata dallo Sfero, smarrita per avere privilegiato la via di Contesa, piuttosto che quella di Amore.

Il sapiente riconosce il proprio errore originario - avere seguito la via di Contesa - e la sua parola è attraversata da un senso di nostalgia struggente per la perfezione perduta. Ma la caduta (orfica) dell'anima nel mondo in cui agisce Contesa, è passibile di riscatto. La purificazione che nasce da una condotta di vita scevra da violenza e consacrata all'osservanza tutta pitagorica di prescrizioni e divieti consente di ottenere reincarnazioni privilegiate, come veggenti, poeti, medici, capi, e infine come dei.

Tale, l'aspirazione di Empedocle: vivere in un mondo in cui non vi sia spazio per Contesa, e quindi per il dolore e la violenza, e ricongiungersi con la natura mistica originaria, di cui è simbolo lo Sfero; e i mezzi adeguati al conseguimento di questa armonia sono la consapevolezza di sé e la conoscenza, unite al rifiuto della violenza e a un'etica della purificazione, vale a dire della liberazione progressiva dall'incarnazione e dalla dimensione animale»(2002, p. 12).

Tonelli sottolinea giustamente il fondo orfico dell’antropologia empedoclea, quale emerge a tutto tondo nel celebre frammento delle Purificazioni, dove l’anima è paragonata a un demone, esiliato dagli déi, a seguito di crimini di sangue o per avere prestato fede alla Contesa; il peregrinare nello spazio-tempo dell’anima-demone per circa trentamila anni (metensomatosi) costituisce, peraltro, l’elemento-chiave per ricollegare Empedocle a Pitagora e agli gnostici, occidentali e orientali (Bianchi, 1975, p.148).

 

Ma ecco il frammento in questione:

 

È vaticinio di Necessità, decreto antico degli dei, eterno,

 

sigillato da ampi giuramenti: se qualcuno, per suo errore

 

contamini di sangue le sue membra, o dopo avere sbagliato

 

a opera di Contesa giuri il falso, costoro,

 

come  demoni che hanno avuto in sorte vita longeva,

 

per tre volte diecimila stagioni vadano errando

                                                                       lontano dai Beati,

 

rinascendo nel corso del tempo in molteplici forme mortali,

 

permutando i travagliati sentieri della vita.

 

Perché la forza dei venti li caccia nel mare

 

e  il mare li risputa sul dorso della terra, e la terra

 

contro i raggi del sole rifulgente, e il sole ancora

 

nei vortici dell’etere:

 

l’ uno li riceve dall'altro, ma li odiano tutti.

 

E anch'io adesso sono uno di costoro,

esule dagli dei ed errante,

 

per avere confidato nella folle Contesa (fr. 118).

 

 

  

 

Altrettanto esplicativi sono i seguenti frammenti:

 

- Da quale rango, da quale culmine di felicità (fr. 123);

- giungemmo sotto quest’antro coperto (fr. 124);

 

- Piansi e gemetti, vedendo un luogo estraneo (fr. 125);

- Terra che cinge i mortali (fr. 126);

- Rivestendoli con una tunica di carni ad esse sconosciuta (fr. 127);

- Ahimé, o stirpe infelice dei mortali, o due volte sventurata,

 da quali contese, da quali gemiti nasceste! (fr. 131);

- Fuori di senno per gravi cattiverie,

 non libererete mai l’animo da angosce tormentose (fr. 140);

Ed, infine, a proposito della metensomatosi:

 

Perché  già una volta io fui fanciullo e fanciulla

e arbusto e uccello

e pesce muto che guizza fuori dal mare (fr. 142).

 

Gli elementi che emergono da queste cospicue testimonianze rinviano a due tematiche fondamentali:

 

1) In primo luogo, il tema della caduta con il connesso vissuto della reintegrazione, chiave archetipica di ogni forma sapienziale o religiosa ed espressivo dell’io lacerato, poiché strappato al suo fondamento e, quindi, intriso di pensiero delle origini.

 Ecco come Eliade intercetta il problema: «Prima che il mondo diventasse preda del male e prima che scoppiasse la lotta tra i due Principi, esisteva uno stato unitario , indifferenziato, “totale”. Il dualismo è un destino della attuale condizione cosmica e umana. Ma , all’inizio, ab origine, in principio, non esisteva conflitto, non esistevano “parti”, e così succederà alla fine; tutto ciò che è ora spezzato e moltiplicato sarà di nuovo totalizzato, unificato» (1989, p. 47).

La caduta (ptoma) entra nella grecità in senso forte a partire dall’orfismo, assumendo, dal punto di vista filosofico, valenza esistenziale, etica, antropologica e metafisica. Di conseguenza, è un tema rilevante nello stesso Empedocle, debitore anch’egli dell’orfismo ( tra gli altri, cfr. in particolare il fr. 131 attestante un chiaro pessimismo orfico nei confronti del nostro stare al mondo qui e ora; vedi anche Hom., hymn. in Cer., 256-257)

Se prendiamo in esame il fr. 125, vediamo subito come emerge la nostalgia della condizione di felicità (fr. 123), rispetto alla quale - vedi le laminette orfiche - il nostro qui e ora appare “luogo estraneo”, poiché si configura come straniera tunica della carne (fr. 127, con chiari riferimenti all’antisomatismo orfico). L’essere nati dal gemito dalla lacerazione della Contesa (fr.131) provoca angoscia e indicibile tormento (fr. 140).

La caduta, in un frammento del Papiro di Strasburgo, assume addirittura toni apocallitici, pur senza la dinamica della rivelazione e della rinascita, nella misura in cui lo spietato e necessitante decreto delle Arpie condanna alla putrefazione nel profondo del Vortice la razza di coloro che hanno ceduto all’impulso della riproduzione e al connesso principium individuationis, poiché sedotti da Contesa e, in generale, dalla dimensione sublunare connotata dalla polarità Philia- Neikos:

 

Divisi gli uni dagli altri cadere e seguire il destino fatale

costretti a molte sventure sotto i colpi della necessità funesta

putrefacendosi. Anche se ora abbiamo

                                                                              Amicizia e Benevolenza,

le Arpie ci avvicineranno con decreti di morte.

Ahimé che il giorno spietato non mi ha fatto morire prima,

prima che con i miei artigli meditassi azioni infami

                                                                              di nutrimento!

Adesso bagno inutilmente di pianto le mie guance

                                                                              in questa tempesta.

Perché credo che ormai siamo giunti nel profondo del Vortice

e anche se essi non vogliono dolori innumerevoli

                                                                              si avvicineranno al cuore

degli umani. Ma noi ritorneremo ancora a quelle parole:

quando  sopraggiungeva la fiamma che non si consuma

]levando in alto il frutto della mescolanza destinato

                                                                              a molto dolore

] furono generati esseri capaci di riprodursi

] di essi ancora adesso la luce del giorno vede le reliquie

]giunsi al luogo estremo

]con  urlo e grido lacerante

]poiché avevo raggiunto il prato di Ate

]ancora, intorno, la terra

 

(P. Strasb. gr. Inv. 1665-1666 d, vv. 1-19, Tonelli. Da notare come il verso 4 ci rimandi al fr. 107:«tutti questi insegnamenti ti saranno vicini per l’eternità»; i versi 5-6 rinviano, invece, al fr. 134: « Ahimé che il giorno spietato non mi ha fatto morire prima, /  prima che con i miei artigli meditassi azioni infami / di nutrimento»; i versi 11-12 ricordano il fr. 50: «Animo, ora ascolta come il Fuoco separandosi levò in alto / germogli notturni di maschi e di femmine dalle molte lacrime…»; il verso 17, infine, richiama il fr. 128: « per coloro che errano nella tenebra, lungo la prateria di Ate»).

Essere gettati nel principium individuationis provoca “urlo e grido lacerante”che neppure l’Iniziato, coinvolto anch’egli nel ciclo delle incarnazioni,  sembra riuscire a rendere silente , poiché impossibilitato a rendere attiva la redenzione escatologica.

 

2) Un secondo elemento è, invece, ravvisabile nella dialettica metensomatosi-iniziazione e la sua connessione con la progressiva uscita dal Dinos (P. Strasb. gr. Inv. 1665-1666 d, vv. 1-19, Tonelli),  il Vortice, per indiarsi (il termine Dinos significa “vortice”, ma anche , in una  seconda accezione, “vertigine”, significato non casuale, se si pensa come la caduta nel qui e ora, nel principium individuationis, provochi angoscia, spaesamento, disorientamento, alienazione e, appunto, vertigine esistenziale).

 

In particolare, i frammenti 118 e 142 sono intessuti di spiritualità orfica:

 

A) Nel fr. 118 l’impianto cosmologico struttura quello etico, nella misura in cui la fiducia nella Contesa comporta innumerevoli rinascite fino alla purificazione e il ritorno alla propria condizione di “Beato” (v.6), in particolare i vv.3-8 richiamano l’ambito orfico-pitagorico - oltre ad un possibile contatto con simili dottrine orientali – proprio per il forte riferimento al tema del doloroso esilio terreno, dalla primigenia condizione beata, per le anime lontane dai sentieri di Amore: le anime che attraversano il ciclo delle rinascite sono assimilate a demoni con vita longeva, e, nel fr. 144, si parla di indistruttibilità, di sostanze immortali (se le anime sopravvivano o meno alla dissoluzione dello Sfero non è dato sapere, come confermano sia Tonelli (2002), sia Bignone (1963); da ultimo, ŒAνάγκη, principio ordinatore cosmologico, rinvia all’orfica Dike).

 

B) Per quanto concerne il fr. 142, va sottolineato - vedi anche fr. 133 -  come il sapiente, grazie all’anamnesi, colga dentro di sé le innumerevoli forme esistenziali che ha assunto prima di quella attuale: giustamente Tonelli (2002, p. 128) evidenzia come «la credenza nella metempsicosi individuale sconfina nel senso dell’interconnessione tra tutti gli esseri, e dell’unità di tutte le cose», con evidente riferimento alla concezione squisitamente greca della reductio ad unum.

Il frammento in questione sembra richiamare anche il celebre fr. 45 di Eraclito: il viaggio iniziatico, in ampiezza e profondità, dell’anima che si autointerroga e si autoconosce . 

 

C) Empedocle, tanto nel suo messaggio filosofico di fondo quanto in quello sapienziale-iniziatico, si prefigge lo scopo di creare un mondo armonico, improntato ai dettami di Amore, dove regni pace e giustizia e dove, tramite l’autoconoscenza e l’etica della non violenza e delle purificazioni, l’anima possa sottrarsi al dramma delle reincarnazioni e dell’animalità.

 Come recita il fr. 144 (cfr. anche fr. 143): «spartiscono focolare e mensa con altri immortali, / non partecipi delle sofferenze umane, indistruttibili» (il Nostro sottolinea come coloro che si sono liberati dai lacci del corpo e dalla cattività di Contesa possono prendere parte al mistico simposio, a cui sono estranei la dolorosa angoscia, la morte e l’annichilimento).

Non solo, nel fr. 139, accanto all’invito a seguire la pratica del digiuno e dell’astinenza da determinati cibi, è sotteso il richiamo a evitare prevaricazione e sopruso sugli esseri viventi, compresi gli animali. A questo proposito il fr. 121 è paradigmatico:

 

E il padre, sollevando in alto il figlio che ha mutato forma,

lo sgozza levando invocazioni. Grande stupido!

E coloro che sacrificano l’implorante esitano incerti,

ma quello, sordo alle sue grida, lo sgozza

e prepara nella sua casa un banchetto scellerato.

Così il figlio agguanta il padre, e i figli la madre,

e ne strappano via la vita, divorano la propria carne.

 

I versi empedoclei, chiaramente intessuti di elementi orfico-pitagorici, polemizzano contro i sacrifici animali, poiché, in base alla metensomatosi, l’anima può reincarnarsi in un animale, cosicché un padre rischia di sacrificare il proprio figlio che può avere assunto forma animale, e così il figlio nei confronti dei propri genitori (per il rapporto uomo-animali nel mondo antico, cfr. AA.VV., Centro di Bioetica di Genova, 1994; nel caso specifico di Empedocle, cfr.soprattutto pp. 26, 74, 91, 109. Di rilievo una testimonianza di Cicerone, che, richiamandosi a Pitagora ed Empedocle, sottolinea come un solo diritto accomuni tutti i viventi e, quindi, sia delittuoso fare violenza ad una bestia: «Pythagoras et Empedocles, unam omnium animantium condicionem iuris denuntiant […]. Scelus est igitur nocere bestiae»: La repubblica, 3.19).

 

BIBLIOGRAFIA

 

AA. VV. / Centro di Bioetica di Genova, Filosofi e animali nel mondo antico, Edizioni ETS, Pisa 1994.

    Bianchi U., La religione greca, UTET, Torino 1975.

Biès J., Empédocle et l'Orient, in “Bulletin Association Budé”, 1968, pp. 365-403.

Bignone E., Empedocle. Studio critico, traduzione e commento delle testimonianze e frammenti, L’Erma di Bretschneider, Roma 1963.

Böhme R., Orpheus. Der Sänger und Seine Zeit, Bern-München 1970.

Bollack J., Empédocle, Paris 1992.

Casadio G., La metempsicosi tra Orfeo e Pitagora, in Orphisme et Orphée. En l’honneur de Jean Rudhardt, Genève 1991, pp. 119-155.

Cataudella Q., Empedoclea, “Rivista di filologia e d'istruzione classica” N. S. 38,1960, pp.124-132.

Eliade  M., Il mito della reintegrazione, Jaka Book, Milano 1989.

Empedocle, Frammenti e testimonianze, a cura di A. Tonelli, Bompiani, Milano 2002.

Faggin G., L’anima nel pensiero classico antico, s.n.t., pp. 29-69 (vedi anche W. Capelle, Heracliteum, “Hermes”, 1924, pp.121 e sgg.).

Gentile G., La metafisica presofistica, Cedam, Padova 1939 (ora: La metafisica presofistica. Il valore classico della metafisica antica, Petite Plaisance, Pistoia 2006).

Laurenti R., Empedocle, D’Auria, Napoli 1999.

Reale G., Storia della filosofia greca e romana, Bompiani, 1, Milano 2004.

 

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