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La colpa antecedente nella cosmosofia e nell’antroposofia dell’orfismo

di Fabio Gabrielli

 

Una lettura attenta della religiosità greca, intesa come complesso di istituti e credenze che a vario livello quella religiosità condizionano, evidenzia a tutto tondo, all’interno di questo complesso, due fondamentali tendenze, non separabili sul piano storico, bensì diversamente intrecciate, pur con irriducibili caratteri e timbri antropologici:  stiamo parlando di una componente olimpica e una mistica.

Un punto, questo, che Bianchi lumeggia in modo paradigmatico: «A una religione che chiameremo “olimpica”, proprio della quale è il rigido principio gerarchico di una separazione, quasi di una accentuata distinzione tra il mondo degli dèi, gli “immortali”, i “felici” (μάκαρες,  ‘ρει̃α ζώοντες),, e gli uomini, i “mortali”, soggetti alle pene della vita, estrema e più caratteristica delle quali la morte con il soggiorno tenebroso e vacuo nell'Ade, sembra contrapporsi, spesso convivendo nei medesimi ambienti geografici e culturali, e perfino nell'ambito del medesimo documento, una religiosità che meglio si chiamerebbe di tipo “mistico” […]: religiosità che accentua, al contrario della olimpica, la possibilità per l'uomo di entrare in contatto caldo e diretto con il divino (e - siamo in Grecia! -), con il cosmico»(1975, p. 36).

Questa prassi religiosa, espressiva di una interferenza metafisica ed esistenziale tra l’umano e il divino, può essere qualificata con diversi attributi: mistica, appunto, misterica, misteriosofica, demetriaca o dionisiaca.

I due termini che prendiamo in considerazione sono:

- mistica, cioè una calda, vissuta interferenza tra l’umano e il divino, nella misura in cui: «[…] alcuni dèi sono coinvolti in vicende non compatibili con una loro olimpica impassibilità, e che gli uomini, partecipando in vario modo e a vario titolo a tali vicende, si trovano con gli dèi in un rapporto di solidarietà se non addirittura di affinità o di connaturalità»(Bianchi, 1976, p. 60).

- misteriosofica, concetto che rinvia a dottrine religiose greche che reinterpretano alla luce di una sophia, una conoscenza “sapienziale”, elementi, credenze e prassi mistiche o misteriche. La categoria misteriosofica si annuncia con tratti ben precisi, in particolare l’idea che nell’uomo alberghi un principio divino, “gettato” nel mondo e nel corpo come luoghi ontologicamente innaturali, visti come prigione o tomba per l’anima, che per origine, natura e destino aspira a reintegrarsi al divino al quale da sempre appartiene.

Esempi classici di misteriosofia sono il pitagorismo, il platonismo, e, appunto, la religiosità orfica, con i loro connessi corredi esacatologici e soteriologici, espressivi di una ricerca -  soprattutto nell’orfismo -  da parte dell’anima dell'unità perduta, accompagnata da una vibrante “nostalgia del Centro”, cioè dell’Origine edenica smarrita lungo i sentieri inospitali, strazianti dell'esistenza (Gabrielli, 1993; 2004).

Ecco come Eliade, con il consueto nitore, esprime questo concetto: «Prima che il mondo diventasse preda del male e prima che scoppiasse la lotta tra i due Principi, esisteva uno stato unitario indifferenziato, "totale". Il dualismo è un destino della attuale condizione cosmica e umana. Ma, all'inizio, ab origine, in principio, non esisteva conflitto, non esistevano "parti", e, così, succederà alla fine; tutto ciò che ora è spezzato e moltiplicato sarà di nuovo totalizzato [...], unificato» (1989, p. 47).

Il conseguente dualismo cosmico (umano –divino) e antropologico (anima –corpo, con il conseguente antisomatismo, collegato con la dottrina della metempsicosi), inteso come lacerazione dell’Uno primordiale, dell’Unità originaria, rinvia ad un preciso contesto cosmogonico ed antropogonico, declinabile nei termini della “colpa antecedente”, che l’orfismo incarna in modo peculiare.

La “colpa antecedente”, nettamente diversa dal peccato originale, commesso alle origini dal primo uomo, si radica entro il dualismo, inteso come categoria storico-religiosa, precede l’esistenza, la fonda, la condiziona e si situa a livello pre-cosmico, ovvero nel divino o nei Principi originari (Bianchi, 1966, pp. 117-126; 1976, p. 55).

La cosmosofia orfica è fortemente incentrata, come quella empedoclea, sulla tragica contrapposizione tra l’Unità primigenia, da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna, e la lacerante molteplicità cosmica, intesa come vita fenomenica e luogo dell’esilio per l’anima, costretta a pagare il fio delle colpe commesse a livello pre-cosmico.

L’orfismo, in questo senso, insiste “su uno stato di positiva impurità dell’anima stessa” (Bianchi, 1976, p. 61), che, per usare le parole di Empedocle, ” ha creduto alla funesta Discordia” e, di conseguenza, viene a trovarsi prigioniera in un corpo, inteso come tomba, prigione o “custodia” (phrourá): vedi, per esempio, l’equazione sōma – sēma, corpo -tomba, del Cratilo platonico (402 B), anche se non direttamente riferita agli orfici, e il frammento empedocleo relativo alla “tunica corporea” o “tunica di carne” (B 126 D).

In definitiva, la “colpa antecedente si configura come una disgregazione originaria dell’anima, che comporta una separazione pre-cosmica dall’Unita primigenia, ed è espressiva di un marcato dualismo tra vita fenomenica e vita meta-fenomenica.

Altro carattere specifico della “colpa antecedente” è la sua indeterminatezza, il suo carattere remoto, così come ci viene testimoniato da tutta una serie di documenti davvero esemplari: naturalmente, in questa breve nota, ci limitiamo a riportarne solo alcuni, comunque sufficienti a confermare e a corroborare quanto stiamo affermando.

1) Cicerone, Hortensius, fr. 88 (Kern, Orphicorum Fragmenta, 8): « Quegli antichi vati e interpreti della divina mente dissero che noi siamo nati per pagare il fio di alcune colpe contratte nella vita precedente». Come si vede l’espressione “alcune colpe” (aliqua scelera) rimarca a tutto tondo l’indeterminatezza delle colpe commesse.

 

2) Filolao, frag. 14 (Kern 8): «Testimoniano anche gli antichi teologi e indovini (= gli Orfici) che è per punizione di alcune colpe che l’anima è congiunta al corpo ed è come sepolta in questo corpo».

Come giustamente fa notare Bianchi: « Il testo ricorda quello di Cicerone nella comune concezione che questa vita sia in funzione di una punizione. In particolare notiamo l'espressione diá tinas timorias che letteralmente significherebbe " per qualche punizione”, ma meglio va tradotta con “per punizione di qualche cosa”, o meglio “di certe cose”: e per il plurale e per l’uso dell’indefinito torna l’allusività di cui sopra » (1976, p. 66).

 

3) Giamblico  Prot., VIII 134, p. 47, 21 Pist. (Kern 8): «Tutti in stato di punizione ... l'anima è punita e noi viviamo per subire la pena di alcune grandi colpe».

In quest’altro frammento, si noti come non venga chiamato in causa l’uomo “in carne ed ossa”, l’uomo fenomenico, bensì l’anima che si trova in uno stato di punizione sia sul piano dell’universalità temporale, sia su quello dell’universalità spaziale.

 

4) Laminetta orfica di Thurii (Kern, 32 e 4):  «L’anima confessa di aver pagato il fio per delle azioni ingiuste».

Anche qui il termine “fio” (poiná) si riferisce ad azioni indeterminate, indefinite, remote e, quindi, declinabili nei termini della “colpa antecedente” (per eventuali approfondimenti sulle “laminette orfiche” o “auree”, mi permetto di rinviare il lettore al mio saggio: L’antropologia dell’orfismo, 1993, pp. 55- 78).

Da ultimo, è interessante notare come l’indeterminatezza che contrassegna questa cosmosofia e questa antroposofia sia gravida, come testimonia una lettura integrale delle “laminette orfiche”, di ricadute esistenziali: la nostalgia dell’Origine, l’angoscia connessa alla vita fenomenica, l’abbandono, lo smarrimento antropologico e ontologico.

 Queste tematiche ci permettono delle feconde comparazioni con la tragicità della vita terrena in ambito gnostico, con lo smarrimento dell’uomo pascaliano tra infiniti spazi “ e con l’”esser - gettato” (Geworfenheit) di Heidegger: si tratta di temi davvero suggestivi e pregni di raffinate riflessioni sul nostro “stare al mondo”; per ragioni di spazio, naturalmente, non possono essere affrontati in questa sede, per cui rinvio il lettore a: Löwith (1950), Jonas (1973), Gabrielli (1993).

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Bianchi U., Péché originel et péché antécedent, in “Revue de l’histoire des religions, t. 170 (1966), PP. 117 -126 (l’Autore, in queste dense pagine, concentra la sua attenzione sulla fisionomia della “colpa antecedente” e la sua contrapposizione con il peccato originale).

Bianchi U., La religione greca, UTET,  Torino, 1975.

Bianchi U., Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino, il male, la salvezza, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, Roma, 1976.

Eliade M., Il mito della reintegrazione, Jaka Book, Milano, 1989.

Gabrielli F., L’antropologia dell’orfismo. Anime gettate. Il dramma dell’esilio corporeo dell’anima e la nostalgia del divino nell’antropologia orfica, Firenze Atheneum, Firenze, 1993.

Gabrielli F., L’oro della sapienza. Sull’anima: laboratorio filosofico per l’uomo tecnologico, Dialogolibri, Como, 2004.

Jonas H., Lo gnosticismo, SEI, Torino, 1973.

Kern O., Orphicorum  fragmenta, Berlin, 1922.

Löwith K., Man between Infinities, “Meas. Crit. Journ”, Chicago, 1950.

 

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