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COSMOGONIE
il grande mistero dell’universo esplorato da
PAOLO BARLUSCONI

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Museo di Scienze Planetarie - Prato 12 marzo 2011


convegno
Arte, Storia e Scienza raccontano il Cosmo

 

Silvana Barbacci
IL CIELO NUOVO
UNA SPERIMENTAZIONE TEATRALE
SULLE PRIME SCOPERTE ASTRONOMICHE GALILEIANE

Fra i modi in cui si possono sperimentare forme di creatività legate alla comunicazione della scienza, l’ambito teatrale offre possibilità piuttosto ampie, seppur non facili, in quanto offre strumenti, quali la creazione del testo, la presenza viva dell’attore, l’uso di parole e silenzi, di luci e costumi e dello spazio scenico per creare una performance che lega strettamente scienza e arte. Come esempio di questa possibilità vorrei citare il caso del progetto “Il cielo nuovo – una narrazione poetica sulle scoperte astronomiche galileiane”.  Questo progetto è stato prima di tutto un progetto di carattere culturale che si è concretizzato in un’attività sperimentale di comunicazione sulla storia della scienza di tipo narrativo, prodotta dal Museo di Storia della Scienza, di Firenze, oggi Museo Galileo, nell’ambito del progetto europeo Cultura 2000, World View Network (2004), dedicato ai cinque personaggi storici che contribuirono in modo fondamentale alla costruzione di una nuova visione dell’universo: Nicolò Copernico, Johann Kepler, Tycho Brahe, Galileo Galilei e Isaac Newton.
Il progetto de “Il cielo nuovo” era nato con lo scopo di trasmettere gli elementi fondamentali delle prime scoperte astronomiche galileiane e il clima culturale in cui avvennero attraverso un  linguaggio poetico. Nella costruzione del testo (che si configura in un monologo di 50 minuti), si era partiti da elementi molto concreti appartenenti alla storia della scienza e del pensiero scientifico in un momento di trasformazione cruciale e di rottura con la tradizione come è simbolicamente e non solo simbolicamente rappresentato dal 1610, anno di pubblicazione del Sidereus Nuncius. Si è passati poi a una trasfigurazione poetico-narrativa che rende peculiare la forma di comunicare questi contenuti culturali al pubblico.
L’idea iniziale è stata quella di ambientare la scena a Venezia, immediatamente dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius.
L’autore del testo,Tommaso Correale Santacroce, ha scelto come protagonista un abile artigiano del vetro, Merlo. Si tratta di un personaggio con una grande capacità manuale nel costruire lenti, e sufficientemente colto da poter leggere il Sidereus Nuncius, il libretto che Galileo fece stampare a Venezia in cinquecento copie e che andò immediatamente esaurito, suscitando stupore e curiosità in tutta Europa per i suoi contenuti rivoluzionari.
Lo stesso libro, insieme a ammirazione, suscitò forti opposizioni, proprio perché in esso vi erano annunciate cose nuove, basate sull’osservazione del cielo attraverso il cannocchiale, che contenevano un potenziale “sovversivo” in quanto andavano contro il sapere costituito e conservato pressoché immutabile dalla tradizione. Nel Sidereus Nuncius, Galileo annuncia di aver visto la superficie della luna, non affatto perfetta come era nel modello cosmologico aristotelico-tolemaico, ma scabra e montuosa, “fatta di terra”. Annuncia di aver visto la miriade di stelle della Via Lattea e i satelliti di Giove, quattro corpi celesti orbitanti intorno al pianeta.
Di tutte queste cose racconta Merlo, lasciando emergere i pericoli e i presupposti di profondo cambiamento che suscita l’annuncio di questi elementi alla base di una nuova immagine dell’universo. I pericoli sono da una parte storicamente oggettivi (l’ostilità dell’Inquisizione, per esempio) e dall’altra riguardano una dimensione più esistenziale che ha a che fare con i rischi a cui si sottopone ciò e chi va contro-corrente.
E Merlo è pienamente un personaggio contro-corrente: non appartiene a élite protette, soffre di epilessia, è molto abile nell’arte della lavorazione del vetro ma è mancino e “fa le cose a modo suo” e anche se le fa bene, questo fare a modo suo gli suscita le antipatie di molti. E’ amico di frate Sarpi, che pur essendo il consulente teologico del governo della Serenissima, è inviso ai membri dell’Inquisizione, tanto che, solo tre anni prima, era stato fatto oggetto di un attentato.
Merlo è affascinato dalla figura di Galileo ed è interessato alla nuova cosmologia. E’ curioso e vuole sapere e soprattutto vuole incontrare Galileo, di cui ha seguito qualche lezione all’università, e che ha visto a Venezia, nell’arsenale mentre discuteva con i proti. Ci riuscirà. Sarà un breve incontro, ma carico di emozione. Dopodiché costruirà egli stesso il cannocchiale. Lo farà alla fine del racconto, che si concluderà con l’osservazione del cielo, della luna e delle stelle. E il finale rimarrà aperto… Se il cielo è così, se non è più quello perfetto di Tolomeo, se il sole sta al centro e i pianeti ruotano intorno, allora perché non cadono su di noi? Perché “stanno su”? E chi ha lanciato, all’inizio, i pianeti? E quello che si vede attraverso il cannocchiale, è vero?
L’interesse nel creare questo progetto è legato anche al modo in cui è stato strutturato, cioè partendo da una selezione di pochi elementi “scientifici”, che sono poi quelli contenuti nel racconto scientifico narrato nel Sidereus Nuncius, e da un’approfondita indagine di carattere storico volta a scendere nella complessità del clima dell’epoca creatosi intorno alle scoperte galileiane, con una prospettiva “dal basso”.
La difficoltà del lavoro è stata quella di tradurre tutto questo in una forma espressiva (che include la parola e la scena) che potesse arrivare a tutti. Non è infatti stata fatta alcuna scelta di pubblico a priori, anche se gli appuntamenti del mattino del ciclo di rappresentazioni fatte al museo erano specialmente rivolti alle scuole, a partire dalla seconda media in su. Si è lavorato, piuttosto, partendo dal punto di vista che le idee, e il senso, tradotto con cura in forma artistica, ha la caratteristica di “arrivare” a tutti, attraverso diversi livelli di possibilità di comprensione e di coinvolgimento. Il testo, nella sua interpretazione, si presta infatti a molti gradi di ascolto.
In sostanza, si è trattato di un tentativo sperimentale non solo nel fatto di intrecciare scienza e teatro, ma di far uscire contenuti profondi e basilari della nostra cultura (così come lo è stato tutto il processo di cambiamento di prospettiva che è disceso dal lavoro galileiano in campo astronomico) per portarli verso tutti noi, individualmente e collettivamente, che a questa cultura apparteniamo.
In questo senso credo che un testo privo di fronzoli e altamente poetico al tempo stesso, che parte dalla “materialità” delle cose, e dalla semplicità e essenza dei contenuti, interpretato su una scena semplice e essenziale essa stessa, da un attore che risponde in pieno e arricchisce con una straordinaria interpretazione gli elementi strutturali di questo progetto, costituisca un risultato del tutto positivo rispetto ai presupposti con cui si è lavorato. La risposta del pubblico è stata in sintonia con le aspirazioni e lo spirito con cui è stato elaborato il progetto.
Durante le repliche che sono state fatte al museo, e nelle ulteriori occasioni in cui è stato rappresentato nel tempo, lo spettacolo si è rivelato di forte impatto.
La sua dimensione raccolta (il pubblico infatti non può superare in generale più di cinquanta persone per spettacolo), l’efficacia del testo, la capacità dell’attore e la forza della semplicità dell’intera realizzazione hanno infatti sempre suscitato un grande interesse che si è esplicitato in una forma di ascolto molto silenziosa, attenta e partecipe.
Tra gli altri aspetti interessanti di questa realizzazione individuerei la possibilità di mobilità di questo spettacolo che è partito dal museo, e si è trasferito poi in teatri e manifestazioni culturali di diversa cifra caratteristica, dimostrando la capacità di coinvolgere pubblici molto differenziati. E soprattutto il non poter essere incasellato in una dimensione “ristretta” e settoriale, ma avere le potenzialità per contenuti, modalità espressive e struttura di progetto di essere trasportato in molti “luoghi” differenti.


Silvana Barbacci laureata in ingegneria elettronica all'Università di Firenze (1995), ha conseguito il Master in comunicazione della scienza (2001) presso la SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste con una tesi dal titolo "Un caleidoscopio magico: la scienza a teatro". Svolge da allora attività di consulenza nella progettazione, sviluppo e gestione di iniziative di diffusione della cultura scientifica, anche a carattere internazionale, con un particolare interesse per la dimensione storica. Ha sviluppato nel tempo un'attività di ricerca sui rapporti tra arte e scienza, anche attraverso la realizzazione di progetti sperimentali e ha pubblicato vari articoli in questo ambito.

  

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