Archivio Attivo Arte Contemporanea
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mostra tematica
L'UOMO-PIANTA

ovvero
"del rinnovamento"


La paura del verde
di: Eugenio Battisti

Mentre sono infiniti gli uomini (e gli dei) che si trasmutano in bestia, pochi ne ricordo (anzi sono soprattutto donne) che si snaturano in piante: le sorelle di Fetonte lungo le placide rive del Po, e Dafne, costretta dalla sua voglia di castità a rivestirsi di corteccia. C'è una specie di ostilità (e mi perdonino i verdi) fra mondo umano e vegetale, quasi che l'incompatibilità porti a una reciproca diffidenza. E' vero che i vasi dei fiori, in casa, vogliono essere coccolati e visitati dai loro padroni, e che l'aristocratico o il borghese non sanno vivere senza giardini, ma poi, nel mito, l'albero cumulandosi ad albero crea una temibile foresta, dove s'intanano i mostri (e lo vediamo ancora nei films d'avventura); o nella medicina popolare, l'atto di estrarre le radici dalla terra può condurre (lo insegna la mandragola) a morte. Peggio ancora quando le foreste camminano, mascherando gli agguati dei nemici, nascosti dietro alle verdi fronde. Quell'anima che nelle bestie dà luogo a reazioni incontrollabili, permettendo le astuzie della caccia o i vantaggi dell'addomesticamento, nelle piante è invisibile e forse aggressiva, nascosta dentro al midollo. Lo dimostrano i cento veleni e gli afrodisiaci che se ne ricavano. Inoltre, nella sua apparente passività, l'albero è punitivo: lo dice Leonardo in una delle sue massime : "chi scalza il muro quelo gli cade adosso / chi taglia la pianta quella si vendica con la sua ruina". Ci sono però eccezioni, quelle forse che in nome del "rinnovamento" qui da celebrare vanno enumerate. Anzitutto, l'emblema, caro ai primi Medici, del ramo spezzato che rinverdisce, per dirla di nuovo con Leonardo: "Albero tagliato che rimette"; tema che dà luogo ad una celebre allegoria del Lotto ed una epopea di conversione dai vizi corporei alle virtù intellettuali. Poi (anzi prima) la comparsa, nella decorazione gotica, di splendide facce solari, che al posto dei raggi hanno foglie e tralci, un motivo che a distanza di secoli, diventando femminile, si collega alla donna liana, corolla, petalo di rosa del simbolismo ottocentesco, dell'art nouveau e della pubblicità. Qui il simbolismo è capovolto; il verde è quello della primavera, la simbiosi si realizza a tempo di valzer e su melodie da romanza, ma ahimè nel ricordo ecco affiorare, entro una palude fiorita, i fantasmi delle amanti suicide, dimostrando come la sessualità delle corolle, la contorsione delle liane, il grondare delle linfe, restino, per l'uomo, una presenza inquietante, troppo piena di vitalità, anche se non dialogante, perchè si stabilisca veramente un accordo, e le difficoltà della coesistenza, su cui la pianta sempre vincerà dopo la nostra morte, si plachino in una catarsi.

(Roma, 1987)

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