Archivio Attivo Arte Contemporanea
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SPA BORDOTTI (BORDOLI-MORANDOTTI, tra figure e parole)

Più che una storia (o se si preferisce, un flusso di storie), è una geografia che si delinea e progressivamente si evidenzia, in questo singolare connubio creativo, un vero e proprio accoppiamento giudizioso, tra parola e immagine, tra segno e suono, quale è quello che si istituisce tra le 17 "carte dipinte" di Bruno Bordoli e la Tavola Pitagorica di Lorenzo Morandotti. Una geografia e, si capisce, un'aritmetica, intesa quest'ultima come un gioco, serio e faceto al tempo stesso, in cui i numeri (intesi come cifre e come misure metriche) si reinventano creando un paesaggio fisico e contemporaneamente mentale, astratto quanto basta per vedervi agire un progetto che si costruisce a poco a poco, tassello dopo tassello, immagine dopo immagine, attraverso un sistema di arsi e tesi, accenti e cesure, sistoli e diastoli del segno e del sogno, nel delirio dei colori. Dicevo, a ragion veduta, una geografia anche perché ciò che appare e si dispone nella pagina, nell'intersezione e contaminazione tra parola e immagine, tra ciò che si dice e il come viene detto, dà luogo a uno spazio molto nordico e familiare, abitato da veleni e forme di un immaginario tragicamente vitalistico dai netti e accesi contrasti tonali, che rimanda per la parte propriamente poetica ad atmosfere vagamente testoriane, e per la parte pittorica ad una sensibilità gestuale e visionaria, che trova i suoi ascendenti in certo "maledettismo" di stampo espressionista, abituato a pensar(si) per immagini e non per concetti. Innescata da una sorta di liturgico ingredior ("Minuendo e resto / lavagna risposta / mi scrivo dettato / eseguo da solo:"), in cui per via di linguaggio come in uno stralunato scioglilingua si esorcizzano e fissano infantili fantasmi di impotenza e solitudine, e conclusa da un salutare richiamo alla concretezza, a una naturalità cosciente di limiti e risorse ("Natura mi basta / per fiume per mano / qua e là mi conduce / chino su cosa / guida ogni dì / la mia piccola vita"), la laica via crucis che prende qui corpo per immagini e suoni è una sorta di memoritmo onirico e fantastico, in cui ad essere chiamati in gioco, da parte di entrambi gli "artefici" (Bordoli e Morandotti, congiunti in ragione creativa), sono le immagini consuete del proprio mondo, i lemuri e fantasmi che insorgono letteralmente ai margini (della ricerca poetica, come dell'esperienza figurativa), nello spazio (diurno notturno che sia) dove si allentano i controlli di una ratio troppo dispotica e autoritaria, per tradursi in "illuminazione" della realtà e dell'esperienza, oscurissima e chiarissima al tempo stesso. Il risultato è come l'affacciarsi improvviso e subito cancellato dell'identità di un reale sempre instabile e in movimento, di un'apparenza che è misteriosa nell'attimo stesso che pensi di aver colto e posseduto, illuso di aver fissato in una formula dell'occhio il suo flusso inarrestabile di energia, il clinamen di segni e di emozioni, che trascina e fa precipitare le cose.

Vincenzo Guarracino 30 Giugno 2003

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