Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c 22100 Como
su quel sasso c'era scritto... c'era scritto su quel sasso

mostra tematica interdisciplinare
23 ottobre - 18 novembre 2004


 

ARABIA FELIX
di: Gian Paolo Lozej 

1. Mokhtar, puro beduino, accucciato contro la ruota della mia Range Rover, scruta l’ orizzonte. La luce obliqua del pomeriggio intaglia lo spazio che ci circonda e da’ finalmente rilievo al paesaggio. Per me, geologo mercenario ancora insensibile ai messaggi sottili del deserto, lo scenario di questo squarcio d’ Arabia sembra piuttosto scontato. 

Dalla posizione di vantaggio della collina su cui siamo saliti, la strada sottostante e’ un nastro nero sottile nella sabbia ocracea della piana di Tabuk. I rari convogli di camion aggiungono una dimensione di lentissimo movimento a un panorama inesorabilmente statico: punti sparsi sul tratto qui visibile dell’ unico viadotto moderno del nordovest d’ Arabia, la strada che si snoda per circa 800 kilometri tra Medina e il confine giordano.

Mokhtar osserva fisso verso il sudovest, dove l’ asfalto segna una curva ampia che pare sfiorare il margine delle catene montane all’ orizzonte. “La fascia tettonica che separa lo scudo arabo da quello africano, la culla del Mar Rosso ...”.

Mokhtar si alza. Il vento scolpisce la sua figura di principe antico--la tunica bianca, i lembi del ghutra avvolto intorno alla testa, il profilo tagliente accentuato dalla grigia barba appuntita, il gesto solenne del braccio teso verso una direzione definitiva.

2. Mokhtar e’ la mia guida, il mio autista, il mio dio protettore nel deserto. Abbiamo viaggiato insieme per mesi ormai, coperto insieme vaste regioni d’Arabia, dormito accanto notti afose e gelide. Vantiamo circa cinquanta parole in comune: una ventina in arabo (mie) e una trentina in inglese (sue) sono gli ingredienti della nostra rara conversazione. Ma la nostra comunicazione e’ suprema: Mokhtar capisce sempre cosa intendo fare, dove voglio andare; io accetto sempre i suoi itinerari, rispetto sempre le sue decisioni.

“Askaria ...  mahattat turki” sono le parole che accompagnano il gesto di Mokhtar. Binocolo e mappa mi aiutano a capire e, come sempre, confermano le sue informazioni: a distanza, nella direzione indicata ai piedi delle montagne, un posto di blocco di una zona militare off-limits e, poco lontano, i resti di una stazione dell’ antica ferrovia dell’ Hejaz, la gloria del tardo impero ottomano.

Lo sguardo attento del beduino segue il mio dito che traccia sulla carta il percorso di un tratto ferroviario nella zona proibita, tra le montagne a sud della piana desertica di Tabuk. “L’ ultimo spezzone rimasto della linea imperiale che agli inizi del secolo collegava Damasco e Istanbul alla citta’ sacra di Medina...”.

Mokhtar stacca sillabe gutturali... “Al-Dih-sad”... Ad-Dhar-al-Ham-rah...”,  con cadenza solenne recita nomi di stazioni abbandonate lungo il tracciato di quasi 300 kilometri... “Madah-in-Sah-lin... Death City”, mormora misterioso alla fine, il termine della ferrovia sulla mappa.

Memorie di Lawrence d’ Arabia, richiamo delle arenarie cambriane. “Of course, we’ve got to go thru...”.

Decisione presa, piano concepito in silenzio: immediato ritorno a Tabuk, per cibo, acqua e carburante; poi, attesa della notte per aggirare il posto di blocco. E via.

3. E’ quasi buio ormai. Protetti nel greto del wadi, a sud della curva della camionale da cui diverge l’ accesso alla zona militare, ci prepariamo come ogni altra sera a mangiare in silenzio.

Mokhtar stende il panno per terra. Da un lato, il fornellino scalda l’ acqua del chai. Mokhtar disfa i nodi del suo canovaccio che contiene cartocci di datteri, cacio duro e olive. Io ho gia’ estratto dal contenitore nel retro della Range Rover qualche scatoletta. Il cibo e’ disposto sul panno, per terra.

Ci dividiamo il pane piatto e rotondo, sottile e senza mollica, comprato a Tabuk, ancora profumato di forno. Pilucchiamo qua e la’, rispettando i rituali di offrire e assaggiare cortesemente, concentrandoci comunque sui cibi rispettivamente familiari. Seduto per terra, mi sento sempre goffo e a disagio, e invidio l’ elegante compostezza naturale di Mokhtar.

La luce della lampada a gas materializza lo spazio che ci contiene. Rari camion passano lontani. Il bicchiere di chai e’ un elisir di diffusa tranquillita’. La Range Rover provvede riparo dalla solita brezza che si alza al limite della notte. “Il respiro della notte...”.

Ma Mokhtar mi indica un angolo del cielo, appena macchiato da una vaga balugine. “Hilal...”, un pezzetto di luna sta per sorgere: e’ gia’ ora di muoverci.

4. Mokhtar prende il comando delle operazioni, io divento un accessorio di viaggio. Mokhtar possiede l’ istinto della direzione, una sensazione tattile del terreno su cui ci muoviamo, il presentimento di cio’ che ci circonda.

Risaliamo il wadi lentissimamente, marce ridotte, fari spenti. Di tanto in tanto, inaspettatamente, Mokhtar spegne il motore; talvolta esce dalla Range Rover, sparisce furtivo, ritorna senza preavviso.

Il tempo perde dimensione, lo spazio e’ solo rumore. Quello basso di fondo del motore e’ diffuso come il vento, scontato come il respiro: i tonfi delle pietre smosse dalle ruote sono colpi pesanti nel cuore; i richiami di animali lontani, nel silenzio dell’ attesa di Mokhtar, suonano come echi di incubi dimenticati.

5. Mi pare di cogliere il sorriso nel profilo del beduino. Mokhtar mormora qualcosa. Dal wadi principale lungo il quale procediamo lentamente verso ponente, si taglia improvvisamente al sud, in un tributario dentro una gola rocciosa.

Il motore sembra cantare, adesso. Un procedere irregolare, ma libero attorno a sipari intagliati nei rilievi in cui ci addentriamo. La luna gioca a teatro. Il vento irrompe aggressivo dai finestrini, diventa un compagno di viaggio.

Ma il terreno si fa difficile, il fondo eccessivamente pietroso. Sballottato inesorabilmente, mi sento come protagonista di un viaggio irreale, in un abitacolo spinto in traiettorie indecifrabili.

Non ricordo di essermi finalmente addormentato.

6. Ancora rincattucciato tra sedile e portiera, il freddo del mattino mi sveglia da un sonno nero, privo di sogni. “Mokhtar non c’ e’, gia’ fuori in ricognizione ...”.

Mi stiro intirizzito, indolenzito. Il mio veicolo bianco riposa inclinato tra pareti rosa di arenarie, tagliate sopra dal cielo color perla del primo mattino. Scendo a prendere atto della situazione.

Un pneumatico a terra, l’ acqua del chai gia’ su a bollire. Mokhtar sopra un cucuzzolo a distanza, sembra una capretta bianca. “Un altro giorno di lavoro...”.

7. Dove siamo? Fissare la nostra posizione sulla mappa e’ la mia priorita’ operativa. Ma non facile: la regione e’ una vasta cuesta incisa in un reticolato di canyon.

Dal punto di osservazione di Mokhtar, le lave basaltiche nere sopra le arenarie provvedono un riferimento generale al sudovest. Occorre pero’ ritrovare la ferrovia, e seguirla fino a che non sia in grado di localizzarmi con precisione.

Mokhtar intuisce il problema, anche se il motivo gli e’ oscuro. Per lui, la mia relazione con carte e strumenti e’ misteriosa, come per me e’ magico il suo rapporto con lo spazio che lo circonda. La bussola che sto usando, per esempio... Mokhtar la riguarda con curiosita’ e ammirazione, ma non capisce perche’ mi sia cosi’ indispensabile.

“Mafi askaria...”, non ci sono soldati, ne’ istallazioni militari, Mokhtar mi informa. Poi, prima che io apra bocca, mi segnala dove ci dirigeremo per incontrare l’ antica strada ferrata.

8. Mokhtar non viaggia mai tra due punti lungo una traiettoria razionalmente definibile. I suoi percorsi sono dettati da punti di riferimento strettamente personali, in genere dei particolari del terreno per  me del tutto insignificanti: una piega nel wadi, un angolo nel profilo del pendio, eccetera. Sono questi dei segni speciali che spesso ricattura dal ricordo di un viaggio nella zona, magari di quando era ancora bambino; o segni che misteriosamente sceglie tra mille, per essere impressi per sempre nella sua straordinaria memoria visiva. Ogni suo tragitto, comunque, rimane per me incomprensibile.

Cosi’, anche adesso, lascio a Mokhtar guida e navigazione, e mi concentro soltanto sullo svolgersi dello scenario geologico: il susseguirsi di formazioni di arenarie, il ripetersi di strutture e laminazioni, il sovrapporsi di lagune, littorali marini e vaste distese alluvionali--storie troppo remote (cinquecentocinquanta milioni di anni fa?) sigillate nelle rocce, prive di dimensioni.

Improvvisamente, pero’, la lunga lingua di basalto sopra le stratificazioni cambriane--cristallizzazione nera di fuoco e vapori bollenti--e’ per me il richiamo di un passato vicino, il presagio geologico di sibili, sbuffi e lento snodarsi dei treni ottomani tra queste montagne.

“La strada ferrata dell’ Hejaz...”.

9. La strada ferrata dell’ Hejaz mi appare dall’ alto come una costruzione irreale: rotaie minuscole, scartamento ridotto, transenne sottili--tra pareti di roccia quasi troppo pittoresche--me la fanno sembrare un grande giocattolo per principini. Non riesco ad immaginare un lungo convoglio, carico di pellegrini, merci e soldati, procedervi sopra, faticosamente, tra gole difese da guardie armate.

La mia prima impressione dura assai poco, pero’. Un ponte divelto, la locomotrice distrutta e dei resti di carrozze bruciate sono la cruda testimonianza visiva dell’ importanza strategica di questa linea di trasporto nel precario equilibrio del potere ottomano agli inizi del secolo.

E la cambusa rovesciata... “Forse il monumento funebre del mitragliere tedesco che Lawrence d’ Arabia ricorda valoroso rivale nel retro di un treno distrutto in un temerario attacco tra queste montagne...”.

10. Ma, dopo quasi cent’ anni, la ferrovia dell’ Hejaz presto diventa per me soltanto una linea di riferimento attorno alla quale il mio lavoro si svolge. O, forse, e’ per me qualcosa di piu’? Magari un segno inconsciamente magico? “Probabilmente questo e’ cio’ che Mokhtar pensa...”.

Giorno dopo giorno, procediamo lentamente lungo il margine della ferrovia verso il sud. Ogni cinque kilometri circa, Mokhtar mi lascia ai piedi di un rilievo. Io salgo lentamente fino alla cima, studio i messagi contenuti negli strati che attraverso. Poi nella discesa, ad intervalli regolari, annoto le mie osservazioni, raccolgo campioni numerati di arenaria che accuratamente ripongo nel sacco sulle mie spalle.

Mokhtar mi segue con lo sguardo per ore--salire, studiare, scendere, annotare, campionare. Un fascino arcano ha per lui la mia concentrazione, il mio dialogo silenzioso con le rocce. Il rispetto che mi porta--amorosa protezione?-- deriva, sono certo, dalla fatica e da una sofferenza quasi rassegnata che questo lavoro mi comporta.

11. Come spiegare questo mio lavoro... Spiegarlo a me stesso, per incominciare a capire cio’ che, sospetto, Mokhtar istintivamente conosce... questo mio tentativo assurdo di stabilire un rapporto, un contatto tra incommensurabili dimensioni... la mia minuta percezione di spazio e tempo--tempo soprattutto--proiettata ostinatamente verso impossibili intuizioni di paesaggi primari troppo dilatati, fatti di mari cristallini troppo remoti, piane desolate troppo uguali, cieli vuoti troppo luminosi... paesaggi precursori di questo paesaggio, sepolti strato sopra strato... gradini di milioni di anni, di una scala che sale inesorabilmente--che salgo faticosamente--verso la mia insignificante presenza temporale... la mia presenza reale che tenta di dare a tutto questo un senso...

Seduto in cima al rilievo scelto per la mia sezione geologica, il mio sguardo si perde al confine dell’ orizzonte. Il paesaggio circostante lievita nel calore che si solleva dal deserto.

Mokhtar, accovacciato alla base del pendio, rompe la precisa geometria bianca della Range Rover accanto alla ferrovia.

La mia sosta e’ breve, pero’. Presto incomincio la discesa, mi riconcentro nel lavoro.

12. Ogni strato racchiude un episodio del pianeta. Nella sua roccia sono fossilizzati soli ardenti, diluvi, primavere di vita incerta, ecatombi, trasgressioni e regressioni marine. Io mi sforzo di catturare gli elementi essenziali di queste vicende--elementi sempre rari ed elusivi, da combinare in un mosaico geologico in cui troppi tasselli sono andati perduti, o io non riesco a trovare.

Il mio obiettivo e’ quello di scoprire i confini tra gli antichi domini delle terre e dei mari; definire le successioni di strati deposti in questi ambienti di transizione dove, nel Cambriano o primo Ordoviciano, mescolanze di acque, sali, metalli e molecole organiche hanno favorito magiche alchimie e felici esperimenti di evoluzioni di vita.

Sono le tracce fossili lasciate sulla sabbia di spiagge geologicamente effimere i segnali che cerco nelle mie arenarie, le testimonianze di spasmodiche risposte biologiche all’ avanzare dei mari. Perche’, talora, preziose mineralizzazioni invisibili all’ occhio suggellano queste immani rivoluzioni ambientali--preziose mineralizzazioni da scoprire per il progresso e la scienza...   “Per future stratificazioni... sedimenti, minerali radioattivi e tracce di fossili umani...”.

13. Regolarmente, sistematicamente, la nostra spedizione continua: procediamo circa 40 kilometri al giorno.

L’ altitudine dell’ altopiano diminuisce gradatamente. Le formazioni sedimentarie ai piedi delle montagne diventano piu’ antiche. Ogni curva della strada ferrata--a tratti completamente divelta--offre un taglio nuovo di paesaggio, una combinazine diversa di rocce, sabbia e cielo. Le cattedrali e i pinnacoli di arenaria si fanno sempre piu’ spettacolari.

E nessun incontro, ne’ soldati ne’ beduini. L’ emozione iniziale del viaggio proibito si e’ da tempo dissolta nella faticosa routine del lavoro.

Pochi gli episodi degni di nota, molte le immagine fantastiche...

...Il delizioso leprotto smarrito che Mokhtar cattura una sera ma, leggendo la mia ferma disapprovazione, si astiene dall’ uccidere; e il silenzio che pesa il mattino quando, seduti sul panno disteso per terra a mangiare, Mokhtar spinge timidamente verso il mio cibo la coscia avanzata-porzione che mi spetta del banchetto da lui consumato mentre ancora dormivo...

...Il fenicottero rosa che, da un laghetto artificiale accanto alla stazione ferroviaria di architettura vagamente bavarese, si solleva

inaspettatamente... miraggio di volo fatato, visione dell’ Araba Fenice...

...E i murali erotici, scoperti in una stanza interna di un edificio diroccato--dipinti originali e aggiunte dissacratorie che dolcemente mi tormenteranno le notti--l’ harem dei miei sogni...

E le notti...

14. La notte e’ la ricompensa preziosa alla fine del lavoro quotidiano. Gli eccessi di luce, arsura, durezza di paeaggio, vento di sabbia, peso di rocce--i parametri del giorno--si mitigano nelle metamorfosi cromatiche della sera, svaniscono all’ arrivo della notte.

La luna non ci tiene piu’ compagnia. Il cielo notturno del deserto--profondita’ di luce nera, splendore di indecifrabili messaggi di stelle--ci rende minutamente partecipi di realta’ di un ordine superiore. E, insieme, pare amplificare la sensazione tattile della nostra presenza, della nostra vicinanza fisica. Sottili bisogni mi affiorano dentro, nostalgia dell’ infanzia, desideri del sesso, anticipazione di sogni.

Dopo l’ ultimo bicchiere di chai, la mia piccola tenda mi aspetta. Scivolo dentro in silenzio, e il sacco a pelo avvolge la mia dimensione notturna.

L’ adattarsi del mio corpo alla consistenza del suolo e’ il rito preparatorio alla riconciliazione coi sensi. Il sottile profumo--come di pane--e’ la testimonianza biologica dei sogni che permeano il mio spazio.

Fuori, Mokhtar diventa un riferimento lontano. Solo il rumore del vento riempie la distanza che ci separa. Ma, sempre, prima di addormentarsi, Mokhtar canta qualcosa, dolcemente, tristemente. Intuisco parole di poesia, sensualita’, amarezza, che ogni notte interpreto liberamente nelle mie fantasturbazioni diverse, al confine del sonno...

 

...Sul cavallo piu’ bello dell’ Hejaz

Ho traversato le soffici dune rotonde

Del Grande Nafud del Nord...

 

Ah, le tue morbide forme, amore...

Galoppare insieme, cantare insieme, ah, ah!

 

Solo le forme di sabbia mi pesano sul cuore

E il mio cavallo cavalca sempre piu’ lontano...

Eccetera...

 

...finche’ i sogni mi vengono a trovare.

15. Finalmente, questo e’ il nostro ultimo giorno di viaggio. Fissate le nostre coordinate sulla mappa, programmo le mie ultime tre sezioni geologiche. “Nel pomeriggio dovremmo raggiungere il confine meridionale della zona proibita, la fine del tratto rimasto dell’ antica ferrovia...”.

Come ci muoviamo il mattino, Mokhtar scruta inquieto l’ orizzonte.

“L’ approssimarsi a posti di blocco... il pericolo di essere sorpresi da pattuglie militari...”.

Ma, ancora una volta, mi confermo insensibile ai messaggi sottili del deserto.

La temperatura cala improvvisamente. Presto, fa seguito il gonfiarsi del vento. E, dalla cima del rilievo della mia prima sezione, una massa traslucida mi appare avanzare nel cielo ad oriente.

“Khamsin ... la tempesta di sabbia, la maledizione del deserto...”.

16.Un po’ affrettatamente completo la mia prima sezione geologica. Mokhtar mi attende accanto alla Range Rover. I suoi occhi sono fessure luminose nella stretta apertura tra le pieghe del ghutra che gli copre completamente il viso.

Ripartiamo in fretta. Mokhtar guida con determinatezza. Io seguo attentamente sulla mappa il nostro percorso, in anticipazione della mia prossima sezione. “Dobbiamo portarci avanti il piu’ presto possibile, prima del sopraggiungere della tempesta...”.

Il vento cresce. Raffiche di sabbia crepitano contro la lamiera del veicolo.

Un’ opaca luminosita’ bluastra invade gradualmente l’ atmosfera.

Arrivati ai piedi del rillievo scelto, Mohktar mi fissa in silenzio. “I must finish my work...”, mormoro senza ricambiare lo sguardo.

Una nota sul libretto di campagna, un’ occhiata all’ altimetro impazzito, la direzione sulla bussola, il sacco e il martello.

Mokhtar non risponde al mio cenno di saluto.

17. L’ ascesa e’ lenta, ostinata. Il versante relativamente protetto, ma colpi obliqui di vento mi costringono ad un continuo contatto fisico con la roccia come raramente prima ho provato. Soltanto la mia presunzione da’ credito al valore del mio lavoro.

Finche’, improvvisamente, la nube di sabbia mi avvolge.

Una sensazione allucinante mi invade immediatamente--una sensazione seppellita nella memoria, ma che chiarissimamente riconosco di quando, appena bamboccio, rischiai di annegare in un fosso: un precipitare inesorabile dentro un ambiente naturale che non mi appartiene... La densita’ estranea, calda e luminosa, del fluido in cui mi sento immerso cancella ogni percezione familiare.

La prima reazione e’ stranamente incontaminata dalla paura: una semplice scossa istintiva, un raggomitolarmi in me stesso, un tentare di ricatturare forme ancestrali di esistenza, di sopravvivenza.

Poi, dopo unita’ spaziali e temporali immisurabili, la redenzione del dolore mi costringe a ricatturare il senso del mio corpo--flagellato dal vento, soffocato dalla sabbia, schiacciato in un anfratto di roccia.

18. I primi gesti coscienti sono goffi come quelli di un nuotatore incerto sott’acqua. Mi ritrovo dolorante, ma intatto--il martello ancora in mano.

A poco a poco recupero la polarita’ gravitazionale nel mio mondo cieco. Il riferimento sicuro del fondo roccioso mi procura un rinnovato equilibrio. Ma anche paura.

Con difficolta’ estraggo dal sacco un panno che avvolgo intorno alla testa, per filtrare un po’ d’ aria da respirare, per proteggere gli occhi. “Poi, tentero’ la via del ritorno...”.

La turbolenza selvaggia dell’ impatto della tempesta va gradualmente scemando. La luce accecante diffusa svanisce in un opalescente grigiore.

La discesa e’ lentissima--una successione sofferta di spostamenti infinitesimi in direzioni incerte. La visibilita’ rimane circoscritta alla lunghezza di un braccio. Sublimo il mio acutissimo bisogno di Mohktar nel cercare di imitare i suoi gesti, i suoi movimenti, i suoi possibili spostamenti.

Sono ormai immerso in un buio opaco quando, finalmente, affondo nella sabbia che ricordo ammucchiata ai piedi del rilievo. Pochi passi ancora . . . Il magico contatto con la rotaia della “mia” ferrovia mi riempie di commozione dolcissima, e riconoscenza.

Piango di gioia come un bambino, e chiamo Mokhtar ad altissima voce.

19. La mia gioia infantile si cristallizza nel silenzio che chiude il suono vuoto della mia voce. Presto si trasforma in paura profonda.

Sono ormai quasi assuefatto alla consistenza pesante dell’ aria, le frustrate di sabbia, la precarieta’ d’ orientamento, l’ assenza di visibilita’. Ma ora capisco che la mia sfida alla tempesta--e la mia vittoria effimera--avevano dentro una matrice segreta: il desiderio di provare me stesso a Mokhtar. E, insieme, la certezza che Mokhtar mi era sempre, invisibilmente, vicino. Adesso, quando credo di averlo finalmente di nuovo raggiunto, di avergli cosi’ dimostrato quanto da lui ho imparato... e Mokhtar non c’ e’, neppure c’ e’ la Range Rover... adesso mi sento davvero disperato, davvero solo.

E quando, muovendomi ormai alla cieca e senza controllo, perdo anche il riferimento prezioso delle rotaie della mia ferrovia, allora mi sento davvero perduto.

La fatica, pero’, prende il soppravvento sulle emozioni. Come per inerzia, cerco un riparo per la notte, forse gia’ da tempo arrivata.

Il ritrovato contatto con la parete di arenarie mi rinfranca. Un’ apertura nella roccia mi porta al riparo dal vento.

“Non ho niente con me per far luce o fuoco, non importa...”. Procedo a tastoni, lungo questa roccia ormai cosi’ familiare--cosi’ piacevolmente liscia li’ dentro, quasi sensualmente morbida.

Lo strato levigato mi invita a sdraiarmi. Il sonno mi spegne immediatamente.

20. Un sonno pesante, ma tormentato e inquieto. I sogni mi visitano in frammenti di incubi confusi...

...Le architetture delle mie arenarie si sollevano dal deserto

d’ Arabia, diventano le nubi del grande cielo dell’Yukon, si trasformano in eliopoli nei cui labirinti mi perdo, in forme mostruose---archetipi di riproduzione--che mi minacciono, mi inseguono...

...E gli occhi bianchi della nonna morta mi fissano immobili; e io continuo ad accarezzare Giulietta, la sorella piu’ amata...

...E, inevitabilmente, il mio sogno ricorrente di precipitare: e volo come un uccello ferito giu’ da un dirupo per poi--come sempre--planare dolcemente, questa notte sulle rotaie nere che galleggiano nel lago azzurrissimo...

...E, dai dipinti del mio harem escono le odalische amorose ad invitarmi a piaceri proibiti... e il bey mi scopre... e furibondo mi attacca, il peso del suo corpo nudo mi schiaccia...

Mi riscuoto dall’ incubo, soffocato di terrore e piacere, coperto di sudore febbrile: nel buio una mano mi accarezza, una voce mi rassicura: ”Malish, malish ... Sleep...”.

L’ angoscia del sogno, la paura della tempesta, la disperazione della solitudine scompaiono come d’ incanto. “Mokhtar mi ha ritrovato, Mokhtar e’ qui con me... ”.

Abbraccio Mokhtar amorosamente...

21. Un grido--un urlo bestiale?--ci sveglia di soprassalto, ancora vicini. Una luce irreale delinea l’ apertura squadrata nella roccia lontana, sfuma il rilievo delle pareti nel chiaroscuro che ci circonda.

“Mumkin askaria...”, forse i soldati, mormora Mokhtar. Ma nessuno compare.

Un altro grido, cupo e imperioso, come una sentenza inappellabile.

“I must go, you stay...”. Mokhtar si alza, infila la daga nella cintura, si avvia con lentezza solenne verso la luce, scompare come un’ ombra opaca.

22.

L’ atmosfera del sogno persiste nella mia sfera di consapevolezza. Ma gli occhi man mano riacquistano il potere della visione--e a poco a poco ritrovo la percezione di plasticita’ delle forme, di consistenza della materia, senza piu’ il bisogno di un tramite tattile.

Come uno spettatore sorpreso, mi scopro dentro uno scenario inaspettato, nel quale la luce fa gradualmente emergere immagini di preciso significato ... tombe scolpite nella roccia... sarcofagi in strati lavorati . . . cubicoli intagliati nella pietra, ornati di bassorilievi...

“. . . il mio letto notturno: un loculo nell’ arenaria...”.

Con pacata accettazione, mi muovo come senza peso in questo prezioso mondo sotterraneo. Anche Mokhtar non conta, ormai.

23. Ma. . . la voce di Mokhtar mi chiama, E, spoglio di sacco e martello--my geological insignia--mi incammino verso la luce.

Procedo come un automa senza vita tra strette pareti di tombe, contro la pressione crescente della luce.

Alla soglia della mia catacomba, il taglio del pieno fulgore mi arresta, mi acceca. Soltanto la figura di Mokhtar dapprima lentamente mi appare.

Poi ... Mokhtar solo, tragicamente grigio... in una necropoli di montagne color mattone, scolpite in mausolei ciclopici... una necropoli come gia’ conosciuta, come gia’ visitata...

“...Madah-in-Salih... Death City...”, le parole di Mokhtar, sussurrate all’inizio del viaggio.

Le mie mani tese verso di lui sono grigie, grigi i panni che mi vestono, come grigia e’ la sua tunica, grigio il suo volto immobile. La polvere della morte...

Ma, gradualmente, il mio campo ottico si dilata: sopra, il solito cielo azzurrissimo; alla periferia, la mia visione inevitabilmente statica pare animarsi di movimento... Forme di beduini armati si materializzano--un cerchio di fucili spianati ci circonda, si chiude verso di noi.

Assisto, inchiodato dall’ emozione, alla metamorfosi delle mie sensazioni--da quelle tragiche della morte a quelle spaventose del morire.

L’ avanzare dei beduini si arresta. Una figura alta e solenne si stacca: solo, senza fucile, si dirige verso Mokhtar. Mokhtar si muove verso di lui.

“Husain ... Mokhtar...”.  Musicalita’ profonda dei nomi arabi gridati con gioia... Magia del coro di voci festanti che fa eco, che fa viva la scena.

Mokhtar e Husain--il comandante della pattuglia di soldati beduini--si abbracciano e baciano, ritualmente e ripetutamente, affettuosamente. Poi tenendosi per braccio, mi vengono incontro:”Akhim Husain, my brother...”. Mokhtar cosi’ mi presenta il fratello, con il suo sorriso piu’ raro.

La forte stretta della mano ruvida del beduino mi riscuote alla vita.

24. I soldati beduini vociano, ridono allegri. Catini di acqua rimuovono la crosta di polvere grigia che ci copre--la testimonianza della fine del khamsin. Il chai e’ soavemente dolce. E incominciano i preparativi del pranzo di rito.

Intanto, isolato nella felice confusione, posso ricatturare la realta’ che mi contiene, godere incantato la magnificenza di Madah-in-Salih, l’ antica Egra, l’ invincibile cittadella dei Nabatei: la pura eleganza delle austere facciate dei mausolei scavati nelle pareti di arenaria; delle strutture scolpite in esatte geometrie di cornici e pilastri; dei fregi severi di aquile e maschere umane... i monumenti rupestri che gia’ avevo ammirato nelle rovine di Petra, la mitica capitale del regno Nabateo... qui incontaminati da duemila anni--inaccessibili ai Romani, Bizantini e Crociati, temuti e protetti da Arabi e Ottomani.

Ma cio’ che mi affascina e turba e’ il flusso e riflusso di stratificazioni, architetture, laminazioni, decorazioni, “. . . il confluire cosi’ naturale delle mie arenarie e di queste testimonianze solenni della gloria della morte...”.

25. La khabsa--il tradizionale montone bollito con riso speziato--e’ pronta sul largo piatto di metallo per terra. Il comandante mi chiama con Mokhtar a mangiare.

Schiacciamo il riso nel pugno, insieme ai pezzi di carne che Husain stacca con le sue mani e ci offre. Mangiamo in silenzio, affamati.

Come dopo un tempo prestabilito, Mokhtar si alza per bere dell’ acqua e lavarsi le mani. E’ il segnale di lasciar posto ai soldati in attesa del cibo.

Il caffe’ arabo--gialloverde, profumato di cardamonio, sorseggiato in tazze minuscole--mi tiene squisita compagnia. I due fratelli si recitano a turno storie certamente avvincenti, ma di cui non sono partecipe.

Ed e’ gia’ l’ ora del commiato.

26. La pattuglia di beduini a cammello scorta la mia Range Rover. Mokhtar al volante, Husain gli siede accanto, io dietro in disparte.

Raggiunto il posto di blocco, Husain urla ordini perentori alle guardie, col tipico disprezzo del puro beduino per i militari in divisa.

Mokhtar e Husain si abbracciano stretti, ma in fretta. Io saluto col cenno di mano i soldati beduini allineati sui loro cammelli.

27.  La strada discende dolcemente lungo la valle che si apre verso la piana di Medina. La Range Rover sembra volare. Rocce cristalline dal basamento precambriano brillano di luce violetta. I palmeti dell’ oasi di Ula sono la delizia della vista e del mio cuore.

Arabia Felix...

 

Note biografiche

EDUCATION

University Degree:"Dottore in Scienze Geologiche", 1969, University of Milano, Milano, Italy Thesis: "Geology of the Datcha Peninsula, SW Turkey"

Post-Doctoral: CNRC Post-Doctoral Fellowship Award, University of Toronto, Department of Geology, 1970

WORK EXPERIENCE

Geology Regional study and mapping, SW Turkey, during secondment from the University of Milano to M.T.A., The National Agency for Geology, Mineral Exploration and Mining in Turkey, 1964-1966

Research Post-Doctoral Fellow and Research Associate, Department of Geology, University of  Toronto, with minor teaching duties, 1970-1976

Main Subjects: Stratigraphy and sedimentation of carbonates in particular; Terrestrial meteorite craters; Cretaceous micropalaeontology of northern Mexico; Controls of ore emplacement in sedimentary rocks, carbonate and clastic rocks-hosted sulfides in particular 

Professional

Activities Consulting and contracting services for mining exploration companies and government agencies since 1974

Objectives: Evaluation of regional and local exploration potential; project promotion and initiation; stratigraphy and controls of ore in mines and mine districts; geochemical exploration; geostatistics

Responsibilities: Consultant assessments and reporting; Leader/Manager of short- and long-term exploration programs with administrative and technical responsibilities; Project  reviews and assessments

Areas of Work: North America (Yukon and Northwest Territories, British Columbia,  Alberta, Ontario, Quebec, western Newfoundland; Tristate, Missouri, Arkansas; Northern Mexico; Central America (Honduras); South America (Brazil, Peru); Europe (Ireland, Spain, Italy); Africa (Egypt, Algeria, Zimbabwe, South Africa); Asia (Turkey, Jordan, Saudi Arabia)

Type of Mineralization/Resources: Sediment-hosted Cu, Zn, Pb, Ag, Ba; bauxite,  phosphorite; Archean and Carlin-type Au; oil shales; zeolites; dimensional stone  

Discovery  The Az Zabirah Bauxite deposit, northern Saudi Arabia, in 1979 The Bongara Ag-Zn-Pb deposit, northern Peru, in 1994

Publications  Papers in scientific journals, volumes, international conferences.  Contributor to the "Tidal Deposit Workshop", University of Miami, Florida, 1973;  and to the "OreDeposit Workshop", University of Toronto, Ontario, 1975-1976.  Major open-file publications for the Ministry of Petroleum and Mineral Resources of Saudi Arabia

PROFESSIONAL HISTORY

September 1980 - Present

Geological Consultant providing professional services to mineral exploration & mining companies and government agencies in North America, South America, Europe, Middle East and Africa

Clients: RTZ Group, Europa Minerals, U.K.; Bendix Corp., the U.S. Agency for International Development U.S.A.; Lac Minerals Ltd., Northgate Exploration Ltd., Cordilleran Engineering Ltd.; Watts, Griffith and McQuat Ltd., Canada; the Egyptian Geological Survey, Egypt; Deputy Ministry of Mineral Resources, Saudi Arabia; CRA Ltd., Australia; Forbes & Thompson, Zimbabwe

Major Assignments: Evaluation of dimensional stone potential (Ontario, Zimbabwe); Initiation of regional exploration program for bauxite (Egypt); Exploration for Archean gold (NWT and Ontario, Canada, Gwanda district, Zimbabwe), for epithermal gold (Mediterranean basin); Regional exploration for, and ore-body delineation of, carbonate-hosted Ag, Pb, Zn, Ba mineralization, Yukon Canada; Evaluation of the potential for oil shales (Brazil), Mississippi Valley-type ore (northern South Africa), shale-hosted mineralization (Ireland); Review of ore controls and mineral potential of carbonate districts (Arkansas and Tristate, U.S.A.; northern Ontario, Canada; northern Peru)

February 1978 - July 1980

Leader/Manager of the Cover Rocks Project, Riofinex Geological Mission, Saudi Arabia: Assessment of the mineral potential and initial mineral exploration of the Phanerozoic sedimentary cover of Saudi Arabia

1972 to 1978

         Consulting and contracting services:

-Regional exploration for shale-hosted stratabound mineralization, Selwyn Basin, Yukon T.,  Canada (1977-1978, Brinex - CRA Joint Venture)

-Stratigraphy, sedimentation and controls of Zn ore of the Cambro-Ordovician carbonate                           platform, western Newfoundland, Canada (1976-1977, Brinex Ltd., Montreal, Canada)

-Stratigraphic and structural controls of Ag-Pb-Zn-Cu mineralization in the Mesozoic of northern  Mexico (1972 - 1976, Tormex Mining and Exploration Co., and Lacana Mining Corp., Toronto, Canada)

-Controls of Ag-Pb-Zn mineralization in the Cretaceous carbonates, El  Mochito mine, Honduras              (1976, Rosario Resources, New York, U.S.A)

-Stratigraphic and sedimentary controls of shale- and carbonate-hosted mineralization, Yukon T., Canada (1975, Amoco Minerals, Toronto, Canada)

May 1970 - February 1976

Research Associate/Post-Doctoral Fellow, Department of Geology, University of Toronto: Joint research with Prof. F.W. Beales, and minor teaching: Carbonate and clastic stratigraphy and sedimentation, Mississippi Valley-type and high-temperature carbonate deposits, terrestrial meteorite craters. Field studies: northern Mexico, southeastern Missouri, Quebec, Ontario, Yukon; modern carbonate areas of Florida, Bahamas and Barbados. Revision of micropalaeontological zonation of Cretaceous limestones of northern Mexico. Application of scanning electron-microscopyand cathodo-luminescence microscopy to sedimentary and stratigraphic problems

 

1969 - 1970

            Research Associate, Department of Geology, University of Milan, Milan, Italy: Stratigraphy of the Calcareous Eastern Alps

1965 - 1967

Seconded by University of Milan, Milano, Italy to M.T.A., Ankara, Turkey: Regional geology and mapping of the Datcha Peninsula, SW Turkey, for doctorate thesis. Stratigraphy, petrography, micropalaeontology, paleogeographic and structural study of Palaeozoic and Mesozoic greenstones, Triassic through Cretaceous carbonates, Tertiary flysh, and post-orogenic lacustrine deposits

PUBLICATIONS

1993   Bauxite. Geoscience Canada, v. 20, 9-16; and in:  Ore Deposit Models - Volume II (Sheahan,    P.A. and Cherry, M.E., Eds.):  Geoscience Canada, 135-142 (with N. N. Gow)

1986   Bulk Minable Micro-gold of the Carlin-type: A Review with Reference to the Exploration Potential of the Red Sea-Jordan Valley Rift Area. Proceedings of the Second Jordanian Geological Conference, 1985, Amman, Jordan, 95-111 (with N. N. Gow)

1985    Sirhan-Turayf Phosphate Project:  A Contribution to the Regional Stratigraphy. Ministry of Petroleum and Mineral Resources, Kingdom of Saudi Arabia, Open File Report RF-OF-04-15, 82 pp.

1985   The Many Varieties of Carbonate Rock Replacement with Examples from the Western Cordilleran of North America. 114th SME-AIME Meeting, New York, February 1985, Abstract of Papers (with F.W. Beales and D.A. Bending) 

1984   Geology and Mineralogy of the Zabirah Bauxite, Northern Saudi Arabia.  In: Bauxite (L. Jacob, Ed.): SME-AIME Publ., N. Y., 1984, 613-638 (with R. Y. Black and S. S. Maddah)

1983   Geological and Geochemical Reconnaissance Exploration of the Cover Rocks in Northwestern Hijaz - Initial Results and Recommendations.  Ministry of Petroleum and Mineral Resources, Kingdom of Saudi Arabia, Open File Report,RF-OF-03-2, 135 pp.

1982   The Zabirah Bauxite: A Cretaceous Paleolaterite, Northern Saudi Arabia. XI International  Congress on Sedimentology, Hamilton, Canada, Abstracts of Papers, p. 13 (with R. Y.Black and R. A. Bowden)

1981   Mineral Exploration of the Cover Rocks, 1978 to 1980. Ministry of Petroleum and Mineral Resources,Kingdom of Saudi Arabia. Open File Report RF-OF-18, 101 pp.

1977   Stratigraphy and Structure of La Encantada Mine Area, Cohuila, Mexico. G.S.A. Bull., v. 89, 1793-1807 (with F. W. Beales)

1976   Additional Note on The Origin of the Sudbury Structure.  Can. J. Earth Scie., v. 13, 179-181 (with F. W. Beales)

1976   Ordovician Tidalites in the Unmetamorphosed Sedimentary Fill of the Brent Meteorite Crater.  In: Tidal Deposits (R.N. Ginsburg, Ed.): Springler Verlag, N. Y., 315-323 (with F. W. Beales)

1975   Limestone Host-Rock Paleoecological Settings and Controls of Ore at Three N Mexican Silver-Lead Mines. IX International Congress on Sedimentology, Theme 9, Nice, France, 9-16 (with F. W. Beales)

1975   Sudbury Basin Sediments and Meteoritic Impact Theory of Origin for the Sudbury Structure.  Can. J. Earth Scie., v. 12, 629-635 (with F. W. Beales)

1975   The Unmetamorphosed Sedimentary Fill of the Brent Meteorite Crater, Ontario. In: Tidal Deposits (Ginsburg, R. N., and de Vries Klein, G., Eds.): Comparative Sedimentology Laboratory, University of Miami, Florida, 49-54 (with F. W. Beales)

1971   Terrestrial Meteorite Craters:  Review and Discussion with Examples from the Canadian Shield.  (In Italian with English abstract) Geologia Tecnica, v. 5, 157-181 (with M. R. Dence and F. W. Beales) 1967   Preliminary Notes on the Geology of the Datcha Peninsula (SW Turkey). Ac. Naz. Lincei, Rend. Clas. Scie. Fis. Mat. Nat., v. XLII, 830-841 (with G. Orombelli and L. A. Rossi)


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