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Sergio Sarri - la commedia umana
di: Elena Pontiggia

Che noi viviamo nell'assurdo, la pittura di Sarri non lo dice. Lo sa. E' una consapevolezza lucida, silenziosa ma non rassegnata. Non c'è bisogno di fare teatro con la propria angoscia, né di esibirla moralisticamente. Non servono sermoni né omelie. Basta farla emergere, questa condizione di incongruenza e di insensatezza in cui tutti ci muoviamo; basta farla emergere, come appunto fa Sarri, rappresentando un mondo composto di frammenti che non stanno insieme, cadavre exquis di un discorso che non ha coerenza, sintassi, significato compiuto. La pittura di Sarri, senza rinunce né risentimenti, discorre di una crudeltà ineliminabile e inspiegabile, che ci riguarda da vicino. Quello che interessa, nel suo lavoro, è l'assenza di retorica e di manicheismo. Vediamo lacerti di corpi dissociati, intuiamo torture elaborate e meticolose, osserviamo macchine destinate a misurare, colpire, costringere. O semplicemente ad accompagnare la nostra fatica quotidiana, rendendola più lieve, ma spesso anche più contraddittoria. Veniamo a conoscenza delle vittime, dunque. Ma nulla ci viene detto dei carnefici, che forse sono le vittime stesse. Perché nel lavoro di Sarri il male riassume la natura di mistero: misterium iniquitatis, come diceva la Patristica. Non c'è mai il banale (e comodo) addossare le colpe al Caino di turno, al Tarquinio il Superbo dei tempi nostri. Non c'è la risposta ideologica passe-partout, che non spiega niente perché vuole spiegare tutto. C'è al contrario, una constatazione impassibile, distaccata: un prendere atto della commedia umana, con i suoi equivoci,le sue miserie, le sue oziosità. Sarri ci dà così uno specchio dei nostri tempi. Sembra, il suo, uno specchio deformato. Ma a chi lo accusasse di deformare la realtà, Sarri potrebbe rispondere quello che rispondeva Gadda a chi lo accusava di essere barocco: "Non sono io barocco. Barocco è il mondo". Analogamente, è il nostro mondo (preferisco il termine "mondo", più onnivoro e metafisico, a quello un po' ipocrita di società, che lascia intendere che le cose potrebbero anche essere diverse) a essere deforme, e Sarri lo descrive. La precisione allucinata dei suoi esiti, la metafisica onirica e allarmata del suo linguaggio gli serve per essere realista: non per allontanarsi dalle cose, ma per darne conto. La sua, del resto, è una metafisica esistenziale, a cui si potrebbe apporre come didascalia complessiva un verso di Pagliarani: "Immortali per le strade non ce n'è". Infatti. Noi tutti siamo dei condannati a morte, anche se, nell'attesa che la condanna venga eseguita, possiamo non pensarci, dimenticare la pena che ci è stata comminata. Se siamo condannati a morte, siamo anche dei torturati, consistendo la tortura maggiore (Dostoewskij, che l'aveva provata, lo sapeva bene) non in qualche atto o gesto, ma nell'attesa della morte stessa. Ecco, Sarri rende visibile questa nostra condizione. Ma, nello stesso tempo, ne descrive alcune caratteristiche. La tecnologia, per esempio: il ruolo della macchina-totem, divinità onnipotente e impotente, paradigma della nostra follia. Nel lavoro di Sarri la macchina ha un rilievo centrale, tanto che la sua pittura si potrebbe definire un incubo futurista. La macchina, ogni macchina, ogni meccanismo è smontato nei singoli pezzi, e rivela una sostanziale incapacità a svolgere il proprio compito. Già, ma che cos'è una macchina? Apriamo un vocabolario qualsiasi, che so, il Devoto-Oli, e leggiamo: "Macchina. Congegno destinato allo svolgimento di un lavoro con notevoli margini di vantaggio". Certo, certo, vantaggio. Se devo andare da Milano a Roma, ci arrivo prima in automobile che a dorso di un mulo. Ma gli svantaggi? L'inquinamento, tanto per dirne una: per cui arrivo più in fretta non solo al termine del viaggio, ma anche al termine della vita. Nel duemila, cioè domani, due persone su tre a Milano (secondo una statistica recente) saranno colpite da un tumore: uno per famiglia, come minimo. E il computer? Vantaggi straordinari, anche dal punto di vista espressivo, e lo diciamo senza alcuna ironia. Ma come la mettiamo con i bambini che passano tre ore al giorno da soli coi videogiochi ? Forse erano meglio le cerbottane. Tutte queste cose, e altre ancora, ci dice la pittura di Sarri. Con il suo universo di segni impazziti contraddice il positivismo, dissolve le illusioni alla Bouvard e Pecuchet, annulla le certezze del professor Pangloss. E di questo dobbiamo essergli grati. Dalle sue tarsie incoerenti, dai suoi conti che non tornano, tutti abbiamo da imparare.

Elena Pontiggia. Gennaio 1999

Presentazione della mostra antologica di Sergio Sarri 1967 - 1999
Alla Civica Galleria d'Arte Moderna di Gallarate

 

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