Qualcosa è
accaduto in questa parte di mondo, in tempi lontani, in una città
molto diversa da questa, quando essere significava, come oggi, soprattutto
apparire. E' accaduto che nella Varese della fine del Quattrocento
una famiglia benestante, in un palazzo molto noto, abbia voluto
affreschi raffiguranti i ritratti di uomini illustri, secondo una
moda molto diffusa già nel milanese, ripresa dalla nobiltà
fiorentina. L'autorità di celebri uomini del passato, condottieri
o intellettuali, garantiva implicitamente la continuità delle
antiche virtù nel presente, come se i nobili esempi in vari
campi del sapere e delle arti si riflettessero nei rappresentanti
ufficiali di quella famiglia, medici, notai o condottieri che fossero.
Tutto questo era chiaro a chi allora aveva accesso al chiostro,
ma oggi quel senso è perduto. Rimangono delle teste di non
facile lettura e interpretazione.
E' compito dell'artista ripercorrere con distacco la storia, recuperare
il senso della memoria, cogliere un particolare che nessuno nota,
magari servendosi dell'arma dell'ironia.
Francesca Petrolo, artista sempre ricettiva e attenta alla specificità
dei luoghi, ha voluto riproporre all'attenzione degli avventori
che in questo caffè si danno ritrovo, il motivo classico
dell'immagine "clipeata" degli illustri, dove il ritratto sembra
tornare in vita grazie all'espediente dell'inganno prospettico in
cui il tondo stesso da cornice diviene piano di appoggio. Lo ha
fatto con la consueta ironia e con il distacco di chi preferisce
utilizzare il sapone come materiale scultoreo, attribuendo alla
materia una facoltà puramente evocativa, dal punto di vista
olfattivo e cromatico. Ecco dunque quegli illustri signori tutti
profumati sporgersi con inconsueto slancio verso di noi e fare il
verso agli affreschi dipinti, con la consapevolezza che il loro
gesto durerò solo lo spazio di una battuta, perché
presto torneranno da dove sono venuti, destinati a deperire nel
giro di poco tempo. Del resto, tutto passa e va, ma qualcosa resta:
ad esempio le code di sirena, che, ormai metamorfizzate, alludono
a una storia antica e sempre attuale, avendo donato agli uomini
il senso del gusto, dell'olfatto e della vista.
La memoria e il luogo sono per Francesca Petrolo due componenti
imprescindibili, i poli di un medesimo, lirico incanto, che per
avverarsi deve sempre trovare una verifica nel proprio vissuto d'esperienza.
Così i ricordi di persone, immortalati in vecchie fotografie,
si confrontano con gli occhi dell'artista, alla ricerca di un nodo
da sciogliere, legato all'identità. E' come se quegli occhi
non potessero vedersi riflessi allo specchio senza riconoscere le
tracce di un passato, di una storia probabilmente non vissuta, ma
presente nei nostri geni, prima che tutto fosse canalizzato nei
sentieri canonici del ricordo. Così quella lunga treccia
di canapa lasciata appesa al balcone da una distratta Giulietta
era una traccia del passato, la nostalgia di una fiaba, ma al tempo
stesso alludeva alla bionda chioma intrecciata dell'artista, alla
ricerca di una propria identità.
Allo stesso modo quella serie di ritratti che Francesca Petrolo
ha visto tante volte, ma che non ha mai veramente notato, ora tornano
a vivere guardandoci con aria sorniona.
Paolo Campiglio
in occasione della mostra di Francesca Petrolo al Caffè Veratti
di Varese