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Luisa Gnecchi Ruscone
"Tattoo: dizionario del
tatuaggio"
Vallardi Editore 1997
disegni originali di Gian Maurizio Fercioni
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Prefazione
Che il tatuaggio sia una delle più antiche forme di espressione artistica dell'uomo è ormai comunemente accettato e le continue scoperte di testimonianze in questo senso da parte degli antropologi confermano quanto questa pratica sia stata diffusa e culturalmente significativa. Non si sa esattamente perché il tatuaggio abbia da sempre suscitato tanto fascino sugli uomini, né si conoscono le origini e le radici dell'impulso che li muove verso di esso, ma è certo che il gesto di incidere sulla propria pelle un segno è indissolubilmente legato all'atto primario di fare arte, con qualunque strumento, e probabilmente questo mistero è ancora oggi parte integrante del suo fascino.
Chi decide di farsi tatuare decide di compiere un atto di espressione definitivo, irrazionale e intimamente personale e quasi sempre i segni che sceglie di farsi incidere sulla pelle hanno lo scopo di produrre una trasformazione del suo corpo che rafforzi l'immagine positiva che egli ha di sé.
Il tatuaggio è quindi un gesto serio e profondo, ma è allo stesso tempo anche un gioco come lo sono tutte le altre forme di decorazione del corpo: divertirsi, giocare con se stessi e con il proprio corpo è parte importante dell'atto di tatuarsi.
Per questo il tatuaggio ha sempre avuto una lettura sociale positiva nelle civiltà primitive, ed è solo dove sistemi autoritari e repressivi si sono appropriati direttamente di esso come strumento di punizione e umiliazione - come ad esempio nelle società tradizionali ebraiche e cristiane - che esso suscita angoscia, rigetto e repulsione. Questo spiega forse perché il tatuaggio provoca ancora oggi da noi fascino ma anche inquietudine; perché continui a essere emarginato e ignorato dalla cultura ufficiale e relegato tra i fenomeni di controcultura mentre sempre più persone di tutti gli strati sociali lo fanno proprio, anche pubblicamente, senza alcun problema.
Introduzione storica
Nel mondo occidentale di oggi sono tanti - senza limiti di
età, estrazione sociale, razza o religione - quelli che hanno
un loro segno tatuato sulla pelle. Anche in Italia negli ultimi dieci
anni il numero delle persone tatuate è aumentato enormemente
e sono ormai centinaia anche coloro che fanno tatuaggi; tuttavia c'è
una grande disinformazione da parte di tutti al riguardo ed è
ancora molto forte l'influenza degli scritti dell'antropologo-criminologo
Cesare Lombroso degli inizi del secolo. Nei suoi studi sulle caratteristiche
somatiche e psicologiche innate dei delinquenti ha dedicato una parte
ai tatuaggi, sostenendo che erano anch'essi una "caratteristica atavica"
dei delinquenti. Queste sue teorie sono a1l'origine di molti tabù
e preconcetti nei confronti del tatuaggio, che è sì
molto diffuso tra i carcerati, ma certo non si può identificare
con essi. Sono sicuramente pochi, anche tra chi ha e chi esegue tatuaggi,
coloro che sanno che i tatuatori professionisti esistono da secoli
in Italia. Già nel 1585 a Loreto - e probabilmente anche prima
- in prossimità del Santuario lavoravano i "marcatori" che,
per le strade della città, tatuavano ai pellegrini e ai viandanti
i simboli dei diversi ordini religiosi, ma anche piccoli segni d'amore
e agli artigiani il simbolo della loro professione {già allora
il tatuaggio sacro era affiancato a quello profano). L'usanza presso
gli artigiani di tatuarsi i segni del proprio mestiere è stata
diffusa in tutta Europa per molti secoli, fino all'ultima guerra:
se ne fa risalire l'origine addirittura a Caino - che è ancora
oggi considerato il protettore degli artigiani - al quale "Dio pose
un segno sulla fronte acciocché nessuno che lo incontrasse
lo uccidesse" {Genesi 4,15).
Il tatuaggio ha dunque origini molto antiche: in Francia, nella grotta
di Aurignac è stato trovato un punteruolo acuminatissimo ricavato
da un osso di renna che gli studiosi ritengono sia un strumento per
tatuare appartenente alla cultura del paleolitico superiore. Scavi
archeologici hanno riportato alla luce resti di uomini e donne tatuati
vissuti fino a 6000 anni fa, appartenenti a popolazioni sudamericane,
nordamericane, eschimesi, siberiane, cinesi, egiziane... e anche italiane.
L'uomo il cui corpo è stato recentemente ritrovato in un ghiacciaio
ai confini tra Italia e Austria, ad esempio, aveva tatuaggi - che
secondo gli esperti servivano a curare i dolori artritici - sulla
schiena, sulle gambe e le braccia. I tatuaggi presso le varie popolazioni
avevano significati e motivazioni diverse, ma avevano in comune il
fatto di essere "messaggi sociali": chi si tatuava, si incideva dei
segni sul corpo che dovevano comunicare un "messaggio" a chi li vedeva.
Il tatuaggio poteva comunicare che chi lo portava era un re, un nobile,
un valoroso guerriero, oppure uno schiavo o un delinquente, o che
apparteneva a una setta religiosa, a un esercito, a un gruppo politico,
a un movimento culturale... Il tatuaggio poi, a parte quello punitivo
imposto ai delinquenti e agli schiavi, è sempre stato considerato
un modo per abbellire il corpo, per diventare più belli. Nelle
società tribali erano i re e i nobili a tatuarsi o comunque
i ricchi, coloro che potevano permetterselo; i tatuatori erano trattati
con grande rispetto e ricompensati lautamente per la loro opera. Gli
Egizi, durante le cerimonie funebri, si tatuavano in segno di lutto
gli emblemi di Iside e Osiride ed è probabile che gli Ebrei
abbiano ereditato da loro quell'usanza quando raggiunsero la valle
del Nilo nel 1750 a.C.
La leggenda attribuisce la diffusione dell'uso di decorare il proprio
corpo tra gli Ebrei all'angelo Asleer vissuto prima di Noè
e del diluvio universale. Nella Bibbia {Levitico}, c'è un preciso
divieto di seguire tradizioni considerate pagane: "Non farete delle
incisioni sulla vostra carne a causa d'un morto; e non farete figure
e segni sopra di voi ... Non avrai altri Dèi innanzi a me.
Tu non farai scultura ne rappresentazione alcuna che è lassù
in cielo o quaggiù in terra o nelle acque o sotto terra. E
non adorerai tali cose né ad esse porterai culto".
Nella Profezia di Isaia è scritto invece: "Questi dirà:
Del Signore son io; e quegli dirà il nome di Giacobbe; e l'altro
scriverà sulla sua mano: sono del Signore; e avrà nome
simile a Israele": Nella mitologia greca, Paride, dopo aver rapito
Elena, per sfuggire alla vendetta di Menelao, si fece tatuare nel
tempio di Ercole dei segni che lo rendessero invulnerabile. Lo storico
greco Erodoto (484-426 a.C.) racconta che i Traci "tengono per cosa
nobile avere la pelle con note e segni sfregiata e non averla così
per ignominia" e aggiunge: "I Traci tengono con gelosa cura le donne
e le acquistano a caro prezzo dai loro parenti: una pelle segnata
di tatuaggi rivela una nobile origine, chi non è tatuato è
di oscuri natali ".
A Roma i Legionari si tatuavano sul braccio il nome del loro generale
o dell'imperatore e la data del loro ingaggio; venivano invece marcati
per infamia i disertori, i prigionieri e gli schiavi.
I Celti adoravano come divinità anche animali quali il toro,
il cinghiale, il gatto, gli uccelli e i pesci e in segno di devozione
se ne tracciavano i simboli sulla pelle. Sembra siano stati proprio
i Celti a diffondere il tatuaggio in Spagna, Inghilterra, Gallia e
Italia: presso di loro era un simbolo nobiliare come in Inghilterra
e Scozia, dove re e nobili si incidevano sul petto o sul braccio lo
stemma della loro casata per poter essere riconosciuti in caso di
morte in battaglia. I Britanni, il cui nome deriva da "brith" (dipingere)
"non portavano altre vesti che dei mantelli fatti con pelli di bestie
selvagge e si facevano sul corpo incisioni di varie forme e figure
che riempite poscia con un succo di colore scuro, davano loro una
tinta che non si cancellava mai, e in questo facevano consistere il
principale loro ornamento" (Erodiano). Secondo Giulio Cesare "tutti
i Britanni si tingono di guado che lascia un colore ceruleo onde essere
nelle pugne di aspetto più orrendo".
Anche i Pictones che abitavano la zona del Poitou in Francia devono
il loro nome all'uso di decorare i loro corpi. Secondo Petronio, Luciano
e Plinio, i Daci e i Sarmati del loro tempo si decoravano la fronte
il corpo e le mani con diverse figure; Tacito descrive l'abitudine
degli Ariani di scurirsi la pelle con pigmenti neri per avere un aspetto
più feroce e Luciano scrive: "Tutti si divertono a farsi delle
punture alle mani, al collo ed ecco perché tutti gli Assiri
portano le stimmate".
Il tatuaggio a volte proibito, altre ordinato dalle Sacre Scritture
è stato comunque praticato dai credenti per secoli fino a oggi.
Tra i primi cristiani era molto diffusa l'usanza di tatuarsi un tau,
la figura della croce di Cristo, sulla fronte. Da Ezechiele: "Il Signore
gli disse: Va per mezzo alla città, per mezzo a Gerusalemme
e segna un tau sulla fronte degli uomini che gemono e sono afflitti
per tutte le abbominazioni che si fanno in mezzo ad essa... Uccidete
fin allo sterminio il vecchio, il giovine, la vergine, il pargoletto
e la donna; non uccidete però alcuno che veggiate aver sopra
di sé il tau e date principio al mio santuario".
Nel 325 d.C. Costantino proibì invece le incisioni sul volto
perché: "Deturpavano ciò che era stato fatto nell'immagine
di Dio".
I Crociati e i Cristiani in visita al Santo Sepolcro di Gerusalemme,
temendo di essere assaliti e derubati di tutti i loro averi - compresi
gli oggetti sacri - dai Turchi, si tatuavano simboli religiosi per
garantirsi una sepoltura in terra consacrata, sepoltura vietata a
chi morendo per infortunio o di morte violenta non portava su di sé
un segno religioso (pare che anche Riccardo Cuor di Leone sia tornato
dalla Terrasanta con un tatuaggio).
Thévenot, un viaggiatore francese in Palestina, scrisse: "...occupai
tutta la giornata del 27 aprile 1658 a farmi marcare le braccia come
fanno ordinariamente i pellegrini...".
L'uso dei tatuaggi sacri tra i pellegrini era in voga fino a pochi
decenni fa non solo a Gerusalemme, ma anche nel Santuario di Loreto
e ancora oggi essi sono molto diffusi tra i Copti dell'Europa orientale.
Sant'Antonio aveva un tau tatuato sul petto e gli stessi tatuaggi
religiosi lauretani - molto spesso fatti sulle mani - pare abbiano
avuto origine dalle stimmate di San Francesco che secondo alcuni non
erano altro che tatuaggi fatti al santo dai frati durante uno dei
suoi profondi sonni catalettici.
La pratica del tatuaggio in Europa era scomparsa quasi completamente
da quando, nel 787, Papa Adriano I l'aveva vietata con una bolla;
ciò non aveva impedito che i pellegrini continuassero a tatuarsi
nei Santuari, ma si trattava di fenomeni rari e marginali.
Fu solo molti secoli dopo, in seguito alle esplorazioni dei grandi
navigatori, che il tatuaggio riapparve in Europa.
Per quanto riguarda il mondo islamico, anche il Corano (cap. IV) condanna
il costume di uomini e donne di imprimersi segni sul viso e sul corpo:
"...affronterò, disse il tentatore, parte dei tuoi servi, li
sedurrò, sveglierò in essi le passioni, comanderò
loro di troncare le orecchie alla madre e sfigurare la tua
creatura... Allontanati dall'uomo violento e dall'impudico. Lo splendore
dei suoi beni, il numero dei suoi figli non ti abbaglino; il Corano
non è per lui che una favola dell'antichità; gli
imprimeremo un marchio di fuoco sul naso".
Nel 1774 il Capitano James Cook, al ritorno da un viaggio nell'Oceano
Pacifico, per primo portò a Londra un indigeno. Omai, il cui
corpo era coperto di tatuaggi: lo presentò a corte, poi lo
mostrò in pubblico suscitando un'ammirazione e un interesse
immensi soprattutto tra l'aristocrazia.
Anche il nome "tattoo" è stato coniato da Cook: alcuni dicono
derivi dalla parola tahitiana "tatau", altri da "tac-tac", il rumore
prodotto dalle bacchette di legno usate dagli indigeni per tatuare.
Dopo Omai furono tanti gli indigeni tatuati esibiti nelle fiere e
nei circhi d'Europa e d'America. È nato così il tatuaggio
moderno occidentale: i marinai si facevano tatuare durante i loro
viaggi in oriente, imparavano le tecniche, cominciavano a tatuarsi
a vicenda e nel giro di pochi anni in tutti i grandi porti europei
e americani si poteva trovare un tattoo shop. Sull'esempio degli inglesi
molti aristocratici e reali di tutta Europa furono presi dalla passione
per il tatuaggio e alcuni andarono fino in Giappone pur di avere sul
corpo l'opera di un grande maestro. Contemporaneamente i circhi e
le fiere del mondo occidentale diffondevano il tatuaggio nelle città
e nei paesi lontani dalle coste, esibendo assieme alla donna barbuta
e all'uomo cannone uomini e donne dal corpo coperto di tatuaggi. Prima
erano indigeni portati dalle colonie, poi marinai che affascinavano
il pubblico raccontando rocambolesche avventure durante le quali erano
stati catturati e costretti a tatuarsi su una qualche isola sperduta
del Pacifico, infine americani o europei che si decoravano tutto il
corpo con disegni sempre più elaborati, si contendevano il
titolo di "più tatuato del mondo" e tatuavano a loro volta
persone tra il pubblico.
Il tatuaggio è stato diffuso in occidente dai circhi ma soprattutto
dai marinai, è stato amato e adottato dal popolo e dall'aristocrazia,
ha avuto momenti di maggior espansione durante le guerre e altri di
minor interesse quando queste finivano. li tatuaggio moderno occidentale,
al contrario di quello primitivo che è spesso parte di riti
iniziatici o religiosi tribali, è un atto individuale e ha
un valore prevalentemente estetico. I disegni dei tatuaggi, fino a
una ventina di anni fa, erano più o meno uguali nei tattoo
shop di tutto il mondo, rielaborazioni dei temi "classici". Negli
ultimi venti anni si è assistito a una diffusione del tatuaggio
e a un sempre maggior interesse per esso in tutto il mondo occidentale;
accanto ai disegni della tradizione classica marinaresca sono comparsi
tanti nuovi soggetti, legati allo stile personale dei diversi tatuatori,
a un rinnovato interesse per i tatuaggi primitivi e tribali, o alle
richieste dei clienti che sempre più scelgono "il loro" disegno
o simbolo da farsi tatuare.