Da molti anni, ormai, Rino Crivelli dirada progressivamente i rapporti
con la pittura, intesa come illegittima finestra introdotta clandestinamente
nella parete. La cangiante pelle pretenderebbe d'essere altro e di
più reclamando la sua avventura nella spazio. Nasce così e si moltiplica
il popolo di legno: sagome ad altezza umana ritagliate da tavole,
incernierate e dipinte da ambo le parti. Sono un popolo di individui
che silenziosamente dialogano tra loro e intrattengono chi li osserva
con il gioco del trasformismo, rendendosi ora riconoscibili (in un
watusso, un hidalgo) o irriconoscibili. Un aiuto ci viene dai loro
nomi Till, Milagro, Benina, Mateto, Calicardio, Armida, Anagramma,
Diotima, Tupamarga, Kora, Garumma, Tremottino, nomi da favola, che
qualche volta sembrano concedere una probabile indicazione, ma che,
come tutte le favole, contengono una struttura nascosta … e allora
… "ci troveremo di fronte a un'altra storia".
















Il popolo di Crivelli è un popolo di individui logici, ben costruiti,
la loro posizione frontale non da spazio ad atteggiamenti ambigui,
ma solo ad un rapporto di chiarezza. Per contro l'atmosfera che creano
è carica di familiarità, di ironia, ricordandoci di essere individui
in una collettività fatta di irriducibili persone complesse. Attorno
a questi personaggi s'infittisce da tempo, per sussurri e cenni, rarissimi
gridi, ininterrotto, un flusso disegnativo implacabile, accolto da
migliaia di fogli di uguale dimensione (cm. 50 x 35). L'autore nutre
il sospetto corposo che la scrittura così raccolta, per altro da decifrare,
altro non sia che il diario del popolo di legno. E nell'immediato
futuro con scarna porzione di presente, d'una nuova razza ritagliata
da lastra di rame, già sin d'ora insistente e straripante di bisbigli
… e che dire poi della quantità dilagante di collages variopinti che
con insistenza, chiassosamente si intromettono? Non resta per il pubblico
che visitare la mostra e sfogliare il nutrito catalogo che la accompagna.