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Corpo, Gamelan, Mazinga
Di Domenico D'Oora

Ne "La Nostra Anima" Savinio descrive Psiche, come una "ignuda fanciulla" accovacciata sul pavimento, attorniata da "un liquido denso e giallastro" e da "ulive escremenziali", "il corpo poggiato in abbandono al muro come un oggetto dimenticato", dalla pelle istoriata da strani segni che "erano in verità nomi, date, frasi tracciate sia con la matita, sia incise con la punta del temperino sulla pelle….". Un'inscindibile relazione tra anima e corpo, dove gli eventi della vita direttamente segnano e caratterizzano quest'immateriale entità.
Strani momenti questi dell'infinito tramonto della modernità; pareva, così ci hanno fatto credere, che si fosse approdati ad una nuova età dell'oro di consapevolezza e libertà, che avrebbe consentito una generalizzata realizzazione dell'individuo, priva di condizionamenti, d'inibizioni, frustrazioni ed ogni altra peste psicologica e sociale.
Il corpo, in questa nuova epoca, è il democratico mezzo che, tutti, avrebbe reso felici. Il corpo, la sua realtà, è l'entità che più direttamente è coinvolta come necessità quotidiana nelle sue possibilità di farci apparire, fornire prestazioni, di procurarci piacere fisico. Nulla, più del corpo, è presente, nella comunicazione quotidiana di massa. Il corpo è diventato il fine.
Sano, tornito e lucente nell'immaginario mass mediale, patito e sofferente nei reportages, alfine nudo nella realtà; ma mai corrispondente al vero contenitore che ci ospita e di cui, pur non capendone più leggi ed armonie, curiamo la manutenzione. Il corpo è sempre differente dal modello corrente, dal corpo che si vorrebbe avere e che s'insegue, il risultato è che, più si segue il modello meno si è se stessi, meno si percepisce il proprio corpo come corrispondente a sé. E vi è chi tenta di sfuggire la bannalità* di un paradiso-inferno preconfezionato, rimarcando un'individualità della bellezza e della sofferenza, rifugiandosi nella diversità del segno - memore di guerrieri delle foreste dell'Insulindia e di principesse delle steppe - esibendo e tatuando il corpo: non avrà neppure la soddisfazione di subire l'attenzione di un autentico cacciatore di pelli umane, come capitò nell'Ottocento quando in Europa si venne a conoscenza di quali bellezze estetiche ed antropologiche deambulavano nell'Insulindia, e che finirono, conciate e ben tese, nelle wunderkammer di coinnesseurs che già avevano capito che l'anima sarebbe divenuta solo un optional, che la bellezza era davvero solo un fatto di superficie, una questione d'epidermide.
E vi è chi si fa penetrare il corpo, piercing, con aghi d'ogni forma; performances di San Sebastiani privati degli arcieri, inconsapevoli ascesi di fachiri metropolitani o aspiranti alla penetrazione globale; come in quei siti sulla web ove migliaia di corpi senza proprietari si affannano - quod turget, urget, recitava anche una massima medievale - in ginnastiche nude senza riuscire a svelare il segreto di una carezza, il mistero di due corpi in congiunzione. Un tempo, il corpo ondeggiava luminoso nel ritmo cosmico del gamelan, ora si snoda e si sfibra nel martellare del drums & bass, alla fine nei corpi qualcosa deve pur cambiare.
Ricordo i turbamenti che, adolescente, mi procurava la vista della riproduzione di un dipinto del Correggio,** "Giove scopre Antiope", che naturale, eppur cosi raffinata sensualità in quel corpo abbandonato nel sonno, che potenza nel beffardo giovane dai piedi caprini che scoprendo quel meraviglioso corpo ci disvela la conoscenza. Un dipinto da esporre nelle palestre, nelle metropolitane, nelle aule scolastiche invece dei Presidenti, negli uffici pubblici, ed in ogni luogo orrido o felice dove quotidianamente trasciniamo il nostro corpo con il suo contenuto di residui emozionali o di eccessi di testosterone. In pittura poi è arrivato Courbet con quel "L'origine del Mondo"; annullati così duemila anni di storia e di corpo, di colpo tornati a Pompei con i falli augurali esposti dal panettiere, ma senza più quel senso del naturale e del paradossale, della lotta con il fato, con di nuovo solo tanta voglia di positivo ubicata proprio lì tra il vello di due cosce divaricate di un corpo femminile anonimo, senza identità. Un'inezia rispetto alle dolcezze del presente, dopo i corpi in maschera putrescente delle serie filmiche dei morti viventi, mancava solo l'esibizionismo voyeuristico tecnologico della webcam di "Big Brother"; a consolazione ricevo un invito ad una mostra pesonale intitolata "Apertura Culoairbag": come vorrei poter posare lo sguardo dove guardavano le figure di Caspar David Friedrich.
Ma la consapevolezza che nasce dalla facile constatazione che questo corpo cosi configurato è sempre meno personale e reale, che sempre più raramente è considerato come sede ospitante un individuo, o un'appartenente ad una comunità o un possessore di un'anima, per dipendere sempre più da una dimensione d'immagine, spersonalizzata, globale, uniforme, sempre più assoggettata a logiche che, con la sperata libertà, con una ormai dimenticata anima, con il nostro corpo fisico, ben poco hanno a che vedere, non basta a dar sollievo, a lenire le quotidiane ustioni. L'arte certo, un possibile balsamo.
L'immagine di psiche, del suo corpo, descritta da Savinio è molto più prossima, con i suoi graffiti - cicatrice, alla realtà che, dall'interno di questo corpo, percepiamo corroderne l'esterno, la pelle. Proseguiva Savinio "Giorno verrà che uno stato di civiltà suprema abituerà gli uomini a vestire una pelle perfettamente liscia, splendidamente indifferente…..".
L'enorme corpo robotico del Grande Mazinga era guidato, dall'interno della testa, da due esseri umani: forse la salvezza verrà dai cartoons.

Domenico D'Oora - giugno 2000

*Nb: bannalità

**Correggio "Giove e Antiope" Parigi Louvre

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