Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Il Corpo della Biennale
Le partecipazioni straniere alla LXVI Biennale di Venezia*
di Michele Caldarelli

Se fossi un pasticcere la paragonerei a una torta farcita, se fossi un matematico a un sistema di equazioni... e via dicendo. Sta di fatto che quello della Biennale di Venezia ancora una volta e non per concluderne l'avventura centenaria, si rivela un organismo complesso, di riferimento interpretativo o esperienza diretta ai più svariati livelli: dal gustoso assaggio alla più mediata lettura analitica, dal più crasso apprezzamento erotico alla più distaccata interstizialità spirituale. Volendo dare un panorama delle partecipazioni nazionali (del rimanenente si sono occupati altri) ho raccolto, fior da fiore, ben quindici chili di cataloghi e scattato più di trecento fotografie come appunti di percorso.... come di consueto! Risultato: una massa documentativa non indifferente e purtroppo, no, per fortuna disomogenea mostrando in miriadi di rivoli il fluire sinergetico della tematica centrale soddisfacendola nel continuo comporsi e disgiungersi di identità e alterità, polimorfismo tutto sommato genetico del corpo delle biennale e sintomo di vitalità nonostante l'anzianità e volonta celebrativa dell'istituzione... Ebbene: cento di questi giorni! Qualcuno trova costrittiva e obsoleta la natura dei padiglioni nazionali ma sta di fatto che, a parte il maquillage-installazione operato dagli artisti all'esterno degli edifici giapponese e israeliano il rinnovamento architettonico di quello austriaco la realizzazione effimera lussemburghese e la costruzione ex novo dei coreani, la necessità centrifuga ed espansiva della manifestazione si sta comunque concretando sul territorio urbano di Venezia e non solo; c'è chi, come gli argentini che si propone in "navigazione". Chi vorrà visitare la Biennale a tappeto dovrà armarsi di tempo, pazienza e buoni apparati cartografici poiche le idicazioni a voce di qualsiasi veneziano vi porterà: sempre dritto! In fondo alla calle... nel nulla. Le mie indicazioni d'altro canto non miglioreranno l'orientamento poichè traccerò dei percorsi riferiti solo ad alcune problematiche e non al territorio e nemmeno all'ordine alfabetico delle nazioni o degli artisti, per questo c'è il voluminoso catalogo edito da Marsilio.

Il mezzo espressivo, High-Tech versus Low-Tech, ordinarietà e straordinarietà del quotidiano: in vari modi e misura la tecnologia è entrata e continua ad essere in gioco in ambito artistico proiettandone le potenzialità verso il futuro. In parallelo ai più tradizionali media espressivi e ai "primordiali" mezzi della fotografia e del video, sempre più sofisticati hardwares assistiti da complessi softwares concedono all'espressività artistica nuove frontiere. Esempi di queste applicazioni li troviamo nel padiglione giapponese col lavoro di Yoichiro Kawaguchi, che con computer e HDTV ci mostra una vita sintetizzata elettronicamente, o di Jae Eun Choi, che in modo più mediato nei confronti della realtà filma per lassi di tempo quasi infinito lo svilupparsi di microorganismi viventi sulla superficie di fogli di carta di riso. In modo differente ancora troviamo utilizzata la multimedialità da parte dello statunitense Bill Viola. Con un'opera in cinque atti riassume circa vent'anni di attività. Coinvolge sinestesicamente l'osservatore, nel recupero del sentimento, immergendolo in una alterità magica del vissuto e per mezzo di amplificazioni sensoriali reintroduce lo straordinario nel consueto. Una sorta di video-archivio panottico della quotidianità, concertato con effetto "aspirapolvere" e di segno opposto a quello di Viola, è stato realizzato dagli svizzeri Peter Fischli e David Weiss. Nel padiglione austriaco, infine troviamo il mezzo tecnologico assurto ad oggetto dell'arte, all'estremo opposto del suo utilizzo low-tech come accumulo di materiali di rifiuto come nel caso del coreano Jheon Soo-cheon. All'interno del padiglione austriaco riprogettato da Coop Himmelb(l)au, Wolf d. Prix e Helmut Swiczinsky all'insegna di una nuova equazione fra arte e architettura, si possono sperimentare due livelli di interattivita spazio-temporale con le "soft-hard" immersioni nelle opere di Ruth Schnell, Peter Sandbichler e Constanze Ruhm; una destabilizzante navigazione elettronica.

Il luogo e il viaggio, nel labirinto della vita: si è parlato sopra di identità alterità con il mezzo espressivo ed abbiamo compiuto un breve escursus nella virtualità. Si è riscontrato un effetto di espansione-compressione dei rapporti spazio temporali attivato per tramite di "protesi" tecnologiche, ma vero è che l'idea ancestrale, il desiderio inestinguibile di comprendere e superare i confini della corporeità con un tracciato iperbolico che tenda a sfuggirvi, trova espressione anche nella tradizione a-tecnologica ed è presente, ad esempio, nello stesso padiglione giapponese con la progettazione "Suki" della sala da the di Kengo Kuma. La metafora del viaggio come elevazione spirituale e liberazione dalla ponderalità ritorna (ancora con un pizzico di High-Tech)nella istallazione del coreano In-Kyum Kim. Qui il visitatore scompare procedendo all'interno di un labirinto semitrasparente cui potrebbe fare eco negativa l'impotenza al cospetto della simmetria totalitaria della tedesca Katharina Fritsch. Decisamente Low-Tech è invece il percorso-labirinto comunemente allestito dagli egiziani Medath Shafik, Hamdi Ateia Ahmed e Akram el-Magdoub.

Energia e ponderalità del corpo, erotismo e spiritualità: fuggire dal corpo ma non necessariamente... se lo intendiamo vitalisticamente e come entità fondamentale di un universo relazionale che ci appartiene o cui apparteniamo. Compresse come in un black-hole anche le 520 tonnellate dell'installazione di César fanno intuire la luce oltre l'estremo buio della materia. Tutto sommato, anche se talvolta può apparire ingombrante e ingabbiato come allo slovacco Jozef Jankovic o fragile calco, negatività dell'universo come per l'ungherese Gyorgy Jovanovics, il corpo in effetti costituisce veicolo e tramite dell'energia, strumento di ricezione dell'armonia dell'universo, macchina gioiosa e musicale come per il greco Takis o, trasfigurato, anche ironicamente, angelo come per gli spagnoli Andreu Alfaro ed Eduardo Arroyo. In negativo o in positivo secondo il caso e la morale, il corpo è macchina erotica per la prosecuzione della vita o materiale da forno per la cucina della spiritualità, con tutte le devianze del caso come per l'australiano Bill Henson o i cinesi Huang Chin-yang e Hou Chun-ming.

Il tempo della vita, anima(li) e fisiognomica: l'aspetto ponderale del corpo cessa e si evidenzia contemporaneamente nel momento della morte. Tutto rientra nell'armonia, nella cruda necessità della natura del mondo come lo conosciamo. Proprio nella natura riconosciamo, con animo meno coinvolto dai sentimenti, la necessità dei corpi di reimmettere la propria potenzialità energetica nel flusso della vita; la morte non costituisce che mero accidente. La "camera delle meraviglie" del danese John Olsen costituisce una raccolta di reperti paleontologici del quotidiano; parrebbe un ossimoro ma, in effetti, tutti faremo parte del panorama della paleontologia, basta aspettare! In senso traslato, solo riconoscendoci in ciò che ci appare altro da noi possiamo riconoscerci e riconoscere il nostro destino "animale". Come in uno specchio il canadese Edward Poitras si riconosce nel coyote e il Norvegese Per Maning nella foca.

Alienazione e identità culturale: riconoscerci, come orientandoci in un territorio sconosciuto, comporta l'individuazione di segni di riferimento, la compilazione di una mappa della nostra identita fisiognomica o di appartenenza culturale. I tratti somatici, la razza e il carattere sono impressi nel viso e la nostra consuetudine al loro riconoscimento, per categorie di riferimento, resta turbata dalla visione di "monstra" anche artificiali come quelli del venezuelano Sammy Cucher e Anthony Aziz o il tedescoThomas Ruff. In modo diametralmente opposto l'irlandese Katy Prendergast, col progetto della mappatura di tutte le capitali del mondo, le restituisce come ambigue illustrazioni di un atlante di anatomia. Paesaggio antropico e geografia del corpo collimano nella prospettiva utopica di conoscenza dell'antico sogno di Adamo. La texturizzazione dell'universo attraverso metodica sistematizzazione può essere follia pura come per il brasiliano Arthur Bispo de Rosario o progetto e natura di identità culturale all'estremo opposto attraverso la sedimentazione del patrimonio dello scibile e la sua diffusione ipertestuale come nella metabiblioteca degli israeliani Joshua Neustein, Uri Tzaig e David Grossman.

*Pubblicato su D'Ars nr. 146 - agosto 1995


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