Archivio Attivo Arte Contemporanea http://www.caldarelli.it

 

MINIARTEXTIL 2001
Libere Trame
XI edizione

a cura di:
Luciano Caramel
Catalogo a cura di:
NuoveparoleComo 2001
106 pp. 23x27 cm
ill b/n e col.
lingua:ital/ingl

Il catalogo accompagna la XI Edizione di Miniartextil, rassegna internazionale di fiber-art che annualmente si tiene a Como, città che da più di un secolo è luogo di elezione della cultura tessile.
La rassegna, a cura del critico d'arte Luciano Caramel, è ideata e promossa da Nazzarena Bortolaso e Mimmo Totaro della Associazione Culturale Arte&Arte con il patrocinio della Regione Lombardia, la Provincia di Como, il Politecnico di Milano, la Fondazione Setificio di Como, l'APT di Como oltre al contributo e al sostegno di operatori culturali e di settore.

Vi proponiamo di seguito un intervento critico di Vincenzo Guarracino, una riflessione di Michele Caldarelli e un'intervista rilasciata dall'artista Jagoda Buic a Rosabianca Mascetti.


"Libere Trame" di Vincenzo Guarracino
E' l'idea più geniale (se non addirittura l'unica), pensata e realizzata a Como, in ambito espositivo d'arte, già da oltre un decennio, da Mimmo Totaro e Nazzarena Bortolaso, con la regia di Luciano Caramel. Miniartextil, rassegna internazionale d'arte tessile, ospitata nell'ex Chiesa di San Francesco a Como (22 settembre-20 ottobre 2001), coniuga, infatti, la peculiarità tutta comasca del tessile con le forme di un'arte che deve fare i conti con le esigenze più diverse (degli appassionati e collezionisti non meno degli artisti), a partire da quelle delle dimensioni (rigorosamente 20x20x20 cm.). Con formula concretamente intelligente, tipico tratto della lombardità di ideatori e finanziatori della rassegna, è stata privilegiata (e sollecitata), come sempre, la scommessa sugli spazi brevi, mini, e l'adesione dell'elemento specifico, il serico e il filato, applicati a forme plastico-pittoriche variamente combinate. Con risultati a dir poco sorprendenti e tali da rinnovare l'ammirazione che la città si è abituata a tributare alla manifestazione già negli anni precedenti come di fronte ad un appuntamento di riconosciuta qualità, circa duecento "operatori", con l'aggiunta dell'artista dalmata Jagoda Buic, ospite d'onore con le suggestive Formes Blanches delle sue tessili concrezioni fantastiche, hanno d'un tratto popolato l'antico spazio espositivo, distribuendo le proprie opere secondo un disegno preciso e sapiente, in duplice fila, lungo la navata centrale dell'ex chiesa, e riservando le 14 cappelle laterali ad altrettante diverse installazioni, obbedendo al tema che nel 2001 era Libere Trame. (Le opere di grande formato sono state realizzate dalla francese Brigitte Amarger, di giapponesi Ideo Tanaka e Haoi Kono Huber, dai finlandesi Kalevi Yokinen e Kaija Poijula, dalla messicana Cecilia Martinez Lussareta, dalla cinese Liang Shaoji, dall'anglo-svizzera Penelope Margareth Mackworth Pread e dagli italiani Maria Luisa Barbera, Fabrizio Bozzoli, Heidi De Felice, Filippo Falbo e Irina Ferrando).
Dopo i Fili di Luce del 1999 (con implicito omaggio ad Alessandro Volta nel bicentenario dell'invenzione della pila) e il Filo del Millennio dell'edizione 2000, giocati sulle sottili analogie tra l'elemento base del tessuto e il destino stesso dell'esperienza esistenziale ed espressiva di ognuno, ecco dunque la messa a fuoco dell'essenziale compresenza e interazione di elementi diversi, dalla cui congiunzione e coniugazione sboccia il fière dell'apparenza, il miracolo dell'arte, in una sorta di epicureo clinamen di colori e forme.
Libere Trame, come dire incontro tra ordine e caso, possibilità e necessità, rigore e fantasia, geometria e poesia: un fertile ossimoro, dunque, quale si addice all'arte nella sua più essenziale incandescenza, capace perciò di innescare i più felici, cortocircuiti fantastici e formali. Come l'hanno interpretato questo tema i vari artisti? Non potendo dar ragione di tutti, conviene soffermarsi almeno sui "comaschi", in numero nient'affatto esiguo (ben 15) rispetto ai complessivi 188 di diversa provenienza e nazionalità (ben 111 stranieri), e tra questi su alcune presenze particolarmente originali e significative, a partire da Filippo Falbo, presente con un'installazione di notevoli dimensioni (Intreccio 200x200 cm) e una minuscola composizione polimaterica (Paesaggio). E' quella di Falbo una ricerca che il tema dell'intreccio (giusto il titolo della sua opera maggiore) letteralmente lo interpreta e sviluppa come un gioco linguistico intrinseco al suo stesso stare e operare nei territori dell'invenzione fantastica, che si muove tra pittura, scultura, narrativa (mi riferisco al romanzo Bellavista di Acetara del 1991) e poesia (penso soprattutto al più recente Lumi di carta del 1994), con esiti davvero notevoli, al cui riconoscimento e apprezzamento al di fuori del ristretto ma convinto manipolo di estimatori nuoce non poco l'abito disincantato e discreto dell'artista. Ben più, dunque, di "una vera e propria pittura eseguito con fettucce di tela colorata", come la definisce Luciano Caramel nelle note critiche di presentazione: l'opera di Falbo, non solo qui, coniuga lirismo ed esattezza con un ésprit de geometrie degno di Sinisgalli, poeta, scienziato e, guarda caso, pittore, proponendoci come una dichiarazione di poetica per quello che sa dirci dell'intenzione dell'autore, capace di comunicare con giocosa allusività una sua idea del fare artistico (e poetico) come affiorante da una griglia luminosa. In questa chiave, non meno significativo appare l'altro lavoro, Paesaggio, con le sue atmosfere suggestivamente liriche, che sembrano rimandare a certi versi dell'autore ("Cessata è l'acqua e spento ogni rumore, / e le luci son fresche e il cielo chiaro; / si teme ancor vedere qualche bagliore..."): un paesaggio dell'anima, un presagio e un'attesa di poesia, governato dal ritmo del sentimento, del senso di una scoperta progressiva, scritta nei piani diversi della visione. Degli altri "comaschi", mi piace prendere in considerazione soprattutto Giuseppe Coco. Cose pregevolissime fanno vedere Heidi Bedenknecht De Felice con i suoi kimoni, costruiti in seta e materiali vari di imballaggio, con forte intenzionalità ludica, e soprattutto Maria Luisa Barbera, con la sua ricerca di spiritualità (Dov'è il Graal?) nella complessità di colori e rifrazioni del vetro; colpisce anche Bruno Luzzani, con le sue Trame di pietra, che in piccolo fanno risaltare la sua essenziale ricerca di intime risonanze liriche nella pietra etrusca, che costituisce da sempre il suo materiale privilegiato; sa evocare atmosfere struggenti e suggestive Marisa Bronzini con un fascinoso pannello Filo 66. Ma è Coco che con povertà di mezzi sa ottenere effetti davvero notevoli, rivelando una candida felicità infantile, davvero inusuale con questi chiari di luna. "l'unica cosa seria che si può fare oggi è il gioco", ammette e la sua opera davvero giustifica e conferma la sua affermazione. Una composizione semplicissima: una scatola, scalarmente di proporzioni gigantesche, contenente un cuore imbrigliato e prigioniero, contenuto in un trattore verde guidato da un omino impettito. L'effetto, scenico e cromatico, è notevole e val la pena di segnalarlo (anche per il fatto che è opera non isolata di un artista serio e interessante, ancorché poco appariscente).

 

"Miniartextil" tra tradizione, cultura e sperimentazione industriale di Michele Caldarelli
Ora che la Biennale di Losanna ha interrotto i propri appuntamenti, si sente più che mai la necessità di un nuovo punto di riferimento per la textil-art europea e proprio Miniartextil, la ormai ultradecennale manifestazione comasca, potrebbe assolverne le funzioni. Una peculiarità che rende eleggibile Miniartextil a volano della creatività di settore, oltre all'entusiastico fermento degli artisti, che sempre più numerosi vi affluiscono, è costituita per certo dalla presenza di molte opere di notevoli dimensioni suggerendo una progressiva e costante fuoriuscita dai canoni "mini" delle opere, altrimenti commissionate tassativamente nel formato massimo di 20 centimetri di lato. La possibilità fornita a rotazione, a molti degli artisti intervenuti, di presentare anche delle installazioni di grande formato, più che privilegio costituisce per loro motivo di confronto reciproco e di alternanza nel misurarsi con opere di più ampio respiro. L'opzione posta su una via di sviluppo di Miniartextil, collocabile a cavallo fra la conservazione/interpretazione dei linguaggi della tradizione e l'invenzione del nuovo in assoluto, può inoltre costituire presupposto e leva fondamentale per la maturazione di una differente specificità della rassegna.
La sperimentazione dei materiali nuovi, già peraltro ampiamente collaudata, può considerarsi come area peculiare di sviluppo delle tecniche di "tessitura" e campo di sinergia operativa sia per gli artisti che per le aziende interessate a supportare nei prossimi anni la continuità della rassegna. La temporanea difficoltà nel reperire rapporti di sponsorizzazione dovuta ad una non facile situazione dell'industria tessile comasca, potrebbe difatti risolversi con l'ampliamento del raggio di azione di Miniartextil se la rassegna potesse divenire punto di riferimento forte per l'innovazione tecnologica. A completamento della mostra, si potrebbero anche organizzare workshop incentrati sulla sperimentazione, sottolineando la caratteristica indicata, coinvolgendo gli istituti di insegnamento e di ricerca.

Intervista di Rosabianca Mascetti a Jagoda Buic, ospite d'onore a Miniartextil 2001
Nata a Spalato nel 1930, Jagoda Buic è famosa in tutto il mondo per le sue forme tessute per lo spazio e le sue installazioni monumentali presenti nei più prestigiosi musei e istituzione. Opere che si basano sulla capacità di saper unire tradizione e modernità, utilizzando le tecniche del passato per creare forme nuove, moderne.

D - Signora Buic come nasce questo suo concetto di arte nello spazio, di arte che coinvolge direttamente l'osservatore.
R - Nasce dal desiderio di ridare alla tessitura e ai materiali che uso, lana, sisal, corde di capra, una loro autonomia, di poter esprimersi nel vocabolario che appartiene alla tessitura. Da questo punto di vista sono entrata nella "subcoscienza" della materia stessa e ho cercato sempre di evolvere le mie forme il più possibile corrispondendo allo spazio che devono occupare. E' una mia tendenza naturale, architettonica, di total design per cui cerco sempre di coinvolgere lo spazio nella mia scultura, di dialogare con lo spazio. Di creare una realtà tattile e non solo visiva.
D - Lei ha una formazione cosmopolita, per frequentazione artistica, e personale, per aver studiato e vissuti in molti paesi. Ciò nonostante ha saputo mantenere un'impronta molto personale alla sua arte.
R - Sì, Federico Fellini ha detto "Per essere un artista internazionale si deve parlare delle proprie radici" e qui vorrei citare anche il grande architetto Gaudì "Per essere originali bisogna tornare alle origini". Per quanto io abbia studiato in molti paesi e fatto il giro del mondo, provengo dalle radici del mio paese ed è sempre presente in me, non direttamente il paesaggio dalmata, ma la sensibilità dalmata, del contatto con il mare e con le montagne del Carso. Il mio non è uno stile ma è una verità.
D - Dunque una predisposizione naturale verso l'esterno, una conoscenza profonda delle proprie radici portata verso gli altri.
R - Assolutamente, non si può uscire dalle tradizioni. Mi sono sempre rivolta alla più remota e profonda tradizione della tessitura delle donne del mio paese, delle donne di montagna e anche alla mia esposizione alla Biennale di Venezia di quest'anno, che era dedicata alla "Piattaforma dell'Umanità", ho dato il titolo di "Invito alla pace" perché era stata fatta con l'aiuto delle donne bosniache, croate, serbe in un momento di pace e di volontà comune di creare una cosa bella. Lavoravamo insieme, io progettavo e loro mettevano tutta l'abilità e la manualità che io non potevo avere.
D - Dunque un lavoro corale nelle sue opere, di memoria storica, opere, tra l'altro, che sono molto complesse e che richiedono una progettazione accurata.
R - Sono opere ambientali nelle quali l'uomo viene coinvolto direttamente. Studio una forma, la disegno e poi partendo per tutto il corso della lavorazione resto sempre fedele alla mia idea primaria: Durante la tessitura ovviamente ne sviluppo dei particolari ma la forma architettonica finale è sempre esattamente la stessa che ho pensato in origine.
D - Come ha scelto l'installazione presentata a Como?
R - Quando ho visto l'armonia di questa bellissima abside della Chiesta romanica di San Francesco ho pensato ad una scultura degna di questo ambiente, ad un accompagnamento corale, e così ho scelto "Spazi bianchi" un'opera ricca di tensione, che sembra opporsi al vento, ricorda le vele di una nave, una prua, una scultura in navigazione nello spazio e nel tempo. Presento anche due pannelli "Cerchio dinamico" e "Paesaggio" fatti in lana vergine con i quali creo un gioco di ritmo.
D - Quali sono i suoi materiali preferiti?
R - Le fibre di origine naturale, perché conferiscono morbidezza e rigore alle mie opere tessute a mano, qualità che non riesco a ottenere con le nuove fibre industriali.
D - Siamo a Como patria dell'industria serica ha mai pensato all'utilizzo di questo prezioso materiale?
R - La seta mi ha sempre affascinato, è un filo leggendario, racchiude in sé un senso di mistero, e ha sempre fortemente marcato la mia fantasia per quella sua caratteristica di fluidità, di saper reagire alla luce. Tra i miei molti progetti futuri vi è anche la realizzazione di un'opera interamente in seta.
D - Qual è la simbologia dei colori che lei usa.
R - Per me è la forma che è colore, ma i miei preferiti sono il nero, il marrone, i colori della terra, il rosso, il colore del sangue e il bianco. Ma a volte bisogna saper rinunciare al colore. Quello che mi rende felice è aver potuto interpretare questa tradizione tessile che purtroppo anche nel mio paese sta scomparendo dopo questa insensata guerra. In tal senso è scomparso anche parte del mio lavoro perché le donne che collaboravano con me sono disperse. Io non smetterò certo di lavorare ma queste opere in tessuto appartengono ad una civiltà che nel mio paese si è spenta.


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