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ALBERTO GIACOMETTI
Dialoghi con l'arte

a cura di:
Casimiro Di Crescenzo
Simone Soldini
con la collaborazione di:
Jean Soldini
Ed. Museo d'Arte
CH - Mendrisio 2000
228 pp. 22x27 cm
140 ill. b/n e col.
ISBNN 88-85188-22-X

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Molte sono le istituzioni che hanno celebrato nel 2000, in anticipo sul centenario della nascita, l'artista Alberto Giacometti (Borgonovo 1901-Coira 1966): il Museo Thyssen Bornemisza di Madrid, la Fondazione Mazzotta e il Centro Culturale Svizzero di Milano, il Museo d'Arte di Coira, e il Museo d'Arte di Mendrisio che (dal 16 settembre al 12 novembre 2000) ha presentato "Alberto Giacometti: dialoghi con l'arte". Dalla Svizzera la mostra nella primavera del 2001 passerà in Spagna al Centre Julio Gonzales di Valencia.
Una mostra di taglio specialistico che pone a confronto la grande pratica di Giacometti della copia di capolavori d'arte e alcune tra le sue opere più famose di grande interesse e contenuto. "Non c'è opera del presente che non sia legata al passato" diceva Giacometti e come non pensare alla statuaria dell'antico Egitto, osservando le sue esili donne, così statiche, frontali, con la gamba sinistra avanzata, o l'arte sumera nella compattezza dei ritratti, delle teste. L'esercizio della copia gli faceva acquisire padronanza delle forme ma soprattutto gli permetteva di capire e interpretare la realtà. Disegnava freneticamente o "automaticamente", come gli rimproverava la madre, con la biro o la matita dura, su piccoli taccuini che gli sfondavano le tasche, su libri, cataloghi, giornali, negli spazi bianchi liberi debordando anche sulla parte scritta. Nascono così tutti i personaggi che popolano il mondo di Giacometti, da una trama sottile di virgole, da una ragnatela di piccole ossa, da un'imbastitura di bacchette e stecchi, in una infinità di sfumature di grigio, nero fumo con la sola intrusione del rosa. Lavorava con precisione, sempre brontolando e sempre insoddisfatto, rincorrendo mille dubbi, togliendo e assottigliando, distruggendo o rifacendo quello che un attimo prima o per intere notti aveva costruito, modellato o dipinto. Se non ci fosse stato il fratello Diego, che pazientemente e di nascosto salvava ogni cosa, oggi avremmo ancor meno di quel meno che Giacometti ha lasciato. Perché si riteneva uno scultore fallito, lui che trovava le rotondità meravigliose e compiute mentre creava "involontariamente" modelli scarnificati, protesi verso l'alto, fantasmi di un'esistenza, interpreti di un ideale di sopravvivenza generale. Gli uomini e le donne di Giacometti sono più una costruzione logica che visiva, una percezione poetica della vita perché tutto ciò che vediamo sta passando, è in transito, e lo spazio tra noi e la gente è in continuo mutamento.
(Testo tratto da "Giacometti, le metamorfosi dell'arte" di Rosabianca Mascetti publicato dal "Corriere di Como" il 26 ottobre 2000)

 

 


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