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Speciale XLVIII Biennale di Venezia

 

CHEN ZHEN
"Jue Chang/Fifty Stroken to Each"

THE 48TH VENICE BIENNALE

a cura di :
Annie Wong Leung Kit-Wah
Published by:
Annie Wong Art Foundation
Vancouver 1999

lingua inglese
10 pp. 13 x 19 cm.
ill. b/n e col.

L'artista cinese Chen Zhen (nato a Shangai nel 1955. vive e lavora tra Parigi, New York e Shangai) ha presentato alla 48a Biennale di Venezia l'opera "Jue Chang" ovvero "Cinquanta colpi ciascuno" che fa riferimento ad una massima buddhista secondo cui chi si avvicina al Buddha per pregare o per parlare della propria spiritualità deve essere battuto perché si renda conto che non è possibile disquisire dei fondamenti della dottrina. L'opera è composta da una serie di sedie e letti, (un centinaio raccolti in varie parti del mondo, in particolare in Medio Oriente) la cui superficie piatta è stata sostituita da pelli animali, che vengono poi appesi in modo da poter venire percossi e produrre suoni. I bastoni che servono per la percussioni sono invece fatti dai manganelli usati dalla polizia, da pezzi di armi, pezzi di legno, metallo, tubi vari. Invece di battere le natiche dei questuanti si battono le superfici su cui questi si posano. Secondo un proverbio cinese "per guarire bisogna inghiottire l'amaro" a significare che la capacità di accettare le difficoltà è una via di purificazione che eleva l'individuo dal livello puramente materiale in cui è immerso. Nella grande installazione sonora di Chen Zhen gli spettatori vengono coinvolti direttamente. La loro partecipazione al tambureggiare ha la funzione di risvegliarli attraverso il ritmo di una musica improvvista, priva di codici, che proprio per questo riesce a comunicare con la forza dell'intuizione e dell'irrazionalità. L'oscura aggressività che emerge sia dal suono incontrollato dei tamburi che dall'atto stesso di battere una superficie (idealmente il corpo di un avversario) funzionano in realtà come esorcismo di una possibile, ben più brutale violenza. Chen Zhen porta in giro per il mondo questo suo progetto che viene sempre introdotto da un "Concerto", durante il quale alcuni monaci tibetani suonano una "Ouverture", cui fa seguito l'intervento di musicisti professionisti, che lasciano poi libero spazio ai visitatori della mostra che possono sfogare la loro aggressività sull'installazione sonora. (R.M.C.)


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