Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo
Jean Raine

Con un COBRA nel Cappello
(
avec un COBRA dans un chapeau )
dal 15 aprile al 18 maggio 2006

"Creare non è un piacere, è una necessità profonda. La dialettica tra pensiero e azione, tra azione e linguaggio scompare ai miei occhi nel momento in cui la mia vita si dissolve nel mio lavoro. Lascio agli altri decidere si vi siano contenuti o solo tracce di un gesto impulsivo ed effimero ma che, comunque, fa battere forte il cuore" così si esprimeva in un'intervista Jean Raine (Schaerbeek Bruxelles 1927-Rochetaillée-sur-Saône Francia 1986) pittore, poeta, cineasta belga che Il Salotto ripropone nell'ambito degli omaggi dovuti ai tanti amici artisti che sono passati in quarant'anni di attività di galleria. Nel caso di Jean Raine fu un primo soggiorno sull'Isola Comacina nel 1965 su invito del Ministero dei Beni culturali belga a portarlo a Como, occasione anche di viaggio per le nozze con Sanky Rolin Hymans, sua terza moglie e compagna di tanti progetti. Negli anni Settanta la galleria Il Salotto organizzerà due personali, nel 1974 e nel 1979, e una mostra nel 1977 a quattro mani con l'amico artista italiano Vincenzo Torcello. 

Figura complessa e completa nell'ambito delle avanguardie storiche del secondo dopoguerra, Jean Raine inizia giovanissimo un proprio percorso personale basato su un solido bagaglio culturale e incontri importanti tra Bruxelles, Parigi, l'America e l'Italia. Dopo gli studi classici si iscrive alla facoltà di scienze politiche anche se arte e letteratura restano i suoi grandi amori e la pittura uno strumento per esprimere le proprie sensazioni. In puro stile Dada cambia il suo vero nome, Jean-Philippe Robert Geenen, in Jean R.A.I.N.E, composto estraendo alcune lettere da un cappello. In patria non ancora ventenne, conosce il drammaturgo Michel De Ghelderode, lo affascina il suo modo di fare teatro in cui esalta i misteri della creazione, della vita e della morte, rappresentati con una forte valenza espressionistica, un po' truce mescolando il fantastico pittorico, la costruzione filmica, la buffoneria carnascialesca e il puro misticismo; si interessa di cinema attraverso André Thirifays, fondatore della Cineteca del Belgio, frequenta gli atelier del Marais una sorta di Bateau-lavoir artistico-letterario creato da Pierre Alechinsky in una vecchia casa di Bruxelles; prende contatti con il gruppo surrealista e in particolare con René Magritte e, anche se in comune non hanno molto né sul piano artistico né su quello politico-sociale, Magritte individua in lui un talento non comune degno di stima e di attenzione - in futuro non sarebbe mai mancato ad una sua mostra. Grazie a Magritte Raine entra anche in contatto con il gruppo surrealista francese e a Parigi, dove segue corsi di psicologia alla Sorbona e prepara una tesi sul cinema astratto, conosce Breton, Matta, Victor Brauner - "un grande amico e spirito indipendente" - e il Dr. Pierre Mabille - "un maestro e un padre"- con il quale realizza nel 1949 uno dei suoi primi film sperimentali "Le Test du Village" Nel contempo prosegue la sua grande produzioni di scritti, articoli, racconti, poesie, frequenta gli esistenzialisti (Juliette Gréco, Michel de Ré, Malkine), collabora per più di quindici anni con Henri Langlois direttore della Cineteca francese, conosce tanti personaggi del mondo del cinema Cocteau, Barsacq, René Moullard e il famoso mimo Marcel Marceau "un grande amico, un logorroico, - peccato che non prendessi appunti durante le nostre interminabili conversazioni - un artista che ha fatto del silenzio strumento per trasmettere vitalità e una nuova concezione di messa in scena e di tecnica recitativa. Era volubile e chiacchierone e ....inadatto a recitare le mie poesie" 

Dal movimento surrealista al movimento Cobra il passo è breve ma Jean Raine sarà capace di fondere l'esperienza maturata in ambedue i movimenti in un personale percorso grafico: alla concezione surrealista "della creazione automatica senza il controllo della ragione" cara a Breton egli sostituisce quella più scientifica delle teorie di Freud e dell'interesse per l'attività dei sogni quale via per giungere alla conoscenza dell'anima; alla concezione surrealista della vita un po' troppo formale, elitaria, ottusa e intellettualizzata preferisce quella dei Cobra di collaborazione organica, di sperimentazione dei materiali, di percezione di un'arte più spontanea, più vicina a quella primitiva, popolare, infantile ma nel contempo innovativa. Un'arte non separabile dalla società a cui ci si approvvigiona, che utilizza simboli, figure, motivi improntati alla natura, ai buoni e cattivi spiriti, alla fertilità, alla vita, alla morte, alla sensualità, un'arte che vuole riconciliare l'uomo con l'universo e il creato con una lingua e scrittura universale. Un'arte che accomuna pittura e scrittura, scrittura e cinema, quest'ultimo visto come una sintesi di poesia, musica, immagine e tecnica. Jean Raine partecipa nel 1950 alla realizzazione dell'unico film Cobra "Perséphone" e nel 1951 organizza a Liegi, in parallelo alla grande mostra d'arte Cobra, il festival del film sperimentale al Palais des Beaux Arts. Paradossalmente il 1951 segna l'apoteosi e la fine di Cobra, un movimento di breve durata ma che ha segnato profondamente le nuove avanguardie a seguire, movimento che Jean Raine porterà avanti in solitario con un suo stile personale. 

L'opera di Raine si distingue di fatto per la forza selvaggia del gesto, sensuale e furioso, atletico nei grandi formati, per una pittura barocca e fantastica che evoca strane feste e sontuosi incubi, una pittura ebbra di colore e di segni senza ripensamenti, in cui anche il suo monogramma J.R. ingrandito è esso stesso motivo pittorico, testimone del continuo combattimento ingaggiato con se stesso, con la società, con la vita e portato all'esasperazione. Ogni volta che inizia a dipingere è come se si lanciasse in una totale frenesia creativa, come se fosse l'ultima possibile, che lo rende spossato, al limite delle forze, al limite della vita, in una sorta di autodistruzione liberatoria. A volte pesantissime e dolorose le conseguenze con ricoveri in ospedale da cui esce ogni volta con determinazione per gettarsi in una nuova lotta, violenta - per uno come lui incapace nella vita di un simile sentimento - per colmare il vuoto di una tela e annullarsi nel lavoro, come in una danza rituale, dimentico delle proprie paure.
Durante uno di questi ricoveri incontra una terapista di gruppo, Sankisha Rolin Hymans, colei che diventerà la sua terza moglie e compagna di tanti progetti tra cui la fondazione di un Club dedicato all'amico Antonin Artaud, per il recupero di persone in difficoltà esistenziale, club che era gruppo teatrale, laboratorio di pittura, scultura, fotografia, cinema; esperienza che porteranno anche al di fuori delle strutture ospedaliere. Seguono anni di intensa attività, riconoscimenti e mostre in patria e all'estero. Nel 1966 Raine segue la moglie negli Stati Uniti per un corso di specializzazione e lavora per due anni a San Francisco dove abbandona temporaneamente le amate chine cinesi per sperimentare nuovi pigmenti acrilici che trasforma in una materia calda, dolce, voluttuosa di colori straordinari: dal verde, al rosso, all'oltremare, al prussia, al vermiglio, all'oro, al granato. Da questo ribollire cromatico affiorano visioni, corpi umani, visi, occhi, animali che si mescolano a ghirlande di fiori di una foresta inviolata.

Al rientro dall'America i Raine per esigenze di lavoro di Sanky si trasferiscono in Francia e si stabiliscono definitivamente a Rochetaille-sur-Saône vicino a Lione dove Jean pratica "l'esercizio del silenzio" lavorando intensamente e "ruminando la scorta di cultura immagazzinata". Ma la sua pittura risente della mancanza dei luminosi paesaggi californiani e dell'isolamento di una città e di un ambiente chiuso e conservatore, inizia così il "periodo blu" in cui immagini fantastiche e sconvolgenti si contorcono con frenesia in una danza celeste. E' intransigente, tormentato, con un profondo senso della responsabilità, buono e appassionato, mantiene contatti con il mondo della cultura internazionale e nel contempo non smette di andare alla ricerca dei propri fantasmi. Dipinge per essere al centro delle cose, dipinge con "il cuore messo a nudo", per risorgere dalle negatività della vita, per risvegliare un'alchimia di meccanismi cieca e sotterranea che gli permetta di stregare lo spazio, ossessionarlo e riempirlo di ciò che di più drammatico e pesante risiede in lui in una sorta di "esorcismo d'angoscia" in cui perdersi ma che nel contempo nasconde e tradisce una mediazione tra l'uomo dannato e l'uomo salvato, tra l'uomo guerriero e l'uomo pacifico, tra la parola e l'urlo, tra la smorfia e il sorriso........

Rosabianca Mascetti, aprile 2006


“Créer n’est pas un plaisir, c’est une nécessité profonde. La dialectique entre pensée et action, action et langage disparaît à mes yeux au moment où ma vie se dissout dans mon travail. Je laisse aux autres le soin de décider s’il s’y trouve un contenu ou seulement la trace d’un geste impulsif et éphémère mais qui cependant fait battre le cœur” . Ainsi s’exprimait lors d’une interview Jean Raine (Schaerbeek Bruxelles 1927 - Rochetaillée-sur-Saône France,1986) peintre, poète, cinéaste belge que Il Salotto repropose dans l’ambiance des hommages dùs à tant d’amis artistes qui sont passés durant les quarante années d’activités de la galerie. Dans le cas de Jean Raine, ce fut un premier séjour sur l’île de Comacina en 1965 à l’invitation du Ministère de la Culture belge qui le conduisit à Come, occasion aussi de son voyage de noces avec Sanky Rolin Hymans, sa troisième épouse et compagne de tant de projets. Durant les années soixante-dix la galerie Il Salotto organisera deux expositions personnelle, en 1974 et 1979 et une exposition “à quatre mains” en 1977 avec son ami l’artiste italien Vincenzo Torcello.
Figure complexe et complète du milieu de l’avant-garde historique d’après la seconde guerre mondiale, Jean Raine commence très jeune son parcours personnel basé sur un solide bagage culturel et des rencontres importantes entre Bruxelles, Paris, l’Amérique et l’Italie. Après des études classiques il s’inscrit en faculté de Sciences Politiques, même si l’art et la littérature demeurent ses grandes amours et la peinture un instrument pour exprimer ses sensations. Dans le pur style Dada il change son vrai nom, Jean, Philippe, Robert Geenen, en Jean R.A.I.N.E. composé de lettres tirées d’un chapeau.
Dans son pays alors qu’il n’avait pas vingt ans il connaît le dramaturge Michel de Ghelderode, Il est fasciné par sa manière de faire du théâtre dans lequel il exalte les mystères de la création, de la vie et de la mort, représentée avec une forte valeur expressionniste, un peu brutal mêlant le fantastique pictural, la construction filmique, la bouffonnerie carnavalesque et le pur mysticisme; Il s’intéresse au cinéma grâce à André Thirifays, fondateur de la cinémathèque de Belgique, fréquente les ateliers du Marais, une espèce de Bateau Lavoir artistico-littéraire créé par Pierre Alechinsky dans une vieille maison Bruxelloise; prend contact avec le groupe surréaliste et en particulier avec René Magritte et même s’ils n’ont pas grand chose en commun sur le plan artistique ni sur le plan politico-social, Magritte reconnaît en lui un talent hors du commun digne d’estime et d’attention - à l’avenir il ne manquera jamais l’une de ses expositions.
Grâce à Magritte, Raine entre aussi en contact avec le groupe surréaliste français et à Paris où il suit des cours de psychologie à la Sorbonne et prépare une thèse sur le cinéma expérimental et abstrait, il rencontre Breton, Matta, Victor Brauner - “un grand ami et esprit indépendant” - et le Dr Pierre Mabille - “un maître et un père” - avec lequel il réalise son premier film “Le Test du Village”. Dans le même temps il poursuit sa grande production d’écrits, articles, récits, poésie; fréquente les existentialistes (Juliette Gréco, Michel de Ré, Malkine), collabore pendant plus de quinze ans avec Henri Langlois, directeur de la Cinémathèque française, rencontre de nombreux personnages du monde du cinéma Cocteau, Barsacq, Renée Moulard et le fameux mime Marcel Marceau qui fut un grand ami, un logorrhéique - dommage qu’il ne prenait pas de rendez-vous durant nos interminables conversations - un artiste qui fit du silence un instrument de transmission de vitalité et une nouvelle conception de la mise en scène et des techniques récitatives. Il était volubile et bavard et... Incapable de dire ma poésie.
Du mouvement surréaliste au mouvement Cobra le chemin est court mais Jean Raine sera capable de fondre l’expérience mûrie dans les deux mouvements en un parcours graphique personnel. A la conception surréaliste “de la création automatique sans le contrôle de la raison” chère à Breton il substitue celle plus scientifique de la théorie de Freud et de l’intérêt pour l’activité des songes, cette voie permettant d’atteindre la conscience de l’âme; à la conception surréaliste de la vie un peu trop formelle, élitaire lourde et intellectualisée il préfère celle de collaboration organique, d’expérimentation de matériau, de perception d’un art plus spontané, plus proche de celle primitive, populaire, infantile tout en demeurant innovatrice des Cobra .
Un art inséparable de la société dont il se nourrit, qui utilise des symboles, des images, des motifs empruntés à la nature, au bon ou au mauvais esprit, à la fertilité, à la vie, à la mort, à la sensualité, un art qui veut réconcilier l’homme avec l’univers et le créé avec un langue et une écriture universelles. Un art qui mêle peinture et écriture, écriture et cinéma, ce dernier vu comme synthèse de la poésie, de la musique, de l’image et de la technique. Jean Raine participe en 1950 à la réalisation du seul film Cobra “Perséphone” et en 1951 organise à Liège, parallèlement à la grande exposition d’art Cobra, le festival du film expérimental et abstrait au Palais des Beaux Arts. Paradoxalement 1951 signe l’apothéose et la fin de Cobra, un mouvement de courte durée mais qui a marqué profondément les nouvelles avant-gardes qui lui succéderont, mouvement que Jean Raine poursuivra en solitaire avec son style personnel.
L’oeuvre de Raine se distingue en fait par la force sauvage du geste, sensuel et furieux, athlétique dans les grands formats, par une peinture baroque, ivre de couleur et de signes sans repentirs, dans laquelle aussi son monogramme J.R. agrandi est en lui même un motif pictural, témoin du combat continuel engagé avec lui-même, avec la société, avec la vie et conduit jusqu’à l’exaspération. Chaque fois qu’il commence à peindre c’est comme s’il se lançait dans une totale frénésie créatrice, comme si elle était la dernière possible qui le rende épuisé aux limites de ses forces, aux limites de la vie, en une espèce d’autodestruction libératrice. Les conséquences en sont parfois très pénibles et douloureuses obligeant à une hospitalisation d’où il sort chaque fois avec détermination pour se relancer dans une nouvelle lutte, violente - pour quelqu’un qui comme lui est incapable d’un pareil sentiment - pour colmater le vide de la toile et se dissoudre dans le travail, comme en une danse rituelle, oublieuse de ses propres peurs.
Durant l’une de ces hospitalisations, il rencontre une thérapeute de groupe, Sankisha Rolin Hymans, qui deviendra sa troisième épouse et compagne de tant de projets parmi lesquels la fondation du Club Antonin Artaud pour la guérison de personnes en difficultés existentielles, club qui fut groupe théâtre, laboratoire de peinture, sculpture, photographie, cinéma; expérience qui se poursuivra aussi en dehors des structures hospitalières. Suivront des années d’intense activité, de reconnaissance et d’exposition dans son pays et à l’étranger. En 1966 Raine suit son épouse aux États Unis pour un cours de spécialisation et travaille pendant deux années à San Francisco ou il abandonne temporairement l’encre de chine tant aimée pour expérimenter les nouveaux pigments acryliques qu’il transforme en une matière de couleurs extraordinaires chaudes, douces et voluptueuses. du vert au rouge, à l’outre-mer, au bleu de prusse, au vermillon, à l’or, au grenat. De ce chaudron chromatique affleurent des visons, corps humains, visages, yeux, animaux qui se mèlent à des guirlandes de fleurs d’une forêt inviolée.
A cause du travail de Sanky, à leur retour d’Amérique, les Raine déménagent en France et s’établissent définitivement à Rochetaillée sur Saône près de Lyon où Jean pratique “l’exercice du silence” travaillant intensivement et ruminant la provision de culture accumulée. Mais sa peinture se ressent de l’absence des paysages lumineux de Californie et de l’isolement d’une ville et d’un milieu fermé et conservateur. Commence alors la “période bleue” dans laquelle des images fantastiques et convulsives se contorsionnent avec frénésie en une danse céleste. Il est intransigeant, tourmenté, avec un profond sens de la responsabilité, bon et passionné. Il maintient le contact avec le monde de la culture internationale et dans le même temps n’oublie pas d’aller à la recherche de ses propres fantasmes. Il peint pour rester au cœur des choses, il peint avec “le cœur mis à nu”, pour ressusciter de la négativité de la vie, pour réveiller une alchimie de mécanismes aveugles et souterrains qui lui permettent de ensorceler l’espace, de l’obséder et de le remplir de ce qui réside en lui de plus dramatique et de plus lourd en une sorte d’exorcisme d’angoisse dans lequel se perdre mais qui en même temps cache et trahit une médiation entre l’homme damné et l’homme sauvé, entre l’homme guerrier et l’homme pacifique, entre la parole et le hurlement, entre la grimace et le sourire.

Rosabianca Mascetti, aprile 2006
(traduction: Sanky Raine
)

 

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