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Il Salotto del giovedì
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Antonio Villani

Antonio Villani ha vinto l’estate scorsa un premio prestigioso, l’“Alessandro Manzoni-Baveno” con il suo primo volume di poesie Vento di ponente (Milano, Nuove Scritture, pp. 74, 10 euro), una novità nella scuderia della casa editrice le cui collane in catalogo sono curate dall’infaticabile scrittore e operatore culturale Angelo Gaccione.

Nato nel 1935 a Specchia, in provincia di Lecce, nella cosiddetta “Grecia salentina”, e “trapiantato  - dice - per avventura in Lombardia” dall’età di 23 anni, Villani si è laureato in Filosofia e ha poi insegnato in una scuola superiore di Como, città dove tuttora vive. Finora aveva pubblicato testi poetici in varie antologie, ma questa è la sua prima opera in versi a stampa. Numerosi, tra l’altro, sono i testi ancora inediti di stesura successiva alla pubblicazione. Il volume offre un percorso di scrittura organico e coerente, con non pochi spunti di  novità e soprattutto di qualità rispetto al panorama attuale, e non solo per quanto concerne la generazione cui l’autore appartiene anagraficamente e per formazione culturale.

Non è un dato trascurabile, a ben vedere, la pubblicazione in età matura, se si considera la smania narcisistica che affligge chiunque in giovane età abbia vergato su carta, o su computer, pochi versi anche malconci o raffazzonati senza la benché minima struttura poematica, cioè destinati alla forma-raccolta, e pretenda non solo attenzione ma anche immediati riconoscimenti e addirittura la gloria, nel mare magnum del sottobosco editoriale. Qui, invece, siamo di fronte a un autore che ha atteso pazientemente il suo momento operando intensamente ma nella clandestinità, in quel “vivere nascostamente” che è la dimensione più favorevole in effetti al fare poesia. Un autore che, per sintetizzare brevemente le caratteristiche delle composizioni, non si è fermato ad esempio alla stucchevole dimensione del diario in versi, ne ha rifiutato le imposizioni, e ha preferito fare dell’attesa il proprio orgoglio e del labor limae una legge, soprattutto nel senso della ricerca formale e lessicale, spesso con esiti di particolare raffinatezza e tono “alto”. Ma non solo. Villani, in questi suoi lavori oggi disponibili a un pubblico più vasto grazie alla forma-libro, ha fatto della meditazione profonda cui dà accesso la pratica poetica una assoluta necessità esistenziale.

Il prefatore dell’opera, il critico letterario Vincenzo Guarracino, indica giustamente una delle migliori prove del volume, Quasi Sisifo, una “dichiarazione di poetica”. E’ un testo in cui Villani condensa il suo atteggiamento nei confronti della vita, distaccato e disincantato: “asincrono al mio tempo / non ho scelto il secolo mio // lo vivo tuttavia / nei suoi plurimi aspetti /e lo subisco / senza molto contraddire. Interessante anche  la poesia L’inutile ombra, di atmosfera quasi buzzatiana anche per via dell’ambientazione milanese, dove lo smarrimento psicologico dovuto alla solitudine e alla mancanza detta un episodio surreale (“Si accorse improvvisamente / di essere solo / estraneo /smarrito / e inorridì: avvoltolò l’ombra, / la propria / fragile ombra / inutile segno di vita / e rimpicciolì / fino a lasciare / sui policromi marmi / soltanto un indizio”). Villani mette quindi in primo piano situazioni in cui il personaggio che dice “io” o viene comunque rappresentato dalla parola poetica vive il proprio tempo consapevole del fluire inesorabile del tutto, e certo, anche, che i veri valori non hanno “secolo” né storia, ma permangono immutati, basta a uno sguardo sensibile e attento, pronto a percepirli.

La poesia di Villani è delicatamente inattuale, si dipana pagina dopo pagina tra amaritudini e consolazioni, con il suo fluttuare costante tra echi e riferimenti rigorosi alla metrica e allo stile della tradizione del Novecento più classico. In un contesto di elegiaca malinconia e di resa, disincantata ma orgogliosa, alle ragioni della scrittura come antidoto a quelle, spesso carsiche e intermittenti, del cuore, l’autore si muove attingendo a piene mani al culto della nostalgia e della memoria. Una delle modalità più frequenti in Villani è la rappresentazione del sentimento, del suo manifestarsi come embrione. Del suo successivo maturare e spegnersi, all’interno della consolante contemplazione della natura, quasi che il paesaggio, con i suoi colori e le sue sfumature, fosse un brodo di coltura imprescindibile affinché il “pensiero poetante” trovi adeguata significazione. Tra i testi più convincenti in questo senso per densità e costruzione, Il cielo ha ceduto e Offesa è la luna. Villani, pittoricamente parlando, è una sintesi piuttosto originale tra un olio materico (per densità di origine letteraria) e l’opera di un preciso e puntuale acquerellista (per la particolare prospettiva che svela e ordina il tessuto delle emozioni). Ha la tendenza a mettere in luce il dettaglio, il particolare più che la grande scena d’insieme. Nella consapevolezza però che a un certo punto della visione anche la parola, pur modulata nel canto più illustre e più melodioso, ha inevitabilmente un limite, come del resto la vita, e deve cessare il suo meccanismo di allusioni e illusioni, come accenna La sera cancella: “La sera cancella la luce / la chiarità illuminante / che illude /di possedere noi stessi. / In quest’ora / le parole si fanno / piccine piccine”.

Nel volume non mancano, infine, accenti dedicati al territorio lariano di adozione, in cui Villani ha potuto trovare un humus fertile per la sua attività letteraria, collaborando e partecipando assiduamente a iniziative culturali come letture, presentazioni e happening. Ad esempio Illusione, che cita tra l’altro il tipico vento del lago di Como che spira da sud verso nord nell'ora meridiana: «La breva ha dilatato il lago. / L’onda, quasi carezza, / l’ha appena increspato/ dandogli l’illusione / di essere mare».

Lorenzo Morandotti

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