Matteo Manduzio


Matteo Manduzio
"Teatrino da tavola: mangia RE"
materiali vari, 1996 - cm 32 x 14,5 x 2,5


Matteo Manduzio è nato nel 1948 a Foggia dove vive e opera. Ha conseguito il diploma di Istituto d'Arte. Sue opere figurano in Musei, Enti Pubblici e Collezioni private. Attualmente la sua ricerca verte sull'uso di materiale di recupero: carte e cartoni antichi, pelli, corde e pergamene, scarti di restauro di libri.

Tra le principali mostre ricordiamo: 1987 "Pocket Art" collettiva itinerante; 1988 personale Sala Grigia del Palazzetto dell'Arte di Foggia e collettiva dedicata alla memoria di Bruno Saetti presso la Casa del Mulino di Montepiano; 1989 EXPO ARTE Bari, "Dialoghi" Laboratorio Artivisive di Foggia; 1990 "Oggetti" Centro Arte Termoli e Laboratorio Artivisive di Foggia, "Humus" Laboratorio Artivisive di Foggia, "A fior di pelle e carta" Foggia, "Il canto della materia" Il Brandale Savona; 1991 "Bianco Percorso: Spazio-Video" Laboratorio Artivisive Foggia.

Nell'opera di Matteo Manduzio, suggestioni solo in apparenza opposte coesistono in tesa armonia, in inquieta dialettica, cosicché anche la sua immagine più razionalmente composta, più risolta in impeccabili forme "decorative", vibra di pulsioni e di umori, di tremiti lirici segreti ma non per questo meno avvertibili. Per contro, anche laddove l'artista più sembra abbandonassi al gioco delle trasparenze, alle raffinate musicalità, una severa griglia formale impedisce all'immagine di dissolversi in mera astrazione... V'è una sorta di felicità, nelle opere di Manduzio, ed in quella ricchezza di accenti in cui la nostra inquieta stagione di storia può trovare una immagine, spietata nei suoi ordini linguistici e fragile nella sua liricità. (Franco Solmi, 1988)

Queste impronte, ormai consolidate, tornano con un evidente sapore d'attualità, facendo sentire tutt'intorno un aroma nuovo. Manduzio s'afferma propria attraverso la surrealtà, evento che gli consenti di avvolgere l'intera composizione d'una profondità che estrae la sua forza interiore dalla sintesi e da tutto ciò che non può essere gabellato come reale, lungo la via della coscienza e lungo l'andirivieni talvolta pauroso dei giorni nostri. (Salvatore Ciccone, 1988)

Manduzio contiene in sé una generazione di grandi tipografi, da cui è distinto dalla dentale; se, dunque, il nome influenza il destino, come credevano gli antichi, era scritto che Manduzio si sarebbe occupato ed avrebbe amato i libri. Più realisticamente l'amore ed il rispetto per i libri, in particolare quelli antichi, glielo ha trasmesso il nonno e Matteo ha da sempre coltivato, in modo apparentemente separato, la ricerca estetica e l'interesse bibliografico, che adesso si sono con-fusi.
E non è forse vero che la lingua scritta sia, prima di tutto, linguaggio visivo che a volte può avere una valenza estetica, più o meno intenzionale? Il termine calligrafia (dal greco Kalligrafia) significa "bella scrittura"; nei "calligrammi" di Apollinaire la composizione tipografica contribuisce a determinare il valore estetico ed espressivo dei versi.
I bibliofili amano appassionatamente i libri, non tanto per il loro contenuto intrinseco, quanto per le belle rilegature, la carta, liscia, lucida, patinata o ruvida, rugosa, matta. Un libro si guarda e si manipola ancor prima di leggerlo, anzi può presentarsi come pura esperienza estetica: lo si tocca per il gusto della manipolazione e del contatto con i materiali di cui è costituito e lo si vede non per leggere ma per il gusto di vedere.
Nelle sue opere Manduzio assembla in una composizione compatta ed armonica, pezzi di pelle, pagine sovrapposte di libri antichi bianche (con eventuali macchie giallognole e verdognole di umidità e muffa) o scritte. "ma non mi permetterei mai - dice - di strappare apposta un libro, ne ho troppo rispetto". Infatti utilizza scarti di restauro che pazientemente recupera.
Nelle opere, di genere non figurativo, l'autore dà rilievo agli aspetti tecnici, materiali e linguistico-formali, che costituiscono, a ben guardare, gli elementi specifici del medium; ed è su questo che lo spettatore dee concentrare la sua attenzione.
La struttura compositiva ricorrente, statica, ordinata, equilibrata, si risolve spesso nella forma geometrica del rettangolo, accompagnata da poche altre forme archetipiche.
Intorno all'asse centrale della composizione, sottolineato dalla piegatura della pagina o dal filo della cucitura, si articolano segni, disposti simmetricamente o con vivace disordine, in parte dotati, in parte privi di valore denotativo; dorsi, reticoli, archetti, impronte che sembrano impresse dai ferri aldini, motivi irregolari che sfuggono dai margini, allusivi alle barbe dei libri; qui e là pagine scritte ritagliate e liberamente ricomposte, così da perdere qualsiasi significato denotativo.
I fogli di Manduzio contengono segni e significati primordiali, archetipi, forme assolute, elementi della cultura materiale e folclorica e dell'immaginario; dalle pagine si materializzano le idee e le emozioni in forma di tenere nuvole azzurrine e di balloon.
L'arte è serietà e gioco, conoscenza ed immaginario, realtà, memoria e storia: a questo alludono i fogli a volte lacerati sfaldati e patinati dal colore del tempo.
L'autore pone al centro del fare artistico la tecnica, non quella dominante dell'odierna cultura, ma quella antica ed artigianale, popolare e nobile ad un tempo. La tecnica è per lui di più di un mezzo per concretizzare e realizzare un progetto: non può evidentemente esistere forma visiva senza la manipolazione di un materiale con una tecnica specifica.
Oggi, nell'infinita varietà di tecniche e materiali a disposizione dell'arte, da quelli della tradizione a quelli di uso comune, da quelli prodotti dall'industria agli immateriali delle tecniche elettriche ed elettroniche, e che attengono a linguaggi, media e culture differenti, oggi la scelta diventa per l'artista assai più importante che per il passato.
E' una scelta di campo, è il primo momento della creazione ed ha di per sé valore comunicativo. La tecnica di Manduzio è rivelatrice del suo modo di concepire l'arte ed il posto che occupa nella nostra cultura. C'è in lui la "coscienza dell'inattualità dell'opera d'arte"; il prodotto artistico, certo, è connesso al contesto storico, nel senso che il suo autore si nutre di quell'humus, di quelle immagini, di quell'atmosfera, ma non è a quelli meccanicamente riconducibile, né omologabile.
Manduzio rimane lontano dai media, dagli strumenti, immagini e tecniche della società moderna, senza essere né populista né aristocratico.
La sua convinzione della gratuità del fare artistico ha molte sfumature: non aspira a ricavare vantaggi materiale né benefici economici dell'arte; non usa le immagini come veicolo di convinzioni ideologiche o strumenti per stabilire rapporti interpersonali con lo spettatore; manifesta , pur nel forte impegno, un atteggiamento ludico, un piacere sensuale nel manipolare i materiali, nel maneggiare i libri, nei confronti dei quali nutre il rispetto proprio di che, amando giocare, considera il gioco e i suoi strumenti una cosa assai seria. L'arte è per Manduzio uno spazio altro, in cui le contraddizioni coesistono, in cui l'emozione non nega la ragione, ma è parte di essa: la ragione spinge a recuperare ciò che dà piacere, a sottrarre alla morte, restituendogli valore, ciò che è ancora vitale.
L'arte è il luogo in cui ci si può fermare a riflettere, non per abbandonarsi alle varie sicurezze del già noto, ma per scoprire nuove chiavi interpretative di sé e del mondo.
Il libro, quello da ognuno preferito, diventa, allora, una metafora: ogni volta che lo si apre le idee diventano più nitide, i segni acquistano valenze semantiche sempre diverse, i fantasmi dei sogni si materializzano.
La morte dell'arte e del libro non è di questa terra: i sogni cambiano forme e colori, si dimenticano o si raccontano con altre parole, ma non muoiono. (Katia Ricci, 1990)

Tutto ha un rimando colto e sapienzale in Manduzio: le carte dalle patine antiche metallizzate, gli arabeschi e le geometrie delle cattedrali romaniche, i simboli delle antiche corporazioni di mestiere, gli alfabeti indecifrati recuperati a segno, le pietre di volta che debordano dalla superficie, interagendo con lo spazio. Le porte del Terzo Millennio non si spalancheranno a pino se non per chi avrà saputo passare attraverso le colonne d'Ercole di un tirocinio duro, di un colloquio perenne con i segni del passato e del presente. (Gaetano Cristino, 1996)


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