Archivio Attivo Arte Contemporanea
I.F.
"Impossible Figures"

Curiosità, paradossi visivi, ambiguità spaziali, sono le scoperte inattese e gli interessanti paralleli iconografici, in varie epoche e culture, della storia delle "Impossible Figures".

di Michele Caldarelli (in Gran Bazaar nr.6/7 giugno/luglio 1985)

La storia delle figure impossibili ("Impossible Figures") è ancora tutta da scrivere. Fra curiosità percettiva, ricerca scientifica, simbolizzazione enigmatica la collocazione delle "Figure Impossibili" muta, per appartenenza, ad ogni nuova analisi. E' abbastanza noto il primo approccio (per lo meno ritenuto tale fino a poco tempo fa) di M.C. Escher alla problematica figurativa di queste strutture. L'ispirazione gli fu fornita dalle illustrazioni contenute nell'articolo, sugli oggetti impossibili, firmato da Roger e Lionel Penrose e comparso nel 1958 sulle pagine del British Journal of Psychology. Da allora è iniziata la fortuna delle "Figure Impossibili", veri paradossi geometrici, fra i quali il "tribar" e le "endless winding stairs" sono ormai famosi non solo fra gli addetti ai lavori. Ma nell'analisi storica spesso ci si imbatte in anticipazioni dei modelli pur restando questi ultimi originali in assenza di una dimostrata derivazione culturale. Questo è accaduto anche per le "Figure Impossibili" e come hanno sottolineato, durante il congresso su Escher della primavera '85 tenutosi a Roma lo stesso Penrose e Bruno Ernst (autore del noto saggio The magic mirror of M.C. Escher), già nel 1934 lo svedese Oscar Reutersvärd aveva iniziato la sua produzione di figure impossibili. Bisogna aggiungere che la multidimensionalità o meglio ambiguità spaziale delle "Figure Impossibili" trova germe già nel Cubismo (Reutersvärd stesso era stato allievo di Léger e si dichiara seguace dell'ideologia postcubista) e, se si vuole retrocedere ancora nella comparazione delle immagini, si possono scoprire inattesi ed interessanti paralleli iconografici in varie epoche e culture. Prima di procedere in questo senso, sarà bene compiere una breve digressione nell'ambito della percezione visiva al fine di intendere meglio in che cosa consistano le "Figure Impossibili". Le condizioni di "trasgressione alla congruenza spaziale" delle parti e di "enantiodromia" delle stesse costituiscono peculiarità di due categorie fondamentali alle quali si possono assegnare, per genere, le figure impossibili. Il "tribar" e le "scale senza fine" rientrano nella prima categoria; la loro ambiguità percettiva ed impossibilità è determinata difatti da una errata connessione delle parti (barre o scalini) che genera il paradosso visivo. Non è possibile in effetti derivare da questi modelli un oggetto tridimensionale se non ben differente, in sostanza, dall'immagine suggerita dal disegno. Il "triangolo impossibile" potrebbe dunque essere costituito da una forcella (come illustrata da R.L. Gregory e E.H. Gombrich in Illusion in nature and art) che, osservata da un punto di vista particolare e monoculare, concede il sovrapporsi prospettico degli estremi divaricati. Ancora più suggestivamente sono state condotte delle trasposizioni tridimensionali del notissimo Belvedere di Escher, ma l'obbligatorio intrecciarsi delle colonne nell'oggetto della cristallografa C. McGillavry o il loro disgiungersi fisico, dalla parte che illusoriamente sorreggono, in quello di Shigeo Fukuda mostra ancora più evidentemente l'impossibilità spaziale di tali modelli. Alla seconda categoria si possono ascrivere i cosiddetti "open solids" o solidi incompleti e, da questi derivate, le "gradinate impossibili" che, su due versanti di ipotetiche piramidi, generano accrescimento o riduzione disomogenei del numero degli scalini. Torsioni spaziali ed evanescenze li caratterizzano: in essi osserviamo alcune superfici solide trasformarsi in interspazi vuoti oppure mutare la propria condizione verticale in orizzontale mentre muoviamo l'attenzione dell'occhio da un capo all'altro del disegno. Classico esempio ne è il cosiddetto "forcone del diavolo" (D.H. Schuster An ambiguous figure: a threestick clevis) che possiede ad una estremità della figura due aste e all'altra, sorpresa, tre. Denominatore comune a tutte le "Figure Impossibili" è l'instabilità percettiva generata nell'osservatore. Parenti stretti delle classiche immagini reversibili (quali il "cubo di Necker", la scala di Schröder, l'effetto figura sfondo di Rubin o la figura di Thiéry) e affini topologicamente alla banda di Möbius come alla bottiglia di Klein, non concedono mai una visione globale e coerente della figura nel suo insieme stimolando invece una serie di valutazioni spaziali reciprocamente e continuamente contrastanti. D'altro canto l'ambiguità percettiva non è appannaggio unicamente della visione umana anzi costituisce problema di fondo nella messa a punto della visione artificiale degli elaboratori elettronici. Ricerche fra le quali quelle di D.A. Huffman, M.B. Clowes, R.L. Gregory, per citare solo alcuni fra gli esempi più noti, o i più recenti sviluppi di Zenon Kulpa, D.C. Marr o di D.L.Waltz, hanno dimostrato come l'elaboratore elettronico nel leggere tracciati bidimensionali come rappresentazione di corpi tridimensionali, nel caso delle "figure Impossibili" viene tratto in inganno quanto l'occhio umano. E' necessaria sia per l'uomo che per la macchina una valutazione multipla della figura in oggetto ossia, con un minimo di due livelli di osservazione successivi ed interrelati, la determinazione di graduali categorie di possibilità o impossibilità tridimensionale della figura. Riprendendo le considerazioni sull'arte figurativa si può notare come dei "nonsense", veri "calembour" spaziali, si riscontrino in una divertita incisione di Hogarth, nelle carceri di Piranesi e, anche se non è dimostrabile che siano volute, in frequenti errate prospettive di epoca medievale. Meno evidenti ad una immediata considerazione ma ben più significative, specie per la portata simbolica, sono poi le ornamentazioni, quei complessi e tormentati "ghirigori" spesso sfuggenti ad una osservazione critica e che con tanta profusione caratterizzano la decorazione islamica o la miniatura dell'occidente medievale, come pure molta scultura romanica e l'arte celtica, per limitarci ad alcuni esempi. Gli interminabili intrecci e sequenze di nodi, materia anche di puro virtuosismo (gli stessi Leonardo e Dürer vi si sono cimentati) costituiscono per la cultura islamica elemento fondamentale di espressione simbolica. La religione islamica vieta la rappresentazione naturalistica cosicchè l'essenza e la complessità della "manifestazione" vengono espresse mediante le ornamentazioni geometriche. Queste ad un primo esame risultano obbedire a ferree leggi di congruità sia nella tassellazione del piano che nella configurazione degli intrecci ma se, come alcune ornamentazioni a rilievo parrebbero suggerire, attribuiamo spessore e rettilineità ai segmenti delle rappresentazioni, affiora un disorientante senso di impossibilità spaziale. si potrebbe affermare che i "contrasti polari" insiti nella "manifestazione" e che solo in Allah (l'Inespresso) si risolvono, abbiano un parallelo simbolico nella omogeneità globale delle decorazioni e nella bilocazione ambigua dei luoghi geometrici singoli. Per quanto concerne l'Occidente medievale, le speculazioni sulla natura del male nei confronti del bene e la visione "escatologica" della fine dei tempi come avvento dell'anticristo, possono aiutare a leggere in modo più significativo l'incredibile fioritura decorativa dei codici miniati. L'idea persiano-ebraica dell'inizio e della fine dei tempi, che come sottolinea Jung (Aion) ha penetrato fin dall'inizio la tradizione cristiana, muove attraverso il tempo, misura inconciliabile con l'estensione spaziale, lo snodarsi simbolico degli intrecci. Gioacchino da Fiore, personaggio di spicco all'interno della cultura del XIII secolo, espresse teorie sul mistero trinitario che furono condannate dal IV Concilio del 1215. Nel suo splendido Liber Figurarum (Codice Reggiano, R1, tav.XI), ribaltamento enantiodromico e incongruità spaziale vengono riassunti simbolicamente in immagini che si intrecciano in modo impossibile. Ugualmente impossibile risulta l'incastro delle ruote nella visione di Ezechiele raffigurata nell'evangeliario della Biblioteca di Aschaffenburg; affine è la doppia ruota provvista di un unico mozzo che, sulla facciata della cattedrale di Amiens, secondo Fulcanelli, rappresenta il fuoco di ruota, ossia l'operazione attraverso la quale la prima materia viene trasformata in pietra filosofale dall'alchimista. Ma si sa che nell'alchimia: prima materia, pietra, opera e alchimista coincidono. L' "ouroboros", il serpente che morde la propria coda, indica l'operazione e la materia "mercurio" dalla doppia natura in cui convergono e coincidono gli opposti. Si può suggerire un parallelo fra la raffigurazione androgina del mercurio, l'iconografia di animali con parti anatomiche in comune e le "Figure Impossibili".

TORNA ALL'INDICE