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Keplero e l'universo dei suoni
di Carlo Ferrario

"Dio geometrizza sempre". L'antico assunto pitagorico, rivisto in varie epoche e naturalmente accolto da certe fasce del pensiero cristiano, non è, esclusivamente e in ogni caso, il punto di partenza per un'interpretazione mistica del mondo, degli uomini e delle cose: all'inizio di questo collegamento tra la realtà (che si presenta fedele in certi comportamenti ad alcune "leggi") e un possibile supremo legislatore, sta anche il desiderio di non smarrirsi in una semplice descrizione dei fenomeni e di trovare un principio comune che arrivi a spiegare la molteplicità, acquietando lo spirito con la speranza che tutto ciò che esiste abbia un senso se non proprio una giustificazione.
I greci, in forza di questo desiderio, chiamarono il mondo "cosmo", sforzandosi di vedervi confermate le idee di bellezza e di ordine. I latini parlarono finalisticamente di un "universo" di un Tutto, che drammaticamente muto a riguardo della propria origine, sembrava se non altro volto in un'unica direzione, anch'essa misteriosa e inconoscibile, ma tuttavia probabile, e quindi pacificante.
Dalla ricerca di una legge comune possono scaturire tanto la contemplazione mistica (che svaluta la realtà sensibile a semplice traccia lasciata dal Creatore ai mortali) quanto le scienze sperimentali che scoprono e descrivono il comportamento delle cose. Ma per secoli e secoli, mistici e matematici, fisici e teologi parvero concordare nell'ansia di collegare tra loro i fenomeni sotto un'unica formula che li garantisse dalla disperazione che gli uomini più sensibili provano di fronte all'immensità del mondo ("effroyable", scappò detto perfino a un credente della tempra di Pascal...) e all'ipotesi, molte volte affacciata, che tutto sia illusione e insensatezza.
Keplero non sembra sfuggire a questa ricerca (perfino un po' paranoica) di una legge comune almeno tra ciò che si muove nel cielo e ciò che si muove qui in terra.
Anche per Keplero "Dio geometrizza", e lo fa al punto di "prevedere" un rapporto preciso tra realtà assai diverse, non omogenee se pur commensurabili.
Nel suo grande trattato Harmonices mundi, edito in Austria nel 1619, il prestigioso maestro non sembra sopportare che una minima esperienza sfugga ad un rigoroso inquadramento nelle sfere misurabili dell'aritmetica, della geometria o dell'armonia.
Vediamo qualche esempio. Tre sono le forme politiche: la democrazia rispecchia una proporzione aritmetica, l'aristocrazia si rifà a una proporzione geometrica mentre la proporzione armonica è il modello della monarchia. Infatti, così come nell'aritmetica "sono uguali gli aumenti di ogni numero, piccoli o grandi che siano, così nella democrazia si vogliono uguali tutti gli oneri, i vantaggi e le cariche, e non si rapportano i privilegi alla diversità dei ceti". Invece, così come nella geometria, la crescita dei numeri comporta diversità delle proporzioni, nell'aristocrazia (o regime oligarchico) si distinguono le persone e i ceti in rapporto agli oneri e ai vantaggi. Simile all'armonia è però il regime monarchico, dove tutti i diritti sono riservati al sovrano che li distribuisce "secondo giustizia" (almeno così afferma Keplero). I sudditi non sono una semplice somma né una diversificazione qualsiasi di ceti, ma un popolo unito in rapporti funzionali. Torneremo su questo collegamento kepleriano tra sistema sociale e sistema musicale, intuito già da Platone e tuttora vigente.
Anche la giustizia risente del tipo di proporzione preso in esame: quella distributiva è ovviamente aritmetica, quella commutativa è geometrica e quella legale è armonica. E perfino le nozze, visto che la geometria regola quelle tra ceti omogenei (nobili con nobili, plebei con plebei...), laddove la libera scelta ricade nel meno complesso mondo dell'aritmetica. E nei conviti? la proporzione aritmetica (cioè la commistione di gente troppo diversa) non mette capo a niente ed è da Keplero definita "inetta", mentre quella geometrica è chiamata "insulsa", dato che tra persone eccessivamente simili si finisce con l'annoiarsi: non si ricava alcun vantaggio, per esempio, da una riunione di soli ignoranti, nessuna voluttà da un convegno di sole donne (è un parere di Keplero, non mio: lo sappiano le lettrici...). Quando domina la proporzione armonica, le cose vanno invece assai bene: "I vecchi godono dell'aspetto dei giovani, questi della sapienza dei vecchi, gli uomini si rallegrano per la gentilezza delle donne, queste (almeno all'epoca di Keplero) dell'autorità degli uomini". E del pari, i "colleghi" di un ufficio ricadono nel monotono allineamento dell'aritmetica, mentre gli uomini d'affari, coi loro scambi e i loro contrastanti interessi sono protetti dalla geometria.
La musica, questo fenomeno in cui convivono il fatto sensibile (la vibrazione che origina i suoni) e quello intellettivo (scale, ritmi, armonie), non poteva certo sottrarsi alle speculazioni di quanti (riferiti o meno all'idea di un Creatore) vedevano il mondo come armonia universale.
Pitagora, Tolomeo, Proclo, Porfirio, e quindi la sequela dei teorici medievali e rinascimentali non si lasciarono sfuggire le preziose analogie tra l'ordine delle sfere, delle proporzioni auree riscontrabili nei corpi e nei cristalli, con il beatificante (ma razionale e calcolabile) dominio dei suoni, giungendo a scoprire {o a imporre) una comune unità legislativa tra il mondo della musica e quello dei numeri, delle figure regolari della geometria piana e solida, del moto dei corpi celesti e di ogni altra manifestazione apparentemente riconducibile ad una speculazione totalizzante.
Per lunghi secoli la Musica fece parte delle arti liberali, non come pratica artistica quale noi la intendiamo, ma come materia di studio teorico fortemente collegato con l'aritmetica e la geometria: i "cantori" non appartenevano al mondo degli "intellettuali", e venivano generalmente considerati persone socialmente spiazzate al pari degli attori e dei giullari.
E' per questo che leggendo i trattati antichi sulla musica, noi moderni ci sentiamo un po' a disagio: ci attendiamo valutazioni estetiche o filosofiche e troviamo calcoli, esagoni e frazioni... Ma l'armamentario teorico e in certi casi misticheggiante impedisce di intravedere qualcosa di simile agli studi di fisica acustica di un Helmholtz, basati sulle frequenze, le sinusoidi e gli armonici naturali.
Anche Keplero afferma infatti che le leggi della musica sono state "suggerite" da Dio agli uomini attraverso il mirabile ordinamento dei corpi celesti, tanto che il "premio" di una raggiunta analogia tra il raggio dell'orbita di Marte e una nota, o tra gli aspetti di Venere con Saturno e un accordo, sarebbe l'evidente razionalità di una scala e la persuasiva correttezza di una consonanza. Consonanza e dissonanza: una delle tante separazioni che l'Occidente ha costruito all'interno della realtà, ossessionato da una visione binaria e manichea del mondo; di qui il buono, il bello, il vero, il "consonante", di là il cattivo, il brutto, il falso e il "dissonante"...
In natura c'è un'unica fascia sonora che va dagli infrasuoni agli ultrasuoni, divisibile in infinite scale. La nostra cultura ne ha scelte alcune, semplificando il discorso: noi usiamo ancora sette note e dodici suoni, probabilmente scelti in omaggio alla mistica numerica che ha sempre visto con reverenza questi due numeri: i1 Sette {numero "vergine", composto dalla divina tetrade e dalla perfetta triade), il Dodici {simbolo della completezza e della totalità...).
Si decise che1'Ottava, la Quinta e la Quarta erano delle consonanze, poi si promossero a questo privilegiato gruppo anche la Terza e la Sesta, retrocedendo un poco la Quarta. Ai nostri giorni (democratici, e quindi "aritmetici", direbbe Keplero) tutte le aggregazioni non sono né positive né negative: vanno bene quando vanno bene (questo almeno nell'ambito della musica "colta" e sperimentale, che il mondo della canzone e dello stesso "modernissimo" rock è più pitagorico e kepleriano che mai...).
Ma una simile accettazione di una "totalità acustica",ora in via di acquisizione, sarebbe stata respinta con orrore anche dall'"eretico" Keplero: dall'assoluta libertà di intonazione e di aggregazione dei suoni si dovrebbe inferire un'analoga libertà nel moto dei corpi celesti: roba da fine del mondo, con le stelle che si scontrano e i pianeti che ci piovono in testa... No: "Dio non ha creato nessun suono al di fuori della geometria". Al massimo si è valso (in un primo tempo e maneggiando il monocordo) di quella piana, stabilendo la serie delle proporzioni: 1:2 = Ottava, 3:5 = Sesta maggiore, 5:8 = Sesta minore, 2:3 = Quinta giusta, 3:4 = Quarta giusta, 4:5 = Terza maggiore, 5:6 = Terza minore, e così, 8:9 = tono intero, 15:16 = semitono, 24:25 = diesis... proporzioni considerate da Pitagora, con vari errori emendati da To1omeo; tutti preceduti addirittura da Hermete Trismeqisto e confermati, con ulteriori correzioni, dai moderni. Al principio sta comunque il Creatore che l'uomo ha cercato di imitare: "delectu et approbatione proportionum in vocibus earundem, quae Deo placuerunt in attemperatione motuu caelestium". Ecco allora la teoria kepleriana della "naturalità" dell'adeguamento umano al modello celeste, aggiustando l'esperienza certo anche col "giudizio delle orecchie", ma tutto sommato verificando la pratica con lo studio dei moti planetari.
Ignoro se gli Hannonices mundi siano stati editi in Italia debitamente tradotti dal non difficile latino originale. Il testo da me consultato è quello curato da Max Caspar nel 1940 perla C.H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung di Monaco. Sarebbe impresa vana esporre capitolo per capitolo le teorie kepleriane, che vanno dall'analisi delle figure geometriche (con relativa interpretazione mistica) all'esame del tetracordo, dai corollari sulla natura della consonanza alla discussione sul modo minore, della lunghezza della corda al sistema degli intervalli, dalla descrizione degli "affetti" derivanti dai vari modi al collegamento delle note coi pianeti. Qualche esempio visivo servirà a dare un'idea dell'immane e meticoloso procedere del nostro Grande. Viste oggi, le pagine di Keplero non risultano troppo interessanti. I teorici moderni del suono e della sua natura si rifanno ad altri principi, ricollegandosi paradossalmente al mitico insegnamento di Pitagora che, passando nei pressi di una fucina, fu colpito dai suoni diversamente intonati dei martelli grandi e piccoli: un punto di partenza acustico, insomma, e nessuna parentela tra la nota Sol e Saturno .in perielio, o tra il modo maggiore e il principio maschile...
Oltre a ciò occorre ricordare che il sistema musicale in vigore all'epoca di Keplero non era ancora stato "sistemato" (a dire il vero a prezzo di un certo impoverimento dei modi, soppiantati adagio adagio dalla tonalità) dal temperamento equabile e logaritmico dei gradi della scala occidentale. Cantori e teorici usavano gli antichi modi ecclesiastici, la scala pitagorica con le pragmatiche correzioni "naturali".
Keplero si sforza di collegare strettamente il mondo dei suoni a quello dei pianeti, esaminando, per esempio, l'angolo ricavato dai raggi che uniscono la Terra con Giove e Mercurio, la figura tracciata da questi raggi in un cerchio e l'aspetto che i due pianeti stabiliscono tra loro: l'opposizione, la quadratura, il trigono, il sestile eccetera, rapportati a precise figure geometriche regolari. Il sestile, per esempio, sarebbe il "modello" della Terza maggiore, il trigono della Diapente, l'opposizione dell'Ottava. Perfino le voci umane sono ricondotte agli schemi celesti, e Saturno con Giove sono simili alla lenta mobilità del Basso, Marte corrisponde al Tenore, la Terra e Venere all'Alto, mentre l'agile Mercurio si allinea al Soprano...
Dicevo prima che il collegamento tra il sistema musicale e il sistema sociale (mediato o meno dai rapporti di "proporzione" aritmetica, geometrica e armonica), è tutto sommato ancora in vigore, quantunque non teorizzato o dimostrato col calcolatore alla mano.
L'idea "planetaria" nella musica è tutt'altro che tramontata: la tonalità classica (che domina come tutti sanno la canzone "commerciale") realizza al proprio interno il principio di .un centro attorno a cui si muovono orbitalmente gli altri elementi: la Tonica è infatti il Sole su cui gravitano le altre sei note (o "gradi" della scala). E siccome la comunicazione acustica è più sottilmente pregnante di quella verbale, si può dire che il sistema socio-politico corrispondente (fortemente gerarchizzato, con precise funzioni, divieti e "poteri") vien fatto entrare nelle orecchie della gente già con la ninnananna delle mamme. Si può poi proclamare in qualche canto "rivoluzionario" 'Non più servi né padroni', ma dato che lo si fa in Re maggiore, secondo un sistema in cui invece il "padrone" c'è, ed è terribilmente dispotico (la nota Re, la Tonica, il centro da cui tutto si muove e in cui tutto poi deve assolutamente tornare, anche dopo le illusorie "contestazioni" dei passaggi alla Dominante o ad altri giri tonali, come ben sanno anche i più sprovveduti suonatori di chitarra), ecco che il messaggio verbale è di fatto annullato ed eliso da quello sonoro...
Si provarono Schönberg e i dodecafonici a infrangere questa gerarchia tonale, stabilendo una pari "dignità" di tutti i dodici suoni non più considerati funzionalmente roteanti sulla Tonica, ma il risultato fu al massimo quello di un tentativo di "collettivizzazione" (non tanto dei mezzi di produzione del suono, quanto di una "più equa distribuzione" del reddito espressivo...).
Ora la pratica musicale di punta si orienta proprio sul superamento della stessa gamma occidentale delle sette note e dei dodici suoni rigorosamente intonati. Gli strumenti elettronici consentono (unitamente alle conquiste già da tempo pacifiche del "rumore" come elemento legittimo del discorso musicale) l'allargamento dello spazio acustico e l'acquisizione di una musicalità "generale" non più legata ai vari diapason, alle tradizionali divisioni, ai rapporti gerarchizzati, alle stesse coloriture timbriche degli strumenti "autorizzati".
Keplero si troverebbe malissimo in questa "selva oscura" percorsa da urli laceranti, da vibrazioni titaniche, da sibili e da mormorii, e guarderebbe istintivamente il cielo per controllare se anche le stelle e i pianeti si sono messi a danzare in anarchica follia. Non crediamo più molto, noi moderni, al tranquillizzante Cosmo dei greci, e siamo già sulla soglia di esperienze che ci faranno parlare di un "pluriverso", molto meno docile ad essere ricondotto tra le orbite descrivibili con le amabili figure regolari della geometria.
La musica accompagna, e forse anticipa, tale abbandono del "rassicurante", ma forse anche quello che a noi appare come caos (liberatorio per alcuni, terrificante per altri), obbedisce a diverse e ancor più complicate leggi. E non è detto che i suoni, le galassie, i sistemi sociali e le figure geometriche (magari anche il... Pentagono) non facciano parte di un "pluriuniverso" retto da una sola e identica spiegabilità. E poiché l'angoscia deriva dal mistero, dal timore che il Tutto sia insensato e illusorio, verrà a suo tempo qualche altro Keplero a rassicurare se stesso e gli altri che anche i nuovissimi "mundi" sono più che mai "harmonices".

 

Carlo Ferrario è nato a Milano, dove ha seguito gli studi universitari e quelli musicali coi maestri Farina e Soresina. Ha composto diverse opere di musica sacra tra le quali la Messa a tre voci, e Ufficio delle tenebre, Le bestiaire (madrigali a cappella su testa di G. Apollinaire). Negli anni '60 e '70 si è dedicato a forme di sperimentazione in vari generi musicali e spettacoli d'avanguardia. Fra l'altro, l'opera in un atto Falsa Divisione (Lecco, 1968) per voci orchestra e nastro magnetico, l'operina (testo e musica) per ragazzi L'Ottavino stregato (1988); per il Festival Autunno Musicale a Corno ha composto Deep in my dark mezzo soprano e sestetto d'archi (1968), Sélénade per trio d'archi, il divertimento (testo e musica) Biciclo per 2 voci recitanti, 7 strumenti, nastro magnetico e mima (Como, 1975), Ico per 2 pianoforte, percussione e voci recitante (1999) e ha curato la drammaturgia per la ripresa moderna della cantata Lo schiavo liberato di Stradella (Sabbioneta e Como) e ha allestito lo spettacolo Sull'alba il quieto Lario. Gian Carlo Cardini gli ha commissionato l'episodio musicale-teatrale GCC (Roma, 1980).
Composizioni recenti: 24 pezzi per un Pianoforte ipotetico (1995); Storie di viaggio per quartetto d'archi (2000).
Suoi brani di musica concreta (Xeriphonia a e b, Viaggio al termine della luce, Nacht un Nebel, Ocidente) sono stati utilizzati per manifestazioni multimediali.
Altre opere elaborate col computer: Riflessioni, Direzioni, Angeli, Estati).
Ha composto musiche di scena per diversi spettacoli teatrali e la serie di canzoni politiche Canti della Patria per Radio Como.
Fa parte dalla fondazione della giuria del concorso internazionale di musica elettroacustica Russolo- Pratella di Varese.
Ha tenuto rubriche musicali per la Radio della Svizzera Italiana, il Quotidiano dei Lavoratori, Spettacoli a Milano e ha steso i programmi di sala per diverse stagioni dei Pomeriggi Musicali e del XXI Autunno Musicale, scritti raccolti nel fascicolo Al suon dell'arpe angeliche.
Attualmente collabora al quotidiano La Provincia di Como.
Il suo nome figura nell'enciclopedia Garzanti della musica.
Come scrittore ha pubblicato Alfabeto Comasco, Sera in Via Odescalchi e altre poesie, Visita guidata, Storie di un Tale,. Ha scritto i romanzi Una piccola deviazione, It pane di Como, Andata e Ritorno, la serie di racconti Il Mercoledì delle Ceneri. Ha rappresentato una serie di "Dicerie" (piccoli spettacoli sul Don Giovanni, sulla Tosca e sul Parini). Ha collaborato col Teatro Città Murata di Como con Monologhi illustri, Metamorfosi, Il Centenario (Inno a Volta)

Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista L'Astronomia nel 1980, sul numero di novembre/dicembre dedicato a Keplero,

 

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