Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Clelia Cortemiglia è un'autrice che ha scelto l'appartatezza dello studio, un atteggiamento fatto di operosità più che di clamori, ma seguendo taluni dei corsi importanti dell'arte del secondo dopoguerra con aggiornamento sorvegliato e saporosa libertà inventiva. Oggi Clelia Cortemiglia vive una maturità fervida, all'insegna non di prosecuzioni prive di necessità - che sono, ben sappiamo, moneta corrente nei prodotti d'arte - bensì di un'ansia continua di distillare i nuclei cruciali della propria vocazione espressiva, e insieme di avventurarsi verso limiti che ancora ne eccitano la curiosità. Il percorso di ieri vale dunque come documentazione essenziale, ma soprattutto per capire l'artista di oggi: le sue opere sono esempio di silenzio alto, in tempo di clamori.

[...]Un testo della stessa artista, illumina sulla sua condizione operativa, mai dismessa: "La linea retta che ho adottato da molto tempo ormai e alla quale sono rimasta fedele, è per me regola di vita, una specie di povertà volontaria. Se obbedisco alla mia regola, non è per principio o per cieca sottomissione, ma per diletto. Se io non l'ho mai abbandonata, è senza dubbio perché il piacere si rinnova senza soste. So adesso che può variare all'infinito, che il piacere della mia regola non ha fondo. La linea è diritta, ma vuole essere sensibile in ogni punto del tracciato. È perché io la concepisco sempre come tracciata con mano sollevata. Tuttavia, desidero, voglio che il tracciato sia il più diritto possibile. La corda non risuona se non è tesa. La mia linea non è mai sola, essa si aggiunge ad altre, si collega ad altre, parallele, sue simili. È una società di linee. E la mia popolazione varia di densità. Ma la luce viene festeggiata sempre. Essa viene festeggiata perché è presente, onnipresente e leggera. Essa vive tra le linee. È lei che canta e le linee l'accompagnano, la sostengono con le loro modulazioni. Esse temperano la fiamma. Guardando bene, le linee non servono che a limitare la distesa della luce; ma, così facendo, esse la commuovono interiormente, esse sensibilizzano il grido".
Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta Clelia Cortemiglia può, superata la fase di massima concentrazione di mezzi e di espressione, riprendere ad articolare con maggiore ampiezza, e sicurezza incontrattabile, il lavoro pittorico. Opere che riprendono con evidenza esiti già raggiunti nella ricerca grafica, ma ormai mostrano come la trattazione della materia superficiale risponda alla pura logica del "segno senza segno" cara a certa tradizione di pittura occidentale che ha guardato con attenzione all'Oriente. Altri immaginano una diversa articolazione dello spazio - fatte salve alcune clausole elementari, dall'assialità forte al valore di bilancia ed espansione del cerchio centrale - e i primi accenni a un nuovo apparato possibile di tonalità cromatiche: ferma restando, naturalmente, la dominante del bianco-colore. È in questo momento che Clelia Cortemiglia decide di ripensare un'altra delle condizioni operative che. sin dall'inizio. ne accompagnano il cammino; nel tempo Clelia Cortemiglia ha ridotto ai termini minimi la componente decorativa dell'immagine, quella sua logica interna capace di garantire un'esteticità senza che ciò valesse discapito dello spessore espressivo. Ora, perfettamente padrona di questa sua formatività, e raffermata in questa consapevolezza dal proseguire della serie grafica nelle Modulazioni lineari. la riversa in un progetto complesso e, per molti versi, suggestivo.
I 39 personaggi per un autore, presentati alla Lorenzelli arte di Milano nel 1988, sfruttano la possibilità del bianco di tramarsi in complicità con la fenditura diagonale prodotta non più da un segno grafico, bensì da una pellicola fotografica. Le pellicole riportano più scatti che ritraggono personaggi famosi, da Agnelli a Fellini. da Fontana a Pomodoro, e soprattutto sono complici di un trattamento della superficie bianca i cui andamenti divengono per molti versi allusivi, come vere e proprie testure araldiche. Nota Pierre Restany, nel testo introduttivo al catalogo, che l'opera va letta preferibilmente come un unicum, in cui la serie delle pellicole produce una visione zigzagante e le trame del bianco trovano corrispondenze ora esplicite, ora profonde: "L'interesse del dispositivo semantico risiede nell'efficacia del rapporto tra striscia-foto e la trama dello sfondo: un'efficacia fatta di esattezza e di discrezione, le due maggiori qualità di Clelia. Il linguaggio che ha costruito funziona iniziando da un doppio registro: l'immagine e il simbolo, la foto e il grafismo".
Si tratta di un episodio specifico, ma tutto sommato circoscritto, all'interno del lavoro dell'artista: da subito riprende la via maggiore, fatta di ulteriori grafie, di chine nelle quali la maglia dei segni si concede, ora, andamenti più avventurosi, movenze interne più marcate, come d'una musicalità che può ormai dispiegarsi in invenzioni senza remore. Ma è una via fatta soprattutto di nuove pitture, di ulteriori limpide concentrazioni. L'oro, continuamente evocato e periodicamente affiorante nel percorso della Cortemiglia, assume infine il ruolo protagonistico da sempre atteso. È l'oro spazio connaturato all'identità storica stessa della pittura, l'unico a potere autorevolmente contaminarsi con la whiteness che è ormai l'ambito esclusivo e totalizzante della fantasia metafisica dell'artista. L'oro trapela dalle maglie fitte delle nervature materiali del bianco, cui la luce conferisce ombreggiature discrete, pudiche, dagli andamenti curvilinei dissonanti, o in cui la formulazione del cerchio attivante lo spazio circostante assume valore di icona d'eco suprematista. Oppure assume una vera e propria responsabilità di pattern, beninteso non assertivo, quasi ritratto rispetto alle attese dell'occhio, a sua volta rimemorante fasti d'oro antico, oppure teso verso la luce alta e definitiva, quella sorta di assoluto continuamente immaginato e solo ora autorevolmente tentato dall'artista.
"Stante la centralità dell'idea stessa di luce, essa è per l'artista ragione di un processo pittorico concreto, che non trascende il dato di sensiblerie e invece essa sensibilità provoca, in un nitido e distillato - ma concreto - pascolo dell'occhio sulla tela. Il bianco/colore si stende come per grumosità stilizzate, tramate da una grafia scrutinata e risentita dal gesto che traccia, come momento fondante dell'individuo pittorico. Luce è, ma luce fisica, che incide su questa superficie irritata di grazia, e da essa rimonta allo splendore distante dell'oro, asserzione fisica, anch'esso, prima che suggestione simbolica e di cultura. Qualità straordinaria di queste pitture è, tuttavia, mantenere l'innesco sensibile entro un assoluto pudore, alla soglia di un'ostensione che subito pare ritrarsi e involvere lo sguardo verso una dimensione introversa, silenziosa, dalle cadenze nette quanto lievi d'affetti." Così m'è accaduto di scrivere di recente, di fronte a queste opere dalla grazia silenziosa e alta. Questa stagione dell'artista assume davvero i caratteri di una summa, di un raggiungimento definitivo, venato di sapienza. E il cammino, si può esserne certi, continuerà.

Flaminio Gualdoni, 2000

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