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Terra d'ombra
di: Michele Caldarelli
Dolce e vivace come lo spirito zuccherino della terra
di Tucumán, Beatrice Cazzaniga coinvolge facilmente se la si
interroga sulla natura e il senso delle sue sculture. Forza ed entusiasmo
nutrono il suo carattere e spiazzano, incontrandola, chi abbia intravisto
una visione tragica della vita nella sua espressione artistica.
Personaggi trasfigurati, anzi, prefigurati popolano l'immaginario di
Beatrice Cazzaniga, interpretando ruoli dai destini inevitabili. Sono
presenze anonime nella loro universalità archetipa, ricordi,
ombre dai contorni imprecisi; paiono vittime di ineluttabili sofferenze.
Ma il disfacimento della materia, la consunzione dei corpi, la precarietà
dell'esistenza, ad un più attento esame mutano di segno preludendo
un'apocatastasi piuttosto che la negatività della morte.
Lacerazioni ed ombre si rivelano ritmi e pause di un'eleganza formale
quasi al limite di un superamento dei contenuti simbolici ma pur radicata
in una ferma visione d'amore per la vita, un sereno distacco proiettato
nella necessità del divenire.
Come l'acqua d'inverno, a cavallo fra il giorno e la notte muta natura,
prima agile e liquida quindi contratta in nobili cristalli destina a
rifluire liquefatti, ugualmente l'energia si raffredda nella sembianza
dei corpi secondo il corso naturale degli eventi.
Beatrice così ci inganna, configurando ciò che pare svanire
alla vista, i bronzi e le terrecotte richiamano a sé lo spazio,
benché parimenti vi si dissolvano e procedano virtualmente dalla
forza del fuoco prima e dalla solidificazione poi.
Narrazioni e personaggi sincronicamente si risolvono nella forma, senza
concederci di intravederne il corretto grado di interscambiabilità
o di referenza.
Tutta la virtualità della "soglia" trova rappresentazione in
sinuosi e sottili diaframmi; i corpi partecipano della sua natura e
nel varcarla mutano catarticamente, gettati nello spazio e nella luce
che li circonda configurandoli alla vista.
Nel caso della nostra scultrice ci troviamo di fronte ad un racconto
globale contemporaneamente vissuto e rappresentato, popolato di presenze
plasmate dal gesto ma vivificate dal pensiero che vi si immedesima.
Si tratta di sculture ben reali e corporee, eppure si rivelano traccia
di una verità ulteriore che attraverso la riflessione dell'autrice
viene riconosciuta e modellata per immagini. Il soggetto non ne è
difatti la condizione umana nelle sue vicende particolari, contingenti
e limitate nei singoli recinti esistenziali, ma l'infinito concatenarsi
di queste nel "divenire".
Con uno sforzo d'attenzione, come più banalmente nel considerare
un effetto figura-sfondo, dobbiamo valutare la potenzialità dell'
"essenza", vera matrice della ispirazione della Cazzaniga, luogo dell'infinito
possibile.
I corpi, come la terra che ne intercetta l'ombra proiettata dalla luce,
si fanno a loro volta "terra d'ombra", identità secondo i ritmi
di intersezione dello spazio e del tempo. Talvolta, similmente, le nuvole
ingannano doppiamente la visione umana mostrando il proprio vagare come
vivo di moto proprio o, ugualmente e in senso opposto, ben realistico
il precipitare di quanto di svettante si stagli in cielo.
L'occhio fallisce individuando l'azione nell'evidenza corporea, la ragione,
fidando nella vista, dimentica la relatività del moto e la consistenza
del vento.
Un enigma autoalimentante sta alla base della questione sollevata dalla
Cazzaniga ai limiti del paradosso, portando a domandarci se la vita
non sia sogno di se stessa.
In altre parole, se la matrice della concretezza non risieda nel sogno;
"sogno" come dinamica sfuggente della marea delle cose e degli eventi,
intercettati come infiniti "qui ed ora" ma liberi e impalpabili, come
l'ombra, in tutta la sua mobilità grata alla "luce".
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