Nel
1557, Cristoforo Armeno finse di tradurre un antico racconto dal
persiano offrendo ai lettori il "Peregrinaggio dei tre giovani
figliuoli del Re di Serendippo" e innescando così
quell'infinito intreccio di "serendipity"
che da allora non si è mai affievolito.
Assecondando il destino e, lungi dal connotare le scoperte
scientifiche inattese, come aveva inteso Horace Walpole nel coniare
il termine (due secoli dopo lo stesso Armeno) la "serendipity"
nella cultura del quotidiano attuale è ormai mutata in filosofia di
vita, contemporaneamente permeata di affettività, ironia e senso
karmico, ispirando una miriade di autori e, non da ultima, la
temperie dei fotoromanzi (di questi anche Diotallevi è stato
protagonista n.d.r.) e un'ampia fetta della attuale filmografia
sentimentale. Grazie
all'incontro con Marcello Diotallevi e alla lettura delle sue
Capnoscritture,
in forma di variopinti volumetti, il caso ha voluto che mi
affacciassi al mondo delle scritture immaginarie e riprendessi la
lettura di autori come Moro, Voltaire, Jarry, Rabelais e Borges...
accodandomi immodestamente a questa filiera di grandi visionari e
smarrendomi fra le nubi della storia delle lingue inventate che,
delle invenzioni utopiche, sono corollorario e struttura portante.
"Ah
queste nuvole che precludono e preludono alla visione degli dèi
dell'Olimpo, come le parole che fumose nascondono e ammantano di
mistero le idee!"...
sono parole che mi è parso di udire or ora, come uscissero
lentamente da un antico letargo, ricordandomi la descrizione che
Francois Rabelais fa degli attoniti navigatori, compagni di Gargantua
nel periplo polare (Gargantua e Pantagruele - IV-56). "Qui
è il confine col Mar Glaciale, sul quale ci fu, al cominciar
dell’inverno ultimo scorso, una grossa e crudele battaglia fra gli
Arismapiensi e i Nefelibati. Allora gelarono in aria le parole e i
gridi degli uomini e delle donne, l’urtar delle mazze, il risuonar
degli arnesi, delle bardature, i nitriti dei cavalli, e ogni altro
tumulto di battaglia. Adesso, passato il rigor dell’inverno,
arrivando la serenità e temperie della bella stagione, tutti questi
rumori si fondono e vengon sentiti".
Chissà!
Con attribuzione falsa, quanto veritiera nel contenuto, quanto mi è
parso di udire potrebbe dunque essere reminiscenza della voce dello
stesso Alcofribas Nasier (pseudonimo di Francois Rabelais - n.d.r.). Le
Capnoscritture
di Marcello Diotallevi si porgono come pro-fumo, oggetto di
combustione e veicolo di rinascita intellettuale, mercede di transito
come l'incenerire funebre delle banconote nella antica ritualità
cinese, con tutto il nitore e l'essenzialità simbolica della
trasformazione dell'oggetto in idea. Assecondando un necessario
processo di catarsi, i suoi libri si prestano contemporaneamente
all'ornamento del divertissement
intellettuale e alla contestuale rescissione dello stesso,
separandolo dall'oggetto materiale, mediante un doppio atto,
immediato, di proiezione/riflessione. Alla
ricerca di un liguaggio iconico universale, di una scrittura
"adamica"
semplice ed elegante, prelogica quanto raffinatamente strutturata,
Marcello Diotallevi mi ricorda, nel suo "scrivere"
polivalente quanto criptico, la sindrome di Panurge, quel personaggio
(Gargantua e Pantagruele - II-9) che nell'incontrare per la prima
volta Pantagruele si espresse in differenti xenoglossie, raffinate ed
auliche finché, alla fine, per riuscire nel farsi intendere si
inventò una nuova lingua del tutto incomprensibile: "Agonou
dont oussys... fren goul oust tropassou". A Pantagruele, pur in
errore, parve allora di rintracciare, in questo lessico inventato,
affinità con la lingua d'Utopia, suo paese di origine da parte di
nonna, e a noi, per curiosità e amor di conoscenza, spalanca
ulteriormente le porte all'universo delle lingue immaginarie,
portandoci a leggere di tutto, dal "Tetrastichon"
dell'alfabeto utopiano alla lingua musicale descritta da Hector
Berlioz in "Eufonia", dalla scrittura inversa nella
"Scoperta australe" di Restif
de la Bretonne, alla comunicazione tattile degli abitanti di Flatland
raccontata da Edwin A Abbott, ai sistemi di mnemotecnica, dai carmi
figurati ai calligrammi futuristi, dalle erronee quanto fantasiose
interpretazioni egiziane di Athanasius Kircher alla pseudo lallazione
dadaista. Un
universo di segni, parole e avventure che andremo prossimamente a
raccontare e descrivere in un blog dedicato che da questa mostra
prende l'avvio. Michele Caldarelli - novembre 2020 |