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DAVIDE DE PAOLI
Sculture gioielli

di Marina De Stasio (*)

L'uomo razionale, scienziato o tecnico che sia, tende a semplificare le cose, a ridurle a modelli semplici, riproducibili, a unità elementari da cui si può far derivare la molteplicità dei fenomeni; all'artista tocca invece il compito di ricordarsi continuamente che non esiste niente di semplice e univoco, che la realtà è tanto contraddittoria e imprevedibile che i modelli elaborati dalla ragione non potranno mai imbrigliarla totalmente. Il lavoro di Davide De Paoli si pone allo snodo, nell'articolazione di queste due concezioni: studia e sperimenta le tecniche più semplici, più facilmente trasmissibili nella sua attività didattica, e la usa per ottenere una grande varietà di risultati; parte dalle forme fondamentali della geometria piana, il cerchio, il triangolo, il quadrato, per arrivare a risultati capricciosi, complessi, sempre nuovi nell'ambito delle forme tridimensionali: Con la complicità dell'occhio dell'osservatore, che volentieri si lascia coinvolgere dal gioco ingannevole della percezione, fa nascere dall'incastro di dischi sottili una sfera, dove gli spazi vuoti danno l'illusione di un volume; da un'operazione semplice come quella di tagliare e ripiegare una lamina metallica triangolare fa nascere forme bizzarre, sempre diverse, dotate di una singolare capacità di evocazione e suggestione: chi guarda, come se fosse sottoposto al test psicologico delle macchie di Rorschach, è portato ad interpretare queste sculture, a leggervi forme arcaiche, totemiche, oppure forme naturali, come un albero che stende i suoi rami nello spazio o un uccello che apre le ali per spiccare il volo. De Paoli opera con l'atteggiamento dell'artefice che di ogni materiale, di ogni forma, di ogni superficie indaga le infinite possibilità di mutamento e cerca di sfruttarlo fino in fondo: una spirale, per esempio, se sottoposta a pressioni e tensioni, assume forme diverse, si avvicina sempre più alla forma naturale di una creatura viva, una chiocciola o un mollusco. Il metallo può offrire le sue superfici lucenti, senza macchia, testimoni della perfezione asettica della tecnologia, ma può anche, se è un materiale di recupero, rivelare con la sua patina rugginosa i segni del tempo che, passando, corrompe l'immacolata tersità del prodotto umano; oppure, sottoposto a ossidazioni con la fiamma o con sostanze chimiche, può rilevare imprevisti brillii e iridescenze. Sempre curioso di osservare il comportamento dei vari materiali, dal cartone ai legni, nuovi o di recupero, ai metalli nobili o industriali, lo scultore si interessa alla flessibilità, alla possibilità che un materiale rigido diventi flessuoso, assuma impreviste morbidezze e sinuosità. La qualità del titano, il metallo con cui ama lavorare, è proprio quella di essere cedevole, di piegarsi pur resistendo alle tensioni, di assumere forme che partono da rigorose geometrie per allontanarsene sempre più. Negli anni settanta De Paoli ha lavorato soprattutto sulla moltiplicazione di un modulo fondamentale da cui, attraverso una serie di spostamenti e alternanze, faceva derivare composizioni complesse, come la grande scultura de11974 collocata in uno spazio pubblico di Seregno o la cancellata di una villa di Trezzo sull'Adda: un unico modulo, ripetuto, capovolto, invertito di posizione, dà origine ad armonie e giochi di pieni e di vuoti, di luci e di ombre. Nel caso del cancello-scultura, va considerato un ulteriore elemento: la presenza di ciò che sta oltre il cancello, degli spazi naturali alternativamente rivelati e nascosti dalle forme geometriche create tanto dalle lastre di metallo quanto dai vuoti che le scandiscono. In questi ultimi anni lo scultore sembra più interessato a sondare il rapporto fra la forma geometrica, artificiale, frutto di un 'astrazione mentale, e la forma naturale: affascinato dalle teorie secondo cui l'infinita varietà delle forme naturali è in realtà interamente prodotta da variazioni su pochissime forme elementari, lo scultore sembra voler dare dimostrazione empirica di questa teoria che all'intuito appare tanto convincente; senza attenuare l'attenzione verso tutto ciò che è moderno, sia dal punto di vista della tecnologia che dei linguaggi artistici e architettonici, si rivolge a ciò che è tanto antico da porsi all'origine di tutto, sviluppa la sua ricerca sul terreno di forme archetipe, primordiali. Nella sua lunga attività di creatore di gioielli e di insegnante di tecnica del gioiello, Davide De Paoli ha approfondito una serie di problemi: come ridurre i tempi ed i costi della realizzazione del manufatto, come risolvere gli elementi funzionali dell'oggetto, l'aggancio di una spilla o di un bracciale, il cerchio di un anello, senza interferire con la bellezza e la carica simbolica del gioiello. Questa esperienza spiega l'interesse di De Paoli per la soluzione di problemi tecnici: non è certo lo scultore che fa un disegno, un progetto e ne lascia la realizzazione tecnica ad altri, il momento della realizzazione concreta è per lui interessante come quello dell'invenzione dell'opera; c'è nel suo lavoro, sia nel campo dell'arte applicata sia nell'ambito dell'arte libera dai vincoli dell'applicazione rapida, la volontà di riunire la figura dell'artista con quella dell'artigiano, di ricomporre un'unità che è sempre esistita e che solo dall'Ottocento si è spezzata. Un riferimento d'obbligo, per questo lavoro, è l'opera di un illustre artista e designer come Bruno Munari, la sua incessante sempre viva curiosità per le materie e le forme del mondo naturale e del mondo dell'uomo, il suo interesse per il gioco infantile, che manipola la realtà per interpretarla e assimilarla; le sculture che De Paoli ricava da sottili lamine metalliche ricordano le "sculture da viaggio" di Munari, ricavate da fogli di carta piegata, ritagliato come da bambino che fa un girotondo di pupazzetti, diventa qualcosa di permanente, solido anche se leggero; una scultura ardita per il forte slancio verso l'alto, per la netta verticalità, ma dotata di equilibrio, di stabilità. Un altro riferimento interessante è quello a certe sculture di Mirko Basaldella, sia per il modo di lavorare intagliando una lastra metallica, partendo da una superficie piana per arrivare alla forma tridimensionale, sia per l'atmosfera barbarica, primitiva che circonda queste sculture; l'affinità si ferma però qui, perchè la scultura di Mirko resta sempre potente, massiccia, mentre a De Paoli interessa dare il senso della leggerezza, dell'elasticità, della possibilità di movimento racchiusa in una forma statica. Nelle diverse fasi e nei diversi aspetti del suo lavoro è possibile individuare un tema di fondo: la variazione nella costante; all'artista interessa tenere fermo un aspetto per cambiare gli altri, aprendo così un ventaglio molto ampio, ma non illimitato, di possibili variazioni, che cerca di esplodere nel modo più esteso possibile. C'è sempre un intento indagatore, sperimentatore e costruttivo in quest'opera, che mira a scoprire i segreti dei materiali, a forzarli fino alle loro estreme possibilità; che parte dall'ambito della geometria per poi trasgredire, muoversi verso la libertà e la ricchezza delle forme naturali; che dà il senso dell'azione del talento umano, dell'intervento della mano dell'uomo che trasforma, incide sulla realtà.

(*) pubblicato sul nr. 1 di Partecipazione nel gennaio 1995

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