Archivio Attivo Arte
Contemporanea
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Galleria
d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico
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NANI TEDESCHI - UN PESCE PER OGNI STAGIONE di MICHELE CALDARELLI Se ricordo bene era un delfino (lo so, non è un pesce, ma concedetemi la licenza, a cinque anni ancora non lo distinguevo bene dal tonno) quel pesce impresso sul retro delle cinque lire con cui andavo a comprarmi appena potevo un gelato alla vaniglia. Era un pesce poi, di sicuro, anche se di cioccolato, quell’oggetto avvolto nella stagnola lumeggiata d’argento, oro e rosso ad imitare la triglia (o il pesce rosso?) esposto in aprile nella vetrina del bar sottocasa. Era poi ben concreta e più corposamente invasiva nell’aroma, secondo natura culinaria, quella montagnola di grandi pepite dorate che facevano mostra di sé il venerdì dietro il cartello merluzzo fritto in gastronomia. Più appannata è rimasta invece la memoria dei pesci grigiastri che nuotavano sonnolenti nella fontana del Parco milanese in cui, raramente, potevo portare a navigare il modellino di barca a vela di cui tanto andavo orgoglioso. Per il resto dell’anno, la barca restava su un ripiano inaccessibile a casa di mia nonna e i pesci restavano per conto loro o forse in balia di qualche altro ragazzino che, più agguerrito di me cercava di pescarli. A onor del vero, ormai giovinetto, ho provato anch’io l’ebbrezza della pesca quando la mia famiglia si è stabilita a Como; con bicicletta e canna di bambù a segmenti andavo spesso al molo, o altrove in riva al lago, ma non pescavo mai un accidente. Un giorno però, finalmente, novello Achab, non pescai certo una balena (che oltre a non essere un pesce come il delfino di cui sopra, non vive nelle acque del nostro lago) ma una carpa di notevoli dimensioni. Portatala a casa in un secchio d’acqua per mostrarla viva a tutti, dimostrando la mia perizia di pescatore, tale fu la mia venerazione per questo animale, che fin da subito mi pentii di averlo sottratto alla sua condizione di naturale libertà e cercai per giorni di farlo perlomeno vivere nella vasca da bagno di casa. Alla fine la carpa fu rigettata nel lago; da allora non cercai più di pescare alcunché e anche la mia attrazione alimentare per la fauna ittica si smorzò notevolmente. Questi sono stati i pesci antichi, della mia prima giovinezza, che nel ricordo e col passare del tempo hanno assunto carattere fortemente simbolico, fino a poter gareggiare con archetipi di più ampia portata. E’ stato nel periodo liceale, che i pesci hanno cominciato per me a guizzare in modo transdisciplinare dal mare di Ulisse a quello di Melville, dalla formalina del laboratorio di biologia ai bassorilievi romanici, dalla carta stampata dei libri alle profondità marine quando mi sono appassionato alle immersioni con pinne, fucile ed occhiali come nel motivetto della omonima canzone. Era ritornata anche la verve culinaria e con amici si tentava di rieditare sulla spiaggia, armati di pentolone e fornello da campo, con l’aiuto del bagnino Carlo, ex marinaio, ex pescatore ma, al secolo, ancora bravissimo cuoco, il magnifico cacciucco alla livornese che si mangiava al porto nella trattoria da Miro. Pian piano, in seguito, l’immersione profonda si è fatta strada, non solo nell’esperienza apneistica ma nell’indagine culturale, con le prime nozioni di psicologia analitica, antropologia e storia delle religioni. Ecco affacciarsi dal ricordo di quegli studi affascinanti, il pesce della tradizione kmer che si tuffa nelle acque inferiori, il matsya della restaurazione ciclica nella tradizione indiana, l’Ichthys dell’ideogramma cristiano… Il segno dei Pesci, che chiude il ciclo astrologico, alle porte dell’equinozio di primavera, costituisce simbolo particolare della dimensione psichica in tutta la sua doppiezza, nuotando, ora verso l’alto, ora verso il basso, lungo il confine che divide le filosofiche acque superiori dalle acque inferiori. Ed eccomi ora trasportato da questa piacevole rêverie, che mi ha catturato mentre terminavo di leggere i due saggi che trovate di seguito al mio testo. Più soppesavo le concordanze, più venivo inghiottito, proprio come Giona dalla balena, mentre il battere della pioggia autunnale contro i vetri del mio studio, con sonorità cullante, risvegliava in me la sensazione di dolci fluidità, pacate e rassicuranti come il borboglio di un ruscello o l’insonne sciabordio del mare ai confini dell’eco oscura di profondi abissi. Con Un acquario latino, prende forma compiuta una prima idea di mostra che era nata, più di un anno fa, quando con la naturalista Paola Iotti e un amico subacqueo ragionavamo sugli esiti della precedente iniziativa incentrata sulle sirene. Perché non occuparci della fauna ittica in generale, e di quella del lago in particolare? ci siamo chiesti… una prima risposta si è presentata successivamente, quando con Luigi Picchi, poeta e raffinato latinista, abbiamo pensato di scavare nella cultura romana per trovare parametri di riferimento. Sapevamo che Giovio e Plinio, personaggi comaschi per eccellenza, si erano occupati ampiamente di natura e dopo attenta analisi, con una variazione di percorso, ci siamo concentrati su Ovidio, Ausonio e Benedetto Giovio. La chiave di volta è stata poi collocata quando, con le traduzioni e il commento di Luigi Picchi, mi sono recato da Nani Tedeschi per verificare se, fra i molti disegni che sapevo da lui già prodotti e inerenti la vita acquatica, ce ne fosse qualcuno utile a comporre una nuova mostra tematica a più voci. Il suo entusiasmo per l’idea è stato così forte da spingerlo a produrre opere nuove e, giocoforza, sbaragliando un possibile gruppo di altri autori, ancora da comporre, ne è nata una mostra personale quasi totalmente inedita. |