UCCIDIAMO IL CHIARO DI LUNA
1909 di FILIPPO TOMMASO MARINETTI
Olà ! Grandi poeti incendiari, fratelli miei futuristi!... Olà!
Paolo Buzzi, Gian Pietro Lucini, Palazzeschi, Cayacchioli, Govoni,
Altomare, Folgore, Cardile, Boccioni, Carrà, Russoio, Balla,
Severini, Pratella, D’Alba, Mazza, Carrieri, Frontini! Usciamo da
Paralisi, devastiamo Podagra e stendiamo il gran Binario militare sui
fianchi del Goriankar, vetta del mondo ! Uscivamo tutti dalla città,
con un passo agile e preciso, che sembrava volesse danzare cercando
ovunque ostacoli da superare. Intorno a noi, e nei nostri cuori,
l’immensa ebrietà del vecchio sole europeo, che barcollava tra
nuvole color di vino.... Quel sole ci sbattè sulla faccia la sua
gran torcia di porpora incandescente, poi crepò, vomitandosi tutto
all’infinito. Turbini di polvere
aggressiva ; acciecante fusione di zolfo, di potassa e di silicati
per le vetrate dell’Ideale !... Fusione d’un nuovo globo solare
che presto vedremo risplendere ! — Vigliacchi ! — gridai,
voltandomi verso gli abitanti di Paralisi, ammucchiati sotto di noi,
massa enorme di obici irritati, già pronti per i nostri futuri
cannoni. «Vigliacchi!
Vigliacchi!... Perchè queste vostre strida di gatti scorticati
vivi?... Temete forse che appicchiamo il fuoco alle vostre
catapecchie ?... Non ancora!... Dovremo pur scaldarci, nell’inverno
prossimo !... Per ora, ci accontentiamo di far saltare in aria tutte
le tradizioni, come ponti fradici!... La guerra?… Ebbene, sì :
essa è la nostra unica speranza, la nostra ragione di vivere, la
nostra sola volontà!… Sì, la guerra ! Contro di voi, che morite
troppo lentamente, e contro tutti i morti che ingombrano le nostre
strade !… « Sì, i nostri
nervi esigono la guerra ! e disprezzano la donna, poiché noi temiamo
che braccia supplici s’intreccino alle nostre ginocchia, la mattina
della partenza!... Che mai pretendono le donne, i sedentari,
gl’invalidi, gli ammalati, e tutti i consiglieri prudenti? Alla
loro vita vacillante, rotta da lugubri agonie, da sonni tremebondi e
da incubi grevi, noi preferiamo la morte violenta e la glorifichiamo
come la sola che sia degna dell’uomo, animale da preda. «Vogliamo che i
nostri figliuoli seguano allegramente il loro capriccio, avversino
brutalmente i vecchi e sbeffeggino tutto ciò che è consacrato dal
tempo ! «Questo v’indigna? Mi fischiate?... Alzate la voce!... Non
ho udita l’ingiuria! Più forte! Che cosa?... Ambiziosi?...
Certamente! Siamo degli ambiziosi, noi, perché non vogliamo
strofinarci ai vostri fetidi velli, o gregge puzzolente, color di
fango, canalizzato nelle strade antiche della Terra!... Ma
«ambiziosi» non è la parola esatta!... Noi siamo piuttosto dei
giovani artiglieri in baldoria !... E voi dovete, anche a vostro
duetto, abituarvi al frastuono dei nostri cannoni ! Che cosa dite
?... Siamo pazzi ?... Evviva ! Ecco finalmente la parola che
aspettavo !... Ah ! Ah ! Bellissima trovata!... Prendete con cautela
questa parola d’oro massiccio, e tornatevene presto, in
processione, per celarla nella più gelosa delle vostre cantine ! Con
quella parola fra le dita e sulle labbra, potrete vivere ancora venti
secoli.... Per conto mio, vi annuncio che il mondo è fradicio di
saggezza !… « E perciò che noi oggi insegnamo l’eroismo
metodico e quotidiano, il gusto della disperazione, per la quale il
cuore dà tutto il suo rendimento, l’abitudine aH’entiisiasmo,
l’abbandono alla vertigine.… « Noi insegnaino il
tuffo nella morte tenebrosa sotto gli occhi bianchi e fìssi
dell’Ideale.… E noi stessi daremo l’esempio, abbandonandoci
alla furibonda Sarta delle battaglie, che, dopo averci cucita addosso
una bella divisa scarlatte, sgargiante al sole, ungerà di fiamme i
nostri capelli spazzolati dai proiettili.... Così appunto la calura
di una sera estiva spalma i campi d’uno scivolante fulgóre di
lucciole. « Bisogna che gli
uomini elettrizzino ogni giorno i loro nervi ad un orgoglio temerario
!… Bisogna che gli uomini giuochino d’un tratto la loro vita,
senza spiare i biscazzieri bari e senza controllare l’equilibrio
delle roulettes, stando chini sui vasti tappeti verdi della guerra,
covati dalla fortunosa lampada del sole. Bisogna, • capite? —
bisogna che l’anima lanci il corpo in fiamme, come un brulotto,
contro il nemico, l’eterno nemico che si dovrebbe inventare se non
esistesse !… « Guardate, laggiù,
quelle spiche di grano, allineate in battaglia, a milioni.... Quelle
spiche, agili soldati dalle baionette aguzze, glorificano, la forza
del pane, che si trasforma in sangue, per sprizzar dritto fino allo
Zenit. Il sangue, sappiatelo, non ha valore né splendore, se non
liberato, col ferro o col fuoco, dalla prigione delle arterie ! E noi
insegneremo a tutti i soldati armati della terra come il sangue debba
essere versato Ma, prima, converrà ripulire la grande Caserma dove
voi pullulate, insetti che siete !... Ci vorrà poco.... Frattanto,
cimici, potete ancora tornare, per questa sera, agl’immondi
giacigli tradizionali, su cui noi non vogliamo più dormire! Mentre volgevo loro
le spalle, io sentii, dal dolore della mia schiena, che troppo a
lungo avevo trascinato, nella rete immensa e nera della mia parola,
quel popolo moribondo, coi suoi ridicoli guizzi di pesce ammucchiato
sotto l’ultima ondata di luce che la sera spingeva alle scogliere
della mia fronte. La città di
Paralisi, col suo gridìo di pollaio, coi suoi orgogli impotenti di
colonne troncate, con le sue cupole tronfie che partoriscono
statuette meschine, col capriccio dei suoi fumi di sigaretta sopra
bastioni puerili offerti ai buffetti.... scomparve alle nostre
spalle, danzando al ritmo dei nostri passi veloci. Davanti a me, ancora
distante alcuni chilometri, si delineo ad un tratto il Manicomio,
alto sulla groppa di una collina elegante, che sembrava trotterellare
come un puledro. • Fratelli, —
diss’io — riposiamoci per l’ultima volta, prima di muovere alla
costruzione del gran Binario futurista ! Ci coricammo, tutti fasciati
dalbimmensa follia della Yia Lattea, all’ombra del Palazzo dei
vivi, e subito tacque il fracasso dei grandi martelli quadrati dello
spazio e del tempo.… Ma Paolo Buzzi non poteva dormire, poiché il
suo corpo spossato sussultava ad ogni istante alle punture delle
stelle velenose che ci assalivano da ogni parte. • Fratello ! —
mormorò — scaccia lontano da me codeste api che ronzano sulla rosa
porporina della mia volontà ! Poi si riaddormentò
nell’ombra visionaria elei Palazzo ricolmo di fantasia, da cui
saliva la melopea cullante ed ampia della eterna gioia. Enrico
Cavacchioli sonnecchiava e sognava ad alta voce : • Io sento
ringiovanire il mio corpo ventenne !... Io ritorno, d’un passo
sempre più infantile, verso la mia culla.... Presto, rientrerò nel
ventre di mia madre !... Tutto, dunque, mi è lecito !... Voglio
preziosi gingilli da rompere.… città da schiacciare, formicai
umani da sconvolgere!… Voglio addomesticare i Venti e tenerli a
guinzaglio.... Voglio una muta di Venti, fluidi levrieri, per dar la
caccia ai cirri flosci e barbuti ! La respirazione dei
miei fratelli dormenti fìngeva il sonno di un mare possente, su una
spiaggia. Ma l’entusiasmo inesauribile dell’aurora traboccava già
dalle montagne, tanto copiosamente la notte aveva dovunque versato
profumi e linfe eroiche. Paolo Buzzi, bruscamente sollevato da quella
marea di delirio, si contorse, come nell’angoscia di un incubo. • Li udite, i
singhiozzi della Terra?... La Terra agonizza nell’orrore della luce
!... Troppi soli si chinarono al suo livido capezzale ! Bisogna
lasciarla dormire !... Ancora ! Sempre !… Datemi delle nuvole, dei
mucchi di nuvole, per coprire i suoi occhi e la sua bocca che piange! A queste parole il
Sole ci porse, dall’estremità dell’orizzonte, il suo tremulo e
rosso volante di fuoco. • Alzati, Paolo !
— gridai allora. — Afferra quella ruota !... Io ti proclamo
guidatore del mondo !... Ma, ahimè, noi non potremo bastare al gran
lavoro del Binario futurista! Il nostro cuore è ancora pieno di un
ciarpame immondo: code di pavoni, pomposi galli di banderuole,
leziosi fazzoletti profumati!... E non abbiamo ancora scacciate dal
nostro cervello le lugubri formiche della saggezza.... Ci vogliono
dei pazzi !... Andiamo a liberarli ! Ci avvicinammo alle mura
imbevute di gioia solare, costeggiando una sinistra vallata, ove
trenta gru metalliche sollevano, stridendo, dei vagoncini pieni d’una
biancheria fumigante, inutile bucato di quei Puri, lavati già da
ogni sozzura di logica. Due alienisti
comparvero, categorici, sulla soglia del Palazzo. Io non avevo fra le
mani che uno smagliante fanale d’automobile; e fu col suo manico di
lucido ottone che inculcai loro la morte. Dalle porte
spalancate, pazzi e pazze, scamiciati, seminudi, eruppero a migliaia,
torrenzialmente, così da ringiovanire e ricolorare il volto rugoso
della Terra. Alcuni vollero
subito brandire, come bastoni d’avorio, i campanili lucenti ; altri
si misero a ginocare al cerchio con delle cupole.… Le donne
pettinavano le loro lontane capigliature di nuvole con le acute punte
di una costellazione. • 0 pazzi, o
fratelli nostri amatissimi, seguitemi !... Noi costruiremo il Binario
sulle cime di tutte le montagne, fino al mare ! Quanti siete?...
Tremila?... Non basta! D’altronde, la noia e la monotonia
troncheranno in breve il vostro bello slancio.... Corriamo a domandar
consiglio alle belve dei serragli accampati alle porte della
Capitale. Sono gli esseri più vivi, i più sradicati, i meno
vegetali ! Avanti !... A Podagra! A Podagra!… E partimmo, scarica
formidabile di una chiusa immane. L’esercito della
follia si avventò di pianura in pianura, colò per le valli, ascese
rapido alle cime, con lo slancio fatale e facile d’un liquido entro
enormi vasi comunicanti, e infine mitragliò di grida, di fronti e di
pugni le mura di Podagra, che risuonò come una campana. Dopo avere
ubbriacati, uccisi o calpestati i guardiani, la gesticolante marea
inondò l’immenso corridoio melmoso del serraglio, le cui gabbie,
piene di velli danzanti, ondeggiavano nel vapore delle urine
selvatiche e oscillavano, più leggiere che gabbie di canarini, fra
le braccia dei pazzi. Il regno dei leoni
ringiovanì la Capitale. La ribellione delle
criniere e il voluminoso sforzo delle groppe inarcate a leva
scolpivano le facciate. La loro forza di torrente, scavando il
selciato, trasformò le vie in altrettanti tunnel dalle vòlte
scoppiate. Tutta la tisica vegetazione degli abitanti di Podagra fu
infornata nelle case, le quali, piene di quei rami urlanti, tremavano
sotto la impetuosa grandinata di sgomento che crivellava i tetti. Con bruschi slanci e
con lazzi da clowns, i pazzi inforcavano i bei leoni indifferenti,
che non li sentivano, e quei bizzarri cavalieri esultavano ai
tranquilli colpi di coda che ad ogni istante li gettavano a terra....
Ad un tratto, le belve si arrestarono, i pazzi tacquero, davanti alle
mura che non si muovevano più.… • I vecchi son morti !... I
giovani sono fuggiti!… Meglio così !... Presto! Siano divelti i
parafulmini e le statue !... Saccheggiamo gli scrigni colmi d’oro!...
Verghe e monete!... Tutti i metalli preziosi saranno fusi, pel gran
Binario militare !… Ci precipitammo
fuori, coi pazzi gesticolanti e le pazze scarmigliate, coi leoni, le
tigri e le pantere cavalcate a nudo da cavalieri che l’ebbrezza
irrigidiva, contorceva ed esilarava freneticamente. Podagra non fu piu
che un immenso tino, pieno di un rosso vino dai gorghi spumosi, che
colava veemente dalle porte, i cui ponti levatoi erano imbuti
trepidanti e sonori.… Attraversammo le rovine dell’Europa ed
entrammo nell’Asia, sparpagliando lontano le orde terrorizzate di
Podagra e di Paralisi, come i seminatori gettano la semente con un
gran gesto circolare. A notte piena,
eravamo quasi in cielo, su l’altipiano persiano, sublime altare del
mondo, i cui gradini smisurati portano popolose città. Allineati
all’infinito lungo il Binario, ansavamo su crogiuoli di barite, di
alluminio e di manganese, che a quando a quando spaventavano le
nuvole con la loro esplosione abbagliante; e ci sorvegliava, in
cerchio, la maestosa ronda dei leoni che, erette le code, sparse al
vento le criniere, foravano il cielo nero e profondo coi loro ruggiti
tondi e bianchi. / Ma, a poco a poco, il lucente e caldo sorriso
della luna traboccò dalle nuvole squarciate. E, quando ella
apparve infine, tutta grondante dell’ inebbriante latte delle
acacie, i pazzi sentirono il loro cuore staccarsi dal petto e salire
verso la superficie della liquida notte. Ad un tratto, un
grido altissimo lacerò l’aria; un rumore si propagò, tutti
accorsero.… Era un pazzo giovanissimo, dagli occhi di vergine,
rimasto fulminato sul Binario. Il suo cadavere fu
subito sollevato. Egli teneva fra le mani un fiore bianco e desioso,
il cui pistillo s’agitava come una lingua di donna. Alcuni vollero
toccarlo, e fu male, poiché rapidamente, con la facilità di
un’aurora che si propaga sul mare, una verdura singhiozzante sorse
per prodigio dalla terra increspata di onde inattese. Dal fluttuare
azzurro delle praterie, emergevano vaporose chiome d’innumerevoli
nuotatrici, che
schiudevano sospirando i petali delle loro bocche e dei loro occhi
umidi. Allora, nell’inebbriante diluvio dei profumi, vedemmo
crescere distesamente intorno a noi una favolosa foresta, i cui
fogliami arcuati sembravano spossati da una brezza troppo lenta. Vi ondeggiava una
tenerezza amara.... Gli usignuoli bevevano l’ombra odorosa con
lunghi gorgoglìi di piacere, e a quando a quando scoppiavano a
ridere nei cantucci, giocando a rimpiattino come fanciulli vispi e
maliziosi. Un sonno soavissimo
vinceva lentamente l’esercito dei pazzi, che si misero a urlare dal
terrore. Irruenti, le belve
si precipitarono a soccorrerli. Per tre volte,
stretti in gomitoli balzanti, e con assalti uncinati di rabbia
esplosiva, le tigri caricarono gl’invisibili fantasmi di cui
ribolliva la profondità di quella foresta di delizie.… Finalmente,
fu aperto un varco: enorme convulsione di fogliami feriti, i cui
lunghi gemiti svegliarono i lontani echi loquaci appiattati nella
montagna. Ma, mentre, ci accanivamo, tutti, a liberar le nostre gambe
e le nostre braccia dalle ultime liane affettuose, sentimmo a un
tratto la Luna carnale, la Luna dalle belle coscie calde,
abbandonarsi languidamente sulle nostre schiene affrante. Si udì gridare
nella solitudine aerea degli altipiani : — Uccidiamo il chiaro di
luna ! Alcuni corsero alle cascate vicine ; gigantesche ruote furono
inalzate, e le turbine trasformarono la velocità delle acque in
magnetici spasimi che s’ arrampicarono a dei fili, su per alti
pali, fino a dei globi luminosi e ronzanti. Fu così che
trecento lune elettriche cancellarono coi loro raggi di gesso
abbagliante l’antica regina verde degli amori. E il Binario
militare fu costruito. Binario stravagante che seguiva la catena
delle montagne più alte e sul quale si slanciarono tosto le nostre
veementi locomotive impennacchiate di grida acute, via da una cima
all’altra, gettandosi in tutti i precipizi e arrampicandosi
dovunque, in cerca di abissi affamati, di svolti assurdi e
d’impossibili zig-zag.... Tutt’intorno, da lontano, l’odio
illimitato segnava il nostro orizzonte irto di fuggiaschi.... Erano
le orde di Podagra e di Paralisi, che noi rovesciammo nell’Indostan. Accanito
inseguimento.... Ecco scavalcato il Gange !... Finalmente, il soffio
impetuoso dei nostri petti fugò davanti a noi le nuvole striscianti,
dagli avvolgimenti ostili, e noi scorgemmo all’orizzonte i sussulti
verdastri dell’Oceano Indiano, a cui il sole metteva una fantastica
museruola d’oro.... Sdraiato nei golfi di Oman e del Bengala, esso
preparava perfidamente l’invasione delle terre. All’estremità
del promontorio di Cormorin, orlato di una poltiglia di ossami
biancastri, ecco l’Asino colossale e scarno, la cui groppa di
cartapecora grigiastra fu incavata dal peso delizioso della Luna....
Ecco l’Asino dotto, dal membro prolisso rammendato di scritture,
che raglia da tempo immemorabile il suo rancore asmatico contro le
brume dell’orizzonte, dove tre grandi vascelli s’avanzano,
immobili, con le loro velature simili a colonne vertebrali
radiografate. Subito, l’immensa
mandra delle belve cavalcate dai pazzi protese sui flutti musi
innumerevoli, sotto il turbinìo delle criniere che chiamavano
l’Oceano alla riscossa. E l’Oceano rispose all’appello,
inarcando mi dorso enorme e squassando i promontori prima di prender
lo slancio. Esso provò lungamente la propria forza, agitando le
anche e ripiegando il ventre sonoro fra le sue vaste fondamenta
elastiche. Poi, con un gran
colpo di reni, l’Oceano potè sollevare la propria massa e sormontò
la linea angolosa delle rive.... Allora, la formidabile invasione
cominciò. Noi marciavamo
nell’ampio accerchiamento delle onde scalpitanti, grandi globi di
schiuma bianca che rotolavano e crollavano, docciando le schiene dei
leoni.... Questi, allineati in semicerchio intorno a noi,
prolungavano da ogni parte le zanne, la bava sibilante e gli urli
delle acque. Talvolta, dall’alto delle colline, guardavamo l’Oceano
gonfiare progressivamente il suo profilo mostruoso, come un’immensa
balena che si spingesse innanzi su un milione di pinne. E fummo noi che lo
guidammo così fino alla catena dellTmalaia, aprendo, come un
ventaglio, il formicolìo delle orde in fuga che volevamo schiacciare
contro i fianchi del Gorisankar. • Affrettiamoci,
fratelli miei !... Volete dunque che le belve ci sorpassino ? Noi
dobbiamo rimanere in prima fila, malgrado i nostri lenti passi che
pompano i succhi della terra.... Al diavolo queste mani vischiose e
questi piedi che trascinano radici !... Oh! Noi non siamo che poveri
alberi vagabondi! Vogliamo delle ali !… Facciamoci dunque degli
aeroplani ! — Saranno azzurri! — gridarono i pazzi azzurri, per
sottrarci meglio agli sguardi del nemico, e per confonderci con
l’azzurro del cielo, che, quando c’è vento, garrisce sulle vette
come un’immensa bandiera ! E i pazzi rapirono mantelli turchini
alla gloria dei Budda, nelle antiche pagode, per costruire le loro
macchine volanti. Noi ritagliammo i
nostri aeroplani futuristi nella tela color d’ocra dei velieri.
Alcuni avevano ali equilibranti e, portando i loro motori,
s’inalzavano come avoltoi insanguinati che sollevassero in cielo
vitelli convulsi. Ecco : il mio è un
biplano multicellulare a coda direttiva: 100 HP, 8 cilindri, 80
chilogrammi.… Ho fra i piedi una minuscola mitragliatrice, che
posso scaricare premendo un bottone d’acciaio.… E si parte,
nell’ebbrezza di un’agile evoluzione, con nn volo vivace,
crepitante, leggiero e cadenzato come un canto d’invito a bere e a
ballare. • Urrà! Siam
degni finalmente di comandare il grande esercito dei pazzi e delle
belve scatenate!... Urrà! Noi dominiamo la nostra retroguardia :
l’Oceano, col suo avviluppamento di schiumanti cavallerie !...
Avanti, pazzi, pazze, leoni, tigri e pantere!... Avanti, squadroni di
flutti!... I nostri aeroplani saranno per voi, a volta a volta,
bandiere di guerra e amanti appassionate !... Deliziose amanti che
nuotano, aperte le braccia, sull’ ondeggiar dei fogliami, o che
indugiano mollemente sull’altalena della brezza!... Ma guardate
lassù, a destra, quelle spole azzurre.... Sono i pazzi, che cullano
i loro monoplani sull’amaca del vento del sud!... Io, intanto, sto
seduto come un tessitore davanti al telaio, e vo tessendo l’azzurro
serico del cielo !... Oh! Quante fresche vallate, quanti monti
burberi, sotto di noi!... Quanti greggi di pecore rosee, sparsi sui
declivii delle verdi colline che si offrono al tramonto !... Tu le
amavi, anima mia!... No! No! Basta! Tu non godrai più, mai più, di
simili insipidezze!... Le canne colle quali un tempo facevamo delle
zampogne formano Parmatura di questo aeroplano!... Nostalgia!
Ebbrezza trionfale!... Presto avremo raggiunti gli abitanti di
Podagra e di Paralisi, poiché voliamo rapidi ad onta delle raffiche
avverse.... Che dice l’anemometro?... Il vento che ci è contrario
ha una velocità di cento chilometri all’ora!... Che importa? Io
salgo a duemila metri, per sorpassare l’altipiano.... Ecco! Ecco le
orde!... Là, là, davanti a noi, e già sotto ai nostri piedi!...
Guardate, laggiù, a picco, fra gli ammassi di verdura, la
tumultuante follia di quel torrente umano che s’accanisce a
fuggire!… Questo fracasso?... È lo schianto degli alberi !... Ah!
Ah !... Le orde nemiche sono ormai cacciate contro l’alta muraglia
del Gorisankar!… E noi diamo loro battaglia!... Udite? Udite i
nostri motori come applaudono in gioia ?... Olà, grande Oceano
Indiano, alla riscossa !… L’Oceano ci seguiva solennemente,
atterrando le mura delle città venerate e gettando di sella le torri
illustri, vecchi cavalieri dall’armatura sonora, crollati giù
dagli arcioni marmorei dei templi. • Finalmente !
Finalmente ! Eccoti dunque davanti a noi, gran popolo formicolante di
Podagrosi e di Paralitici, lebbra schifosa che divora i bei fianchi
della montagna,... Noi voliamo rapidi contro di voi, fiancheggiati
dal galoppo dei leoni, nostri fratelli, e abbiamo alle spalle
l’amicizia minacciosa dell’Oceano, che ci segue da vicino per
impedire che s’indietreggi !... È soltanto una precauzione, poiché
non vi temiamo!... Ma voi siete innumerevoli!… E potremmo esaurire
le nostre munizioni, invecchiando durante la carneficina!... Io
regolerò il tiro!... L’alzo a ottocento metri!... Attenti!…
Fuoco!... Oh! L’ebbrezza di giocare alle biglie della Morte !... E
voi non potrete carpircele !... Indietreggiate ancora ? Questo
altipiano sarà presto superato!... Il mio aeroplano corre sulle sue
ruote, scivola sui pattini e s’alza a volo di nuovo!... Io vado
contro il vento !... Bravissimi, i pazzi !... Continuate il massacro
!… Guardate! Io tolgo l’accensione e calo giù tranquillamente, a
volo librato, con magnifica stabilità, per toccar terra dove più
ferve la mischia ! « Ecco la furibonda
copula della battaglia, vulva gigantesca irritata dalla foia del
coraggio, vulva informe che si squarcia per offrirsi meglio al
terrifico spasimo della vittoria imminente ! È nostra, la
vittoria.... ne sono sicuro, poiché i pazzi lanciano già al cielo i
loro cuori, come bombe !... L’alzo a cento metri !... Attenti!…
Fuoco!... Il nostro sangue?... Sì! Tutto il nostro sangue, a flotti,
per ricolorare le aurore ammalate della Terrai... Sì, noi sapremo
riscaldarti fra le nostre braccia fumanti, o misero Sole, decrepito e
freddoloso, che tremi sulla cima del Gorisankar! |