"...Il lavoro è stato per me parte del naturale
fluire della vita, come la vita stessa. Le eventuali motivazioni sono
state, quindi, sottoposte, giorno dopo giorno, "naturalmente", ai casi
del mio vivere quotidiano...E se penso, giunto alla soglia dei sessant'anni,
di quali profonde trasformazioni sono stato testimone (e partecipe), ciò
mi appare abbastanza evidente.
Cresciuto ed educato tra le due guerre -sottolineo la parola educato in
quanto sono stato posto, ancora tenerello, in posizione critica rispetto
alle correnti concezioni di quegli anni su alcuni punti, rimasti poi per
me fondamentali quali la dignità dell'individuo nella libertà,
l'orrore della violenza e della guerra, della prevaricazione (per esemplificare)
- ho poi vissuto la speranza di un avvenire da eldorado universale, immerso
in una realtà fatta di banalità ed errori (di valutazione,
di scelta...).Ho attraversato esperienze positive e negative. Ho combattuto
senza armi contro persone armate. Ed ho sempre perso gli scontri diretti.
Probabilmente se - invece di raccontare dell'infanzia, dell'adolescenza,
della maturità e della vecchiaia avanzate, dell'ambiente nel quale
sono stato immerso e dal quale ho tratto alimento, delle vicissitudini
e mutazioni storiche, economiche e sociali dalle quali sono stato condizionato
- riscrivessi oggi una cartella di motivazioni cadrei nel gioco perverso
di affermare cose con le quali il mio operare non corrisponde e che sono
diverse dalle eventuali motivazioni di ieri, ma anche da quelle dell'anno
(o del mese!) scorso...
Per quanto riguarda il testo critico che meglio mi situa, non saprei indicarlo.
Direi, tutto ciò che è stato scritto sul mio lavoro è
stato un contributo: dagli scritti più accomodanti o cortigiani
ai più astiosi, ma soprattutto quelli più critici, anche
se talora solo parzialmente interlocutori.
Più doloroso il non scritto, il silenzio, la mancanza di dialogo,
di scambio e circolazione di idee"
da: "Numero sei",
a cura di Arturo Schwarz, Milano, giugno 1984.
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