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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo

Massimo Ballabio
Fluidità

Per quanto possa sembrare impossibile, vorrebbe...

Mi sono chiesto a cosa dovessi il privilegio di scrivere queste brevi note sulla persona e sull'opera di Massimo Ballabio. La sproporzione del compito è evidente e le mie competenze del tutto insufficienti. Ho accettato però perché credo di avere una risposta e penso che essa apra una prospettiva interpretativa interessante. Ho conosciuto l'uomo oltre che l'opera. Anzi, prima l'uomo e solo in seguito la sua arte. E l'ho conosciuto grazie ad amici comuni di rara, rarissima umanità. L'incontro è dunque avvenuto dentro una trama di affetti profondi che segnano in maniera caratteristica l'esistenza di Massimo. Soprattutto, questa frequentazione assai recente è cominciata in un periodo che per lui costituisce indubbiamente una rinascita. Dopo una crisi assai radicale si coglie ora il ritorno "felice" alla passione di vivere. E di lavorare. Che l'uomo e l'artista desiderasse un testimone di questo? Che Ballabio chiedesse a uno sguardo "innocente" il riconoscimento di questa "risurrezione" e, quasi, l'autorizzazione a distogliere gli occhi dal suo tormento infernale? Schivo ma non remissivo. Ha coraggio da vendere ed è un lottatore. Eremitico contemplatore ma niente affatto misantropo. Pur bisognoso di silenzio e concentrazione è però felice di comunicare quando una visita interrompe il suo "esilio". Come nel lavoro, anche nella relazione si dona senza riserve, e senza risparmio. Onesto e limpido, crede nell'amicizia. È facilissimo ferirlo... Davanti a quest'uomo l'autorizzazione a vivere è concessa senz'altro anche da persone di mediocre sensibilità, credo. Basterebbe guardare quel che produce. Ma il tormento non potrà evitarlo. Troppo esigente di altezze e perfezione per non essere costantemente provato davanti al pozzo senza fondo delle umane miserie. Dell'uomo si legge nel salmo 64: "Un baratro è l'uomo e il suo cuore un abisso"; quanto al mondo è sotto gli occhi di tutti. E tuttavia. Per quanto possa sembrare impossibile, vorrebbe comunicare tutto del moltissimo che sa. Del moltissimo che ha capito. Offre le intuizioni più preziose, i progetti, i consigli, le idee senza ombra di invidia. È cosa difficile da trovare, ovunque ma specialmente nel mondo dell'arte. A lui si attaglia quanto dice la Bibbia a proposito del saggio che regala il suo sapere: "Senza frode imparai e senza invidia io dono, non nascondo le sue ricchezze. [La sapienza] è un tesoro inesauribile per gli uomini" (Sapienza 7,13-14). Sapienza nella bibbia ebraica è ciò che serve per vivere. La si riceve da altrove e non la si possiede mai. La sua sovrabbondanza piuttosto, nella misura della nostra disponibilità, ci possiede. Donarla è giustizia e insieme benevolenza. Ovvero umiltà. Per quanto possa sembrare impossibile, vorrebbe... Forse qui c'è una chiave per cominciare ad "aprire" (con discrezione spero) il mistero dell'uomo e dell'artista. Anche per capire un ritiro e un silenzio che non è reticenza, né tanto meno disprezzo. E una solitudine che non è delusione degli uomini bensì coraggio della verità e della bellezza: per poter stare nella relazione senza catture dell'altro per il proprio bisogno, e per offrire al meglio delle sue possibilità i buoni frutti dell'incanto del bello che lo entusiasma. Poesia, insomma. Come parola preziosa che nasce da molto tacere pensando, così si presenta l'opera. Sorta di disciplina dell'arcano, dove si percepisce insieme forza, rigore e semplicità. Ma dove nulla è facile: solo a un occhio non perspicace restano celati la grande conoscenza dei materiali, l'incredibile raffinatezza tecnica e i tempi di lavoro che si prolungano immemori di sé, in una rielaborazione instancabile che è spia di un anelito all'infinito. In molte opere, e certamente in quelle qui presentate, traspare un rispetto che chiede partecipazione. O almeno pensoso silenzio. Ballabio non dissimula il suo operare sui materiali, ma non li trasfigura mai totalmente. Essi rimangono ben riconoscibili in una ri-creazione che non giunge a de-creare. La pietra resta pietra, e soprattutto il legno rimane legno. Addirittura lascia ancora intravedere il tronco che è stato. Anche per questo, forse, siamo lontani dalla "figura". Anzi, le caratteristiche dei materiali - venature, nodi, perfino la forma originaria - vengono in parte assecondate. Nobilitate ad esprimere altro, certamente, ma nel rispetto di quello che sono. Intendiamoci. Lo scultore non propone alla nostra venerazione una qualche Natura, offrendocene schegge monumentalizzate. L'intervento dello spirito umano è ovunque, preciso e semplificato al prezzo di un estenuante meditare. Il taglio, il colore, l'inserto di carta giapponese che "pietrifica" il legno... Eppure non c'è la violenza che trasmuta e cancella l'origine, riducendo la materia a elemento, a puro materiale da costruzione. Si avverte piuttosto pìetas, che accoglie, recupera e restituisce il meglio di ciò che manipola. Ma senza derive mistiche di stampo naturalistico. Semmai è cura, che lascia ancora trasparire l'antica vita e la accoglie in dono. Portandola però a quella suprema destinazione che fa trasparire l'origine, allusa dall'infinito rimando che gli spazi, i moduli e le sequenze intenzionano. Un numero ritorna abbastanza spesso perché sia notato. Mi pare sia il Due, il numero della relazione. Nella simmetria della coppia (o del quadrato), nel ritmo della sequenza, lo spazio spacca-separa-tiene in tensione, muto invito alla vita e rimando al Grembo silenzioso che l'ha generata. Massimo offre agli occhi intuizioni di "gioia" nel dramma di una sospensione della superficialità insieme inauditamente forte e maestosamente pacata. Per quanto possa sembrare impossibile, vorrebbe... sussurrare la possibilità dell'amore.

Luca Moscatelli

 

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