Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo

Massimo Ballabio
Fluidità

Picnic sul ciglio della strada per Canzo

È d'uso pensare che chi faccia la presentazione ad un artista ne sappia, riguardo la storia dell'arte, più dell'artista stesso. Non sempre è così. La mia conoscenza arruffata, approssimativa ed entusiasta dell'arte non vale un'unghia di ciò che Massimo Ballabio ha imparato della creatività altrui e rivissuto poi sulla sua pelle; ma la vita si accompagna spesso a circostanze che con la logica, almeno umana, poco hanno a che fare. Per chi ha troppo assimilato, cercare di perseguire l'originalità diventa faccenda lunga ed impervia. Quanta disciplina occorre per trovare una propria folle strada, oltre quell'artigianato che tanta arte contemporanea produce: manufatti dignitosi, tutta forma e niente anima. Se poi la scelta di operare sposa i modi nobili e cerebrali dell'astrazione, allora la questione risulta ancora più ardua. Si devono dimenticare le gabbie degli apprendimenti scolastici, nascondere le geometrie rigide della progettualità, inebetirsi con la ritualità faticosa del lavoro fisico. Le vie del rigore sono gratificanti da percorrere per il creativo, danno piaceri unici e irripetibili (lo so, perché nella scrittura le ho provate anch'io e ancora il ricordo mi attanaglia le viscere), ma sono vie solitarie, di ascesi, e anche da esse è necessario affrancarsi. Parecchi scultori sono soliti riumanizzarsi facendosi travolgere da un affetto quasi commovente per i materiali che vanno di volta in volta a lavorare: ne conoscono con precisione i nomi, le caratteristiche organolettiche, li amano prima ancora che con le mani con le papille gustative come fossero delizie di cui nutrirsi. Massimo - che in questo non è da meno - li immagazzina, ne contempla le venature, li accarezza, li seziona, li raschia e li liscia, li sabbia, li imbeve con liquidi, li graffita e li graffia, li acida, passa ore e ore chino su pietre e legni. Mette in moto un universo tecnologico da laboratorio d'alchimista: argani, compressori, trapani, martelli pneumatici, levigatrici… Nel suo laboratorio, posto sul ciglio di una strada provinciale e reso tremolante dal passaggio periodico della ferrovia, con una macchia d'alberi e il Lambro - ancora fiume e non cloaca - alle spalle, mi immergo in un mondo abitato dall'azione meccanica. E per la prima volta non trovo tutto ciò irritante, come se il mio essere intimamente antimoderno si lasciasse piacevolmente corrompere dal fascino infantile di attrezzi, macchinari, gesti sapienti produttori di oggetti "utili" e non in agitazione perenne per violentare impunemente la natura e trasformare la nostra vita in un magazzino triste di cose insensate. In quel laboratorio non lustro, non robotizzato, ma ugualmente pulito e ordinato, con una città-regione lasciata ai margini, dall'aria infetta, dal traffico caotico e dalla gestione allegra del potere, mi sento lo stalker protagonista del romanzo dei fratelli Stugatzky, da cui ho mutuato il titolo di questo breve intervento. In un territorio visitato dagli dei (o erano extraterrestri?) recupero oggetti di una tecnologia che non conosco, probabilmente dall'uso pure miracolistico ma a me sconosciuto. Ne traggo il necessario per seguitare a vivere con dignitosa e leggera presenza. È bello il vuoto smisurato ed emozionante del silenzio, ma è reso tale solo dall'incontro con amici che ti mostrano esistenze inimmaginabili e riossigenanti. Ricordiamoci sempre che la capacità speculativa di cui ci sentiamo dotati, spesso non arriva oltre la punta del nostro naso.

Giampaolo Mascheroni

 

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