Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo

Massimo Ballabio
Fluidità

Fluidità

Il tempo trascolora nell'avvicendarsi di luce e oscurità ai confini della notte; questo pare accadere all'infinito, mentre le nubi talvolta invadono fin nel profondo la sostanza cerulea che ci avvolge. Quotidianamente spuntiamo i giorni sul calendario, ne percepiamo la successione o ne computiamo la precisa durata accumulando ore, mentre la nostra vita si snoda segmentata, assediata da scadenze e impegni. Eppure mentre le nostre emozioni si inerpicano faticosamente o franano, inattese, in gole separate da crinali di un paesaggio mutevole, tutto fluisce, marea instancabile, ignara dei nostri destini quanto di questi sostanza. Talvolta, immobili, sulla soglia del riposo notturno o, quando il primo battito di ciglia sta per reintrodurci nello stato di veglia, per un brevissimo lunghissimo istante cogliamo l'ineffabilità della nostra natura. Accade allora che la fragilità sonora dei nostri pensieri trovi pace e vigore accordandosi al ritmo del fiume della vita, fondendo estaticamente risveglio e incantamento. Il sogno rimanda un riflesso fluido delle geometrie diurne mentre il rovesciamento dello sguardo proietta l'oscurità della notte nella profondità dell'anima. Secondo la suggestività del linguaggio alchemico, si tratta di una nigredo, un annullamento apparente di ciò che è manifesto nell'abisso da cui, una volta riportata allo stato di latenza, scaturirà nuovamente la luce, l'energia, come l'universo dalle profondità cosmiche all'inizio del tempo. Percorrere il tempo e lo spazio in modo lineare sono prerogative della condizione di veglia, ne siamo convinti anche se non ne comprendiamo a fondo il perché. Farlo in modo asimmetrico lo è del sogno. Anche una terza via però è possibile, per mezzo dell'estro artistico che dall'etimo biologico trasfonde l'energia naturale nell'invenzione intellettuale. Massimo Ballabio penetra la profondità delle acque genitrici, vi intride i legni che immerge fisicamente nel nero aromatico del petrolio; trasforma l'oleosità bituminosa del liquido in un primo strato di quella veste simbolica che poi prosegue a formare sedimentando la lucentezza della grafite e l'opacità traslucida della carta. Si tratta per lui, e anche per noi che rileggiamo l'opera compiuta, di un fitto lavorio, di una continuità tattile operata sovrapponendo con lentezza geologica i materiali, reiterando all'infinito piccoli gesti. Ogni opera, così compiuta, conserva e rimanda in immagine un'eco silenziosa e profonda dell'azione creatrice che ha voluto permearla. Risvegliando le fibre della materia vegetale alla ricerca della vita che l'ha generata, Massimo Ballabio restituisce alla vista una corporeità opaca, olfattiva, quanto diafana; piantuma un giardino oscuro che, nel respiro della materia trova la propria luce. La mimesi sonora della linfa arborea nello scorrere della mina di grafite sulla superficie del tronco; il trasfondersi della mobilità dell'ombra delle fronde in quella della trasparenza delle carte applicate, costituiscono testimonianza fisica della fluidità del tempo, di quella fluidità di cui nulla sappiamo benché senza sosta se ne cerchi la sorgente.

Michele Caldarelli

 

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