Architetture da camera
di: Michele Caldarelli
Conoscere le cose, questo ce lo insegna la mente razionale,
ci conduce a destrutturarne la natura/corpo, come quando da piccoli,
desiderosi di penetrare il mondo degli adulti, ne smontavamo i meccanismi;
prima distruggendo i nostri stessi giocattoli, poi quant'altro capitasse
a tiro. Conoscere noi stessi percorre una via del tutto simile, secondo
la psicologia moderna e ugualmente motivano tutte le discipline scientifiche,
scomponendo il corpo umano piuttosto che quello dell'universo. In modo
analogo, l'architettura e ancor più l'ingegneria, dettano troppo
spesso le regole dello studio dei materiali e del loro impiego. Nonostante
tutta l'attuale potenzialità dell'high-tech, resta ancora del
tutto faticoso abbandonare il modello progettuale fondato sulla gravità
dei corpi... mentre sarebbe salutare ricordarci, con tutte le conseguenze
del caso, di come la Terra, nostra genitrice, altro non sia che una
navicella galleggiante nell'infinità del cosmo, recuperando,
per fare un esempio paradigmatico, tutta la potenza del pensiero di
R.Buckminster Fuller. Personaggio, questi, che quasi tutti conosciamo
per la rivoluzionaria invenzione della cupola geodetica, piuttosto che
per il fatto di essere stato chiamato ad Harvard come docente di poesia.
Vorrei a questo punto rivoluzionare, o meglio verificare/misurare con
una piccola spedizione di antropologia affettiva lo spazio vitale di
Clemente Tajana, quell'area domestica, singolare giardino cartesiano
abitato dalle sue sculture (creature?)... architetture da camera. Alle
tre direttrici canoniche di questo giardino/laboratorio, costituite
dalle xyz della corporeità evidente, ne va aggiunta una quarta
dalla doppia natura temporale: testimone del divenire quotidiano e dell'eternità
del mito. L'invenzione plastica del disegno di Le Corbusier, l'intrigante
gioco di qualche grillo gotico e il trasformismo vegetale barocco hanno
trovato comune rifugio nella calma domestica di questo ingegnere convinto.
Un ingegnere coerente e rigoroso quanto sognatore... capace di restituire
al progetto plastico tutta l'energia del possibile, pur nel rispetto
dei materiali e della natura degli oggetti. Tajana disassembla elementi
comuni del paesaggio casalingo: perlopiù seggiole e sedili vari,
riaccomodandone le membra secondo linee di forza inaspettate, rispettandone
le sagome e intervenendo il minimo necessario per assecondarne le evidenti
vocazioni zoomorfe da lui intraviste. Manipola la sostanza degli oggetti,
accosta elementi eterogenei, recupera pure, sic et simpliciter, attaccapanni,
attrezzi da cucina e da muratore, un bastone da passeggio o quant'altro
in disuso trovi abbandonato. Ne articola le parti come in una danza
elegante, sempre con mano gentile e intento liberatorio; non violenta
la materia ma ne asseconda l'anima assopita.
Recupera ed evidenzia la natura delle ombre della sera, colte in tutta
la loro transitorietà ed evanescenza proiettata sulle pareti,
e la rende corporea realizzando sculture cariche di energia vitale.
Mi è capitato per la prima volta di vederne alcune, affastellate
fra le piante del suo terrazzo, come in un serraglio esotico e, forse
suggestionato dal clima che ha provocato qualche inatteso cigolio, mi
è sembrato quasi di udirne il chiacchiericcio.
Michele Caldarelli - ottobre 2003
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