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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c 22100 Como
su quel sasso c'era scritto... c'era scritto su quel sasso

mostra tematica interdisciplinare
23 ottobre - 18 novembre 2004

Pietro Diana
Il castello del racconto - 1965
acquaforte - cm. 50 x 35


 

Monoskhromos
di Rossana Bossaglia
(Testo di presentazione per la mostra di Pietro Diana al Museo Epper di Ascona nel 2001)

Quando ci si avvicina all'opera di un artista dal tratto perfettamente forbito attraverso il quale egli riesce a comunicarci tensioni interiori complesse e inquietanti, persino sfuggenti -com'è appunto il caso di Pietro Diana -, viene voglia di porsi alcune fondamentali domande: se è la perizia tecnica a consentirgli di penetrare in un universo di emozioni che parrebbero indicibili; o se, al contrario, è la spinta fantastica a condurre la mano verso un'eccezionale finezza di mestiere. Una domanda ingenua, se si vuole: chi sceglie la professione artistica sa che deve sviluppare una padronanza dei mezzi espressivi; e nel contempo, questa padronanza conduce sempre più e meglio verso l'indagine delle proprie emozioni. E' una sorta di reciprocità che coinvolge in particolare la produzione grafica: acquaforte, acquatinta, puntasecca comportano una sicurezza di segno cui non sono concesse sbavature; e concentrano le emozioni in uno spazio breve, insieme limpido e intenso. Inoltre, alle spalle del mestiere sta una lunga vicenda culturale di cui gli incisori sono per massima parte perfettamente consapevoli: cioè, è difficile che un incisore, proprio e appunto perché originale e personalissimo, non senta dentro di se il mirabile patrimonio di una tradizione espressiva ed iconografica perdurante ormai da mezzo millennio. Pietro Diana ora ricapitola il proprio percorso di incisore, allineando opere prodotte da11965; per ovvie ragioni di godibilità da parte del pubblico, non raggruppa le opere esposte in una precisa sequenza cronologica, ma per temi; temi, peraltro, affini tra di loro, tutti permeati da un senso drammatico della vita e della storia; ma che si collegano di volta in volta a episodi reali o a tensioni fantastiche. L'esordio è caratterizzato dalla prevalenza del motivo dei mostri: essi rappresentano a un tempo la violenza e la crudeltà che ci minacciano dall'esterno e l'oscuro demoniaco che è dentro di noi. Il bianco e il nero, quando è governato dalla qualità creativa dell'artista, è particolarmente adatto a queste tematiche; e per tornare all'argomento delle suggestioni storiche, fra tutti i grandi incisori del passato è certamente Goya il potente ispiratore di Pietro Diana. A Goya, peraltro, si ricollegano anche i temi provenienti dalla letteratura: è sempre un grande spagnolo, questa volta poeta, - Garcia Lorca - cui Pietro Diana si rifà esplicitamente nella serie dedicata alla "Canzone della morte": e siamo negli anni Sessanta. Se vogliamo procedere in senso cronologico possiamo sottolineare che a poco a poco la violenza mostruosa si stempera, lasciando spazio a un'ispirazione sempre drammatica ma meno pessimistica; il confronto con le brutalità e le torture del mondo spinge l'artista verso stimoli propositivi. Siamo alla fine degli anni Settanta e spesso le suggestive immagini realizzate dall'artista si fanno libere e sciolte, le figure svettano nei cieli: le ali che si librano possono anche raffigurare pericoli incombenti ma più spesso una volontà di liberazione e di respiro spaziale. Ed ecco che nell'iconografia di Diana entra il tema della civetta, il quale diverrà pressoché emblematico della sua produzione: la civetta uccello notturno, legato a simbologie inquietanti; ma, appunto, animale che vede nella notte, che va dunque oltre il limite dell'immediato conoscibile: nel 1979 Diana realizza il suo stupefacente autoritratto dal complesso titolo - e complesso significato -: "Piepolitrofemo", dove il suo volto si impagina con quello della civetta in primo piano. se vogliamo indicare alcune modifiche, insieme tematiche e stilistiche, nell'attività più recente dell'artista, possiamo sottolineare un progressivo minor interesse per le raffigurazioni descrittive o narrative, un farsi più leggero e sottile del segno, con immagini che paiono percorse da un respiro arioso, in luminosi palpiti d'ali. A dimostrazione che la creatività è sempre in moto e che un artista di questa sapienza e ricchezza di tensione interiore non si appaga mai dei propri risultati. Nello stesso tempo a dimostrazione che è sempre se stesso. Chiuso nel suo antro magico, curvo sulle lastre metalliche dove traduce ideazioni grafiche già suggestive nei disegni ma in via di farsi emblematiche, Pietro Diana interpreta il ruolo dell'artista come di colui che è in grado di formulare e trasmettere grandi temi, etici o esistenziali, con impeccabile e suggestiva potenza, anche nel breve spazio di una carta stampata. Lo riconosciamo ogni volta ma ogni volta siamo sorpresi della sua respirante fantasia.

Pietro Diana - note biografiche

Nel mondo della tecnica dell'incisione, il nome di Pietro Diana è certamente ben conosciuto, se non altro grazie alle schiere di allievi che ha formato all'interno dell'Accademia di Belle Arti di Brera. Qui, dopo essersi lui stesso diplomato nel 1954, ha insegnato questa materia dal 1958 come assistente e dal 1976 come titolare della Prima Cattedra fino al 1997. Una cinquantina di mostre personali lo hanno visto protagonista, in questi stessi anni, sia in Italia che all'estero, e non poche collezioni di rilievo posseggono sue opere: dalla Raccolta Bertarelli a quella dei Musei Vaticani o quella dell'Accademia di Brera stessa.

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