Che si parli di evasione dal quotidiano o di immersione nell'impegno
professionale, il viaggio, nella sua accezione simbolica, è ormai
per tutti mutato in surrogato della vera e unica avventura che
realmente si possa sperimentare. Una avventura chiamata vita, che
apparentemente ricomincia al farsi del mattino, ogni giorno, al ritmo
del cuore, abbandonando i confini della notte, stemperando il sogno
nella lucidità diurna. La meta è soprattutto luogo mentale e,
ossimoro enigmatico, sta nel configurarsi del corpo, nel suo divenire
rapportandosi al progetto della mente. La follia frenetica e inconsulta del turista ad oltranza come
l'impegno workaholic manageriale rivelano un esploratore-narciso che
ogni tanto non torna, divenuto prigioniero di trasferimenti
intermodali, tradito dalla sua stessa pianificazione di
trasferimento, accurata quanto incurante dell'imprevisto. Eppure, il
soggetto paradigmatico di queste considerazioni, rincorre sempre
l'avventura, sia essa intesa come progetto diversivo quanto impegno
di carriera. Svestita dell'etimologia che la categorizza come
accidentale, risulta così una realtà necessitante, memoria di una
volontà di scoperta che, con i luoghi e i viaggi reali, ha un
rapporto marginale, di proiezione simbolica quanto con uno spot
pubblicitario e, non è un caso se qualche storico della filibusta ha
individuato nel pirata il prototipo manageriale contemporaneo. Fra andata e ritorno, la meta del “viaggio avventuroso” è
caratterizzata da una localizzazione imprecisabile, come luogo
mentale; viaggio e meta si identificano fondendosi in una traslata
alchimia psicofisica. Una sindrome di corporeità, perniciosamente
mutata in culto della stessa, ci fa credere di poter sfuggire al
”peso” che ci affanna, sintomo del destino mortale, viaggiando
magari in volo sfidando anche la forza di gravità. Ma, come si usa
dire, bisognerebbe prendere il toro per le corna e, novelli eroi
teseici, entrare nel labirinto del corpo poiché il vero “altrove”
imperscrutabile che il mito insegna si colloca proprio là nel
“palazzo delle viscere”. Gli aruspici ben ne conoscevano il
carattere e, dalle circonvoluzioni o dalla struttura morfologica
delle interiora sacrificali, predicevano il futuro ai postulanti.
Conosciamo la qualità analogica di ogni magia divinatoria ma ciò
non toglie valore al concetto centrale: il destino, che l'eroe ha da
dipanare come il filo d'Arianna, sta nel configurasi del corpo, nel
rapportarsi della mente al proprio contenitore del quale la materia
bruta è matrice costituente. In realtà si tratta di un eterno conflitto, irrisolvibile, come
spiega ed enigmaticamente illustra per immagini figurate l'alchimia;
gli estremi si confondono e il cacciatore può diventare preda. Dal momento della nascita ognuno di noi si trova nel labirinto della
propria condizione d'esistenza all'interno della quale il movimento
costituisce per tutti progetto di sopravvivenza. Detto ciò si può
intravedere meglio, vorrei ribadire il concetto, come il viaggio
avventuroso, vissuto soggettivamente o come racconto, per interposta
persona in ambito letterario o cinematografico, costituisca surrogato
della vera e unica avventura data dalla vita. Ogni avventura di
viaggio funge da esorcismo edulcorante dell'esistenza, temibilmente e
irrevocabilmente volta alla morte; vi si sostituisce l'idea portante
ed evocatrice del labirinto, sperimentando un viaggio-passaggio di
ispirazione escatologica. Laddove, eroi teseici, si vorrà penetrare il mistero e scendere fino
in fondo al labirinto “signum contradictionis” come protagonisti
dell'"arte di domandarci” starà la possibilità del
capovolgimento dell'abisso. Si sa quanto sia difficoltoso il
mantenimento delle giuste distanze dalla mente e dal corpo, come
nella navigazione fra Scilla e Cariddi, e il fiorire delle religioni
come della psicoterapia selvaggia ne sono sintomo e guida, talvolta e
purtroppo plagianti. Detto ciò sarà bene per molti intraprendere
una buona navigazione verso le “isole felici” attraverso la
pratica dell'arte, mimesi eccellente ed espressione fondamentale
della vita e della natura. La danza, il canto e il teatro o ancora la pittura e la scultura
possono farci riscoprire, sotto nuova veste, i valori delle antiche
ritualità coreutiche o dell'esperienza alchemica, presunto
pellegrinaggio, sicuramente vissuta unicamente fra le pareti
domestiche anche dall'inquieto alchimista Nicolas Flamel; l'altrove
del corpo è sempre qui e ovunque dentro di noi e l'avventura
ricomincia ogni giorno al ritmo del cuore e del respiro. Di viaggi e arrembaggi si popola dunque instancabilmente l'esperienza
di tutti i giorni, facendo si che nella storia della navigazione e
della pirateria si possa riflettere, e paradossalmente sublimare,
l'essenza del quotidiano, facendoci divertire e sorridere delle
mirabolanti avventure dei corsari, realtà storicamente complementari
ai viaggi di esplorazione e non di rado contaminanti degli stessi,
come testimoniano le imprese di conquista ed espansione territoriale
di ogni tempo. Le stesse nuvole, eternamente mutevoli, ne accompagnano e ne nutrono
la trasformazione, il concatenarsi degli eventi, mentre, nelle pagine
a seguire, testimoniano l'espressione artistica di Giampiero
Reverberi, dando continuità all'esperienza di Come le Nuvole,
un'avventura interdisciplinare avviata nel 2013 con un convegno in
argomento.
Michele Caldarelli
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