Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'arte "Il Salotto" Via Carloni 5/c - 22100 Como Italia telefono 031/303670
mostra numero 732 – dal 3 aprile al 25 maggio 2004

 

Amilcare Rambelli

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Diceva Enrico Crispolti, nel catalogo della mostra di "Alternative Attuali 2, a proposito di Amilcare Rambelli: "Se della Natura è decaduta la tradizionale immagine paesistica, resta quanto mai viva quella dell’ispezione organica,del vitalismo dell’espansione embrionalee, dell’articolarsi di gangli e trame, del peso dell’estensione di una densità corporea primaria, in una vitalità energetica nell’atto di diramarsi ed espandersi". Due anni dopo, nel 1967, lo stesso Crispolti, in un’ottima presentazione delle opere di Rambelli scriveva altrettanto acutamente che "quelle piaghe non interrompono il ciclo di natura per imporre il grido d’una profonda lesione esistenziale (lo scacco d’una deizione ineluttabile), non sono ferite bensì l’aprirsi naturale di tessuti organici, come il fendersi d’una placenta, d’un guscio, per accedere ad una dimensione ulteriore di respiro e vitalità organica". E’ interessante notare come egli avesse acutamente centrato il problema di una certa scultura nel passaggio da un naturalismo ad un organcismo, per cogliere subito dopo quell’ottimismo di base della ricerca di Rambelli, che lo pone supervisore della propria ricerca con un rigore del tutto scentifico e al tempo stesso gli permette, senza forzature drammatiche, di seguire l’evoluzione delle proprie forme in pulsione dinamica. Questi due atteggiamenti coesistenti nell’opera di Rambelli sono venuti evolvendosi insieme così strettamente da non più potersi disgiungere il simbolo generato dall’idea primaria e l’ambiente che presiedeva al compito di salvaguardarlo e proteggerlo. Nel periodo intorno al 1967 Rambelli, scaturito da un ambito ancora per certi versi naturalistico e ancora intriso di simbolismo, aveva moralisticamente accentuatoi la nascita di un’architettura lucente che posava le proprie basi sull’agglomerato viscerale che l’aveva generata, quasi una presa di coscienza sociale, al limite, che il grattacielo genera la bidonville. Fu a questo proposito che avevo cercato di definirlo il più sinteticamente possibile in queste poche righe che mi pare valga la pena di citare, "Amilcare Rambelli alza contro il cielo uno dei suoi strutturati graticci, la cui base aerea è formata dai materiali grezzi o di scarto, che li hanno costituiti nella loro interezza e purezza funzionali. La scansione architettonica delle strutture è continuamente riportata al fatto, alla realtà precostitutiva della macchina, così come il pensiero è accompagnato nella macchina umana dall’attività del simpatico, il gesto dell’attività viscerale. Un monumento quindi profondamente simbolico, il "double face" dell’operazione costruttiva, con una partecipazione che si qualifica per la sua coscienza intensamente morale". Per i lavori di quest’ultimo anno invece si è attuata veramente ua sintesi, in quanto Rambelli è riuscito a proporci, ad attuare insieme un tessuto ambientale che andasse sviluppandosi di pari passo a quell’embrione vitaler che aveva salvato e che a sua volta aveva generato le forme attuali per lunga evoluzione; per cui al fatto eversore di una realtà ambientale che stravolgeva un’idea vitale primaria si è venuta sostituendo una realtà ambientale che preserva "in nuce" il nucleo vitale primario, che l’aveva generata come civiltà strutturata nel corso dei millenni. Ho parlato prima di un motivo stravolgente ed eversore, che mi pare si possa iscrivere in una certa negazione di origine dadaista: la nobiltà, il pregio stesso dei materiali usati, come il bronzo, conferiva a tutta l’opera un sapore di ironia, quasi a consegnarci intatto nel tempo il goffo tentativo di due forze, una naturale, l’altra razionale, di sopraffarsi ed eludersi a vicenda. Per quanto riguarda invece la ricca e bella serie di modelli-progetti realizzati nel 1969, mi sembra che il discorso sia ben altrimenti diverso e originalmente nuovo addirittura, cioè che vengano ad associarsi l’accettazione di una realtà ormai attuatasi anche per mezzo del new-dada, - e ne è la prova il riscatto vivamente operante nel tessuto dell’opera dei materiali nuovi - con la ricerca positiva aperta, impressa da certi ritorni felici di costruttivismo, che fanno sì che i modelli diventino, ipso facto, anche per la propria intercambiabilità dinamica, dei progetti strepitosi, usufruibili in una vasta gamma di scienze, che può andare dalla meccanica all’architettura. A questo punto vorrei ricordare una proposizione tratta dal Manifesto realista di Gabo e Pevsner, in cui erano contenuti i principi del costruttivismo: "Per interpretare la realtà della vita, l’arte deve assere basata su due elementi fondamentali: spazio e tempo. Il volume non è l’unico concetto dello spazio. Elementi critici e dinamici devono essere usati per esprimere la vera natura del tempo, i ritmi statici non sono più sufficienti. L’arte non deve essere più imitativa, ma deve cercare nuove forme". Ora, se si esaminerà tutta la serie di modelli-progetti qui esposti e le opere che ne sono più chiaramente derivate e si presterà per un attimo attenzione alla giustezza dei titoli, siano essi "ispezione nella memoria", "attimo di riflesssione", "modello riassuntivo con segni di appunto". non può sfuggire l’esistenza di un linguaggio costruttivista, ma privato di tutto il meccanicismo formale di cui poteva infatuarsi ed enfatizzarsi il movimento al principio del secolo, nell’ardore della scoperta. E’ invece inutile dire come Amilcare Rambelli sia arrivato a questi esiti senza sacrificare per nulla il nucleo essenziale della propria ricerca. Le sue doti confermate di proporci una specularità che non oltrepassi il ritmo del tempo e che sappia continuamente verificarsi per mezzo di "oculari" che permettano un’indagine nella memoria, creano un clima per operare in una realtà circoscritta e ottimista. Soprattutto ci propongono i progetti di un edificio dell’avvenire , le cui funzioni primarie sono la salvaguardia di quel germe vitale, pulsante e pensante, che Rambelli ha esteriorizzato come grumo di materia inerme e continuamente minacciata e che altro non è se non una riproposta valida e drammatica dell’immagine stessa dell’uomo.

Aldo Passoni 1970

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