Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'arte "Il Salotto" Via Carloni 5/c - 22100 Como Italia telefono 031/303670
mostra numero 732 – dal 3 aprile al 25 maggio 2004

 

Amilcare Rambelli

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Certo sono finiti i tempi delle illusioni positivistiche; il Progresso non è più il mito portato sugli altari dalle generazioni ottocentesche, messianicamente esaltato fra gli scenari babilonesi delle Esposizioni Universali. La maschera è caduta, la realtà si è dimostrata più amara. Cinquanta e più anni di storia hanno disincantato un po’ tutti. Nell’insofferenza di una civiltà dominata dalla ideologia utilitaria, l’uomo è stato però qualche volta troppo severo nelle sue accuse contro l’industria. Quel che i padri, del resto assai ingenuamente, avevano associato al concetto di Bene, i figli hanno troppo spesso identificato nel concetto di Male. Alienazione, incomunicabilità e via di seguito, tutte le malattie dell’uomo moderno - compresa la disperazione, che Kierkengaard aveva definito la "malattia mortale" - venivano fatte risalire per lo più al nuovo Moloch. Era questo, in definitiva, un atteggiamento di comodo, e un modo anche di dimenticare le individue responsabilità. Un atteggiamento vano, dopotutto, dal momento che non teneva conto della realtà esterna, impossibile ad essere mutata. Fu merito di una breve "élite" d’avanguardia essersi impegnata in un diverso rapporto nei confronti dell’Industria, scavalcando ogni posizione manichea. Questa "élite" aveva compreso ch’era scattato il tempo per un incontro spregiudicato e attivo. L’azione si rivelò di estrema importanza. Lacerò le vecchie mitologie, annientò assurde contrapposizioni, disciolse pericolose incrostazioni, lumeggiò la stessa funzione dell’Industria nel contesto sociale. A questa azione, non pochi artisti recarono il proprio contributo. A tutto questo vien fatto di pensare osservando ilpadiglione della Manifattura Ceramica Pozzi alla Fiera di Milano, il quale s’impernia sulla enorme scultura abitabile progettata ed eseguita da Amilcare Rambelli. Al di là dei propri valori e delle proprie significazioni, questa scultura si costituisce per davvero come il simbolo di un incontro avvenuto fra Arte e Industria. L’artista ha capito lo spirito e le funzioni dell’industrtia moderna, ed anche il suo potere di suggestione psichica, e l’industria, a sua volta, ha capito le esigenze dell’artista, e la facoltà che gli è propria di "rivelarla" sul piano formale. Rambelli, nel caso, ha saputo penetrare lo spirito particolare di una industria modernissima di impianti ma nel cui ambito all’uomo, più che alla macchina, è riservato un ruolo primario e, con esso, gli è garantita una misura umana. Da vari anni seguiamo l’agire di Rambelli, e non abbiamo avuto esitazioni nell’indicarlo come uno dei maggiori esponenti della giovane scultura italiana. Le sue opere dimostravano in modo palese che egli mai aveva smarrito la cognizione dell’uomo. Meglio sarebbe dire: la "cognizione del dolore". Nelle superfici tormentate da lacerazioni ed escrescenze, nei vuoti che improvvisi si aprivano come voragini, nel magnifico rifluire della luce di materie combuste, andava ordinandosi un linguaggio di alta qualità simbolica. Si trattava di un linguaggio che narrava una vicenda interiore, recuperata negli strati più profondi dell’io, ma proprio per questo autentica e persuasiva, illuminante un destino. Era quindi per certi versi scontato che Rambelli potesse pervenire a un esito positivo nell’opera realizzata per la Pozzi. In effetti egli non ha violentato sè stesso. Ha, più semplicemente, chiarito a sè stesso le modalità di un rapporto fra l’io e il mondo tecnologico. Un assunto al quale un uomo che sia vivo nel suo tempo non può abdicare. La scultura occupa l’intero spazio interno del padiglione. Contro il soffitto e il pavimento, entrambi di lucidissimo smagliante alluminio, questo poderoso congegno plastico lungo trentadue metri si situa, con il biancore del suo gesso, come una presenza terribile e, insieme, meravigliosa. Impostata su un incalzante concatenarsi di simboli, di emblemi e di forme allusive, essa non rappresenta, bensì significa un processo produttivo. Vi si scorgono forme che rammemorano piatti in lavrazione presso il tornio, lunghi nastri colossali, spirali enigmatiche. E, a conclusione, il complicato organismo - caratterizzato da una dinamica di spinte e controspinte, di percorsi lineari ondulati e di scatti repentini e acutissimi - si placa nella quiete di una grande conchiglia, così come l’antica basilica si concludeva gloriosamente nel bacinno absidale. E’ dunque la scultura che condiziona lo spazio, non viceversa. Ed è la scultura che impone l’itinerario al visitatore. Nel suo procedere spaziale incorpora l’abitacolo dei due uffici, e dentro gli uffici si modella sino al punto di trasformarsi in mobilio. La sua continuità è imponente e in pari tempo estremamente variata, tanto da imporre al visitatore più di una sosta per godere della molteplicità delle sue proposte formali. Dalle superfici traspaiono qua e là fotografie di figure umane: una scultura-casa, una scultura-paesaggio. O, se volete, una scultura-cosmo. Presenza terribile e meravigliosa nella sua imponenza, si diceva. Il visitatore può constatarlo. Ma constaterà altresì che terribile e meravigliosa è la stessa Industria. Non più deità laica ma nemmeno Moloch. Non più Paradiso, ma nemmeno Inferno, una realtà, piuttosto: umanizzata ed ancor più umanizzabile. Avere espresso tutto questo mediante una fantasia creativa fondata in prevalenza sulla evocazione simbolica, documenta ancora una volta le capacità di Rambelli.

Carlo Munari 1966

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