Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'arte "Il Salotto" Via Carloni 5/c - 22100 Como Italia telefono 031/303670
mostra numero 732 – dal 3 aprile al 25 maggio 2004

 

Amilcare Rambelli

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La scultura di Amilcare Rambelli è un esempio lucido e notevole di quelle ricerche cariche di problemi e di impegno con cui l’arte delle generazioni più recenti ha tentato una sua via autonoma da precedenti sistemazioni, sino a trovare un proprio ritmo e una propria esperienza poetica. Paradigmatica, e per varie ragioni esemplare, la ricerca di Rambelli segue da vicino ansieed attese, prefigura soluzioni, con la rara caparbietà di chi non abbandona il proprio oggetto sino a che tutte le conclusioni siano maturate, le ipotesi vagliate e i risultati acquisiti prima sul piano delle esperienze empiriche che delle intuizioni. Superata la tentazione monumentale da un lato, e la disgregazione informale da un altro, i due aspetti che si sono postulati di continuo sono la chiarificazione dei rapporti con la natura e la ricerca oggettuale. In ambedue i casi il problema non era di isolare in sè l’oggetto scolpito, ma di inserirlo in un suo ambiente: una situazione che colloca nei due casi in posizione tra loro eccentriche le risposte sia per la definizione di natura che di costruzione oggettiva, ma che le complica ponendole in stretta relazione tra loro. Posizioni dunque antitetiche: perchè natura va intesa come storia umana che si sviluppa e consuma nel prolungamento di un ritmo organico, senza soluzione di continuità, rispetto al tessuto fisiologico dello sviluppo naturale che ne è come il simbolo e la dimostrazione; mentre l’oggettualità indica una valutazione di ritmi costruttivi che sono specifici della sola scultura, che proprio da questa condizione di separazione trae significato ed esemplarità, in vista di un progetto, conscio o inconscio, di realtà o di conoscenza della realtà, che sconfigge la passività del destino insito in ogni storia, per svilupparsi in termini di volontà e non di patimento, di organizzazione anzichè di organicità. Ma posizioni per la loro stessa antipodia coincidenti: perchè in ambedue i casi esiste un problema di progettazione, del destino in evidenza di espressività figurale e dell’oggetto in pregnanza plastica, che finisce con l’essere in sede scultorea più complicata e complessa che non nella schematizzazione culturale, specie se si osserva che gli inizi degli anni sessanta sono caratterizzati da una sfiducia nell’integrazione dei due portati ( e ci vorrà un lungo lavoro per arrivarvi), l’uno derivato da una crisi di romanticismo soggettivista derivato dall’informale, l’altro da una radicalizzazione della sintassi costruttivista. Il risultato di un simile travaglio, come in talune simbologie di film di Antonioni, fu curiosamente alienante: non si giunse ad un volgersi di spalle tra organico e costruttivo, ma il discorso si trasferì sul piano della meditazione teorica senza rinunciare affatto alla radicalizzazione dei dati. Questo ragionamento, lungo ma schermatico, qui esposto di taglio, non si è, in realtà, mai spostato dal lavoro di Amilcare Rambelli, perchè è in questo coacervo di problemi che lo scutore frequenta la sua idea di scultura, ed è su questo sfondo che propone le sue soluzioni. Le cui prime risultanze risalgono alla personale del’62 alla milanese galleria Pater. E subito dopo, in un panorama della giovane scultura, sulla rivista "Aujourdhui", Crispolti annota: "Rambelli è molto legato a temi di materismo informale, nelle sue terracotte, che propongono, in una densità plastica abbastanza notevole, immagini del tutto embrionali". C’era, in realtà da aggiungere altro, almeno due situazioni già chiare ed evidenti sin dal ‘62: il tipo di partecipazione figurativa a quella embrionalità, di stretta adesione al fatto rappresentato, con una identificazione oggettiva priva di drammaticità o di elegia, indice di rilevamento, di constatazione; e il tempo del racconto, perchè racconti erano e restano i suoi lavori, per cui la crescita del processo organico è il tempo della osservazione ed esplorazione di Rambelli, il tempo del suo racconto, ancora. Il quale ultimo stava nella globalità di un particolare che ogni volta che vien rilevato reca con sè anche tutta la pressione del "resto" del mondo organico che dell’oggetto identificato è la foza motrice, non senza una certa agitazione emblematica: " nel senso più semplice e organico...(la realtà naturale contrapposta alla realtà sociologica dell’uomo contemporaneo)", come ancora scrive Crispolti. Ma ben presto la dialettica si arricchisce: non più tesa tra natura e condizione sociale dell’uomo, ma tra uomo e presenza dell’artificiale. Relitti artificiali, frammenti di macchina compaiono coì,verso il ‘64-65, immersi nel tessuto organico per fenderlo e spaccarlo e strozzarne il corso, aggrediti e incapsulati dalle evenienze fisiologiche al punto da rientrare, vinti, in quel paesaggio, vittorioso, seppure anchilosato, di fibre e strappi. Malgrado una certa concitazione simbolica, in Rambelli resta vero quell’estremo senso di controllo che ha l’immaginazione conoscitiva della sua poesia, quella "plastica controllata" di cui più tardi discorrerà Caramel, "non però controllata per un intervento determinante dell’autore, ma per l’affiorare di una misura naturale, consustanziale alla materia, dalla quale lo scultore riusciva ad emergerla". Ancora il tempo del racconto, che è quello del rilevamento di "una terrena verità d’origine", come lo stesso Rambelli definisce la sua scultura, ma complicato da una ricerca che si rivelerà più avanti: per ora è il simbolismo "contestativo" ad avere la meglio, la esibizione antitecnologica, con punte di non taciuto romanticismo, (il "paesaggio con rovine", o "di rovine", ad esempio). Ma proprio il modo sottile con cui il gioco dialettico è posto, il contrasto di due entità-forze, offre a Rambelli la soluzione. La macchina, cioè, è sì "l’altro", ma lo è nella misura in cui a forza si oppone forza, ad avvenimento avvenimento, e come nella sua dimensione di alterazione e contraddizione è anche chiarificazione dei processi organici nella misura in cui li obbliga a rivelarsi di fronte a un’opposizione e a cesure e non solo di fronte alla propria continuità. Rambelli comprende che storia non è destino, nè lo è la cronaca, ma è discontinuità, coabitazione di opposti, e che tale coabitazione non è lacerazione ma rilievo di diversa sostanzialità individualizzata in modi difformi. Quindi ora la sua ricerca è davvero dialettica, continuità-discontinuità, e non separazione: la contestazione verrà dopo la constatazione dei fatti. La forma organica è ottusa cristallizzazione se non può denunciarsi quale presenza di tutte le alterazioni che la concretano all’incontro con le sollecitazioni più svariate: un incontro che è anche rivelazione e conoscenza. Nascono così i lavori ultimi, di materiale inedito per Rambelli, vetri trasparenti, griglie, fili connettivi: quasi a segnare, da un lato lo spazio più vasto del puro evento (le scultutre inglobano il resto della faccia esposta, la dimensione dell’ambiente), dall’altro ilsenso di una continuità dei piani che espongono o ritraggono aggettano arretrano l’evidenza delle fasi dell’esperienza. E i bellissimi disegni di questi mesi esplorano un’ulteriore omologia tra macchina ed evento, la loro identità nell’occupare lo spazio e la loro coincidenza nel determinarsi nello spazio, e perciò nel tempo. Sono quasi emblemi, questi disegni, di tutto il lavoro di Rambelli: attentisimo alla tensione della presenza umana ma conscio del dovere di rilevare i dati prima di precipitarsi a conclusioni, pragmatico nella sua verità, ma assuefatto a vivere in una esperienza poetica sempre insopprimibile, anche se persuasivamente priva di dramma e di ogni elegia: concreta perchè reale.

Paolo Fossati 1969

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