Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'arte "Il Salotto" Via Carloni 5/c - 22100 Como Italia telefono 031/303670
mostra numero 732 – dal 3 aprile al 25 maggio 2004

 

Amilcare Rambelli

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Il "nuovo corso" della scultura di Amilcare Rambelli cominciò ad affacciarsi già in certe terracotte ed in certi bronzi del ‘65, ove apparvero forme prima inusate, quali ruote, cilindri ed assi nettamente squadrati, che presto si precisarono, rivelandosi poco a poco - attraverso una fase più cauta, in cui non era abbandonata la lievitante e corrosa modellazione delle opere precedenti - come dei veri e propri elementi meccanici, sempre più taglienti e dotati di una scattante rigidità, che richiese l’uso di materialio più duri e secchi della terracotta o dello stesso bronzo. Rambelli usciva allora da una lunga e validissima esperienza plastica nata dall’organicismo e dal matericismo informale, ma condotta senza sbavature, senza compiacimenti, ed anzi sempre sotto il segno di un controllo a suo modo rigoroso, derivante, come già ho avuto occasione di rilevare, non da un intervento determinante dell’autore, ma dall’affiorare di una misura naturale, consustanziale alla materia, che lo scultore riusciva a fare emergere. Caratteristica di quelle opere era la tendenza a chiudersi, attorno ad un ben definito nucleo centrale, in una quasi gelosa autosufficienza, entro cui, attraverso lenti movimenti dall’interno, si producevano lacerazioni e corrugamenti. La nuova fase portò Rambelli oltre i primitivi confini, a protendersi nello spazio con un’inedita articolazione, e quindi con nuove e più larghe possibilità operative. La forma potè dislocarsi secondo più direttrici, al di fuori di vincoli convenzionali, fino a coinvolgere l’ambiente e a divenire essa stessa ambiente. Col che Rambelli non abbandonava quelle matrici germinali cui aveva per tanto tempo rivolto l’attenzione: solo non le accettava più come unico polo di ricerca, inserendole invece in una dimensione aperta, dialettica, idonea a sviluppi non preconcetti, anche se, all’inizio,si sentì il peso di una troppo parziale contrapposizione tra informe e "formale" - rimandanti l’uno ad una supposta genuinità naturale, l’altro al mondo della tecnologia, della macchina -, contrapposizione che fece correre allo scultore il rischio - forse più nelle intenzioni che nei fatti - d’essere coinvolto (paradossalmente proprio mentre il suo discorso si faceva sempre più ramificato, con la scoperta di situazioni cariche di rapporti, dipendenze ed interazioni) nella condiscendenza per forzosi contenutismi, in fondo riassumibili nell’affermazione di un irriducibile contrasto tra un ipotizzato "bene naturale" ed un astratto "male artificiale": semplificazioni polemiche che possono sì assumere un significato positivamente eversivo, ed esser causa, in particolari momenti e concretandosi in stimolanti rifiuti globali, di veri salti qualitativi, ma solo a patto che non manchi quella necessaria radicalità che può esser data solo da una forte carica utopica, che non ammette mezze misure e cautele, e che proprio per questo provoca uno sconvolgimento nei meccanismi abituali: il che ben raramente avviene in un campo ambiguo come quello dell’arte, ove il rapporto con la "vita" è da sempre, facile esca a tutti gli equivoci, e dove - lo si è visto e lo si vede in tanta arte "povera" o, anche in tanta arte "politica" - lo slittare dal rifiuto al compiacimento più o meno sincero per il rifiuto stesso o,peggio, alla retorica o al manierato vagheggiamento di atti solo apparentemente "primari", sembra più che l’eccezione, la regola inevitabile, quando non si tratti addirittura di pura e semplice ipocrisia o malafede. Ad ogni modo presto, anche se la primitiva rigidità di contrapposizion sembrava venir ribadita, ed anzi a dispetto di siffatta esibita riaffermazione, la ricerca di Rambelli, quale è dato constatare nelle opere, superava nettamente ogni riduzione asseverativa. Il ricorrente grumo di materia informe che lo scultore proponeva come sibolo di una "naturalità vera" perdeva gradualmente la sua posizione di isolato ed esclusivo polo positivo, usciva dal limbo irreale in cui poteva averlo posto l’urgenza dell’impegno contestativo ed entrava, finalmente dialogante, finalmente attivo, nell’insieme. Rambelli, lo ha bene sottolineato Paolo Fossasti, aveva ormai compreso "che "storia è discontinuità", coabitazione di opposti, e che tale coabitazione non è lacerazione ma rilievo di diversa sostanzialità in modi difformi", per cui la sua ricerca era divenuta "davvero dialettica, continuità-discontinuità, e non separazione". Ed ecco che, se da un lato quel simbolo primigenio, lasciando per via tutta la sua volontaristica rilevanza, si arricchiva di nuove implicazioni, meno improbabili e generiche, divenendo piuttosto il riferimento a precedenti e non negate esperienze e modi espressivi (e infatti nelle ultime opere essoviene affiancato, o sostituito, da riporti fotografici di vecchi lavori, o di parti di essi, che con più flessibilità aderiscono alle nuove funzioni, offrendo un particolare spesso temporale); dall’altro si assisteva ad un progressivo ed autonomo espandersi di quelle strutture che prima erano solo contorno "esterno", costretto ad essere soprattutto un termine di rapporto, privo di una non riflessa vitalità. Esse sono proliferate audacemente, generando organismi singolari, vivi, e tali da costituire - riprendendo e sviluppando le intuizioini insite nella grandiosa scultura-edificio realizzata nel 1966 per il Padiglione Pozzi alla 44° Fiera di Milano - non solo un penetrante attacco all’accezione accademica e rinunciataria di "scultura" (diventando, in questo senso, anti-scultura), ma originali proposte per un’architettura dinamica e non avvilita in schemi abitudinari o di comodo. Da una posizione prevalentemente negatrice, Rambelli è così passato ad un ruolo esplicitamente costruttivo: senza rinunciare, tuttavia, alla sua incisività critica, che anzi ha trovato una direzione più ricca. Il "costruttivismo" che ora Rambelli difende è infatti turgido di polemica contro ogni declinazione formalistica ed astratta. Fondato sulla realtà e sui veri bisogni dell’uomo, innestatoo pragmaticamente in una dimensione temporale globale (che non escluda il passato, attivo attraverso la memoria), esso intende opporsi a qualsiasi integrazione e a qualsiasi imposizione esterna, ribadendo l’importanza d’una progettazione dotata insieme di concretezza e di profetica libertà.

Luciano Caramel 1970

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