Archivio Attivo Arte Contemporanea
http://www.caldarelli.it

Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo

Michelangelo Pizzarelli
"Paradisi"
una mostra ubiqua, con alcune considerazioni sul tema del giardino eterno

 a cura di
Michele Caldarelli


indicebiografia |  indice delle opere | homepage del sito | storia della galleria

INTRODUZIONE

Il mio, con Michelangelo Pizzarelli, è stato un incontro occasionale e uno dei tanti se vogliamo, ma del tutto particolare. Il caso, in virtù della aleatorietà che lo caratterizza, forma in modo ineluttabile ogni destino, ma sta a noi percorrerne il sentiero che si snoda sotto i nostri occhi lungo una interminabile sequenza di qui ed ora. Ecco, sì, i costì e i colà, dove il nostro sentiero della vita si biforca o si incrocia [1] con quelli altrui, costituiscono luogo e tempo di incontri privilegiati, assoluti, unici e irripetibili, che ricordano le singolari tortuosità dei viottoli in un giardino ideale quanto naturale. Mi piace pensare che con Michelangelo ci si sia incontrati appunto in un giardino e così in effetti è accaduto. Nessun luogo, come il giardino, meglio rispecchia il senso della vita, in tutta la sua floridità e caducità, satura di promesse e contemporaneamente carica di nostalgie, mostrando il germinare primaverile che inevitabilmente sarà consumato dopo l’estate al sopraggiungere della stagione fredda. Ma il giardino in cui ci siamo incontrati gode di un’aura di eternità e di una luce perenne che da un lato vive di reminiscenze letterarie e dall’altro di intimità domestiche quali sono i soggetti dei suoi dipinti. Ne è scaturita l’idea di intitolare “Paradisi” [2] questa presentazione del suo percorso artistico, evocando in parallelo la nostalgia del giardino dell'Eden e le prospettive visionarie della letteratura utopica. Caratteristica del Paradiso Terrestre, come narra, e asserisce di aver riscontrato de visu nel X sec. San Brandano, nella sua Navigatio, [3] è quella dell’eterna primavera totalmente deprivata dei disagi climatici, della ciclica oscurità notturna e di tutte le negatività del vivere comune. L’uomo, eu-topico per natura e necessità di sopravvivenza intellettuale, da sempre vive con disagio le infinite distopie quotidiane e coltiva la reminiscenza di un luogo e un tempo privilegiati che illo tempore erano vissuti serenamente, protetti da un alveo accogliente e sicuro come l’isola/atollo di Utopia [4] nel racconto di Tommaso Moro. Di questa Età dell’Oro [5] ne hanno scritto Platone come Esiodo e molta letteratura periegetica, con numerose ipotesi sulla esistenza delle Isole felici [6] o l’ubicazione del Giardino delle delizie. [7]
Dove fosse,
o sarebbe, ubicato il Paradiso Terrestre nessuno può dare testimonianza credibile mentre, considerandone la natura simbolica, un’ipotesi di ubiquità di questo Ortus deliciarum si fa strada suggerendoci la coesistenza di mondi antitetici quanto coincidenti nella medesima realtà. Continui slittamenti e imprevisti del vivere comune ne segnalano la compresenza, come se operando su una ipotetica leva di registro potessimo dirigere il nostro destino. Navigando, navigando come scriveva San Brandano arriveremo alla meta, perseguiremo il fine del navigare stesso, riconoscendo in ogni evento e con serenità la natura ultima delle cose.
D
obbiamo a tutti gli effetti, solcando il mare della vita, noi stessi fragili velieri, apportare continue correzioni di rotta, ora navigando sottovento, ora di bolina,
sempre con un occhio alla bussola della nostra integrità intellettuale.
I
motivi e modelli di ispirazione di Michelangelo Pizzarelli, caratterizzati da profondo aspetto affettivo e spirituale, fanno tesoro di questa integrità intellettuale mentre lui, con leggerezza, ci trasporta in un mondo di luce diffusa e di sospensione estatica. Nei suoi dipinti tutto è contemporaneamente reale e sognato, trasfondendo la quotidianità in una atmosfera onirica. Nulla di ciò che ritrae è completamente fisico o surreale, ma vive di una lucidità visionaria che immerge ogni cosa in un clima di serenità. Scevro da pregiudizi osserva ogni cosa con occhio infantile e la coglie come nuova, ricca di connotazioni inaspettate, ingenerando nell’osservatore una rinnovata curiosità dello sguardo. Un interno domestico, un albero con fanciulli, un’improbabile pipa antropomorfa in riva al mare, una esplorazione subacquea, nelle sue opere si fanno oggetti e atmosfere ludiche pregne dell’aspetto più dolce del Dadaismo coinvolgendoci in una lallazione narrativa che culla il nostro sentire. Ma si noti bene che nel caso di Michelangelo Pizzarelli si tratta di una pittura colta, totalmente priva di naiveté di comodo. La sua pittura eredita molteplici stilemi, benché si concretizzi in un linguaggio libero e autonomo. La sua pratica artistica mira ad una educazione alla visione individuando per noi e facendoci superare d’un balzo lo steccato principale della pittura, scardinando con dolcezza la fissità delle immagini, introducendoci alla sincronicità degli eventi, laddove i gesti e le pause del movimento convivono in un atto di sospensione. Ci aiuta a sfiorare gli oggetti d’attenzione e a porci in dolcissimo colloquio… da ogni anfratto della sua pittura la luce si propaga caratterizzando di una particolare dinamica di trasformazione ogni soggetto. Ecco, sì, Michelangelo Pizzarelli trasforma la gravità in leggerezza, la materia densa in chiara visione e viene da chiedersi se il suo operare artistico abbia affinità, condividendone l’affascinante mistero, con l’antica pratica alchemica ma, come raccomanda ogni scritto di questa disciplina, a questo punto conviene il silenzio.

Michele Caldarelli – gennaio 2021

NOTE

[1] Imperniato sul tema del destino, con tutte le implicazioni del caso, è ben conosciuto il racconto di Jorge Luis Borges “Il giardino dei sentieri che si biforcano” costituito da una parabola enigmatica il cui tema è il tempo, una sorta di libro/labirinto che riassume esemplarmente i temi cari allo scrittore argentino. Ts'ui Pen è l’autore dell’omonimo romanzo, contenuto nel racconto di Borges, e la sua è un'opera letteraria che cerca di descrivere tutti i possibili risultati di un evento, ognuno dei quali conduce a un'ulteriore moltiplicazione di conseguenze, in una continua "ramificazione" dei possibili futuri. Un’opera che, ai cultori delle discipline scientifiche, può ricordare le argomentazioni della Meccanica Quantistica. [torna al testo]

[2] Il termine italiano Paradiso, in inglese Paradise, in francese Paradis, in tedesco Paradies e in spagnolo Paraíso, deriva dal latino Paradīsus, e questo a sua volta dal greco Parádeisos. Ma la derivazione del termine si può far risalire, secondo alcuni specialisti, fino all'iranico Pairidaēza col significato di recinto, luogo recintato. Verosimilmente il significato originario della parola sta ad individuare quei giardini, privati e cintati, appannaggio dei sovrani dell'Impero achemenide. Tali Pairidaēza consistevano in una parte coltivata a giardino e in un'altra lasciata selvaggia, riserva di caccia per i re. Il termine, come lo si riscontra invece nella bibbia, ha il significato iniziale di frutteto, o bosco, che solo successivamente viene interpretato col significato di luogo di beatitudine celestiale e da qui deriva il mito biblico di Eden, il Paradiso Terrestre. In qualità di luogo lussureggiante, gradevole, assume anche significato di delizioso, appunto, giardino delle delizie[torna al testo]

[3] La “Navigatio Sancti Brendani” è un'opera anonima latina, tramandata da numerosi manoscritti fin dal X secolo ed è considerata un classico della periegetica medievale. [riportiamo una versione in antico veneziano digitalizzata da Archive.org  PDF 3.5Kb]
Brendano, abate benedettino irlandese visse nel VI secolo e si procurò fama di navigatore fondando numerosi monasteri sulle isole tra l'Irlanda e la Scozia. La leggenda, come contenuta nella Navigatio, lo tramandò descrivendolo alla testa di un gruppo di monaci, alla ricerca del Paradiso Terrestre (Terra repromissionis) situato su un'isola, da lui raggiunta dopo un tortuoso periplo disseminato di creature fantastiche.
L'opera è considerata tra le fonti di ispirazione della “Divina Commedia” di Dante e alcuni studiosi sostengono che la demonologia di Dante ne possa essere stata parzialmente tratta. In essa si parla, ad esempio, di angeli caduti, che Brendano trova sotto le spoglie di uccelli candidissimi, appollaiati sopra un albero nel Paradiso
[torna al testo]

[4] “Utopìa” fu scritta e pubblicata da Tommaso Moro nel 1516 col titolo latino “Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia”. Vi è descritto il viaggio immaginario del protagonista in una fittizia isola-repubblica, abitata da una società ideale, che ricalca “La Repubblica” di Platone. Nel libro si tratta di una nazione caratterizzata da etica filosofica e politica comunitaria ricalcando il sogno rinascimentale di una società pacifica dove è la cultura a dominare e a regolare la vita degli uomini.
Il titolo dell'opera, un neologismo coniato da Moro stesso, presenta un'ambiguità di fondo nell’offrirsi ad una doppia lettura, secondo la quale si sovrappongono due termini differenti: eu-topia ed ou-topia. Questa oscillazione interpretativa pone l’accento sulla natura propositiva di qualcosa di buono ed auspicabile quanto impossibile ed inesistente, ed è sicuramente voluto dall’autore che sulle ambiguità linguistiche gioca frequentemente chiamando Itlodeo, raccontatore di bugie, il protagonista, Ademo, senza popolo, il governante di Utopia, Amauroto, città nascosta, la capitale, Anidro, senz'acqua, il fiume di Utopia. Si tratta in verità, nel caso di Moro, dell’esposizione di una parabola rovesciata nell’intento di operare una profonda critica sociale nei confronti del proprio tempo. Un atteggiamento e un canovaccio letterario che avrebbe nel tempo ispirato una notevole quantità di scritti. 
[torna al testo]

[5] La mitografia classica ci tramanda come durante l'Età dell'Oro gli esseri umani vivessero senza bisogno di leggi, in armonia reciproca e senza la necessità di coltivare la terra poiché ogni genere di pianta cresceva spontaneamente. Il clima era eternamente primaverile e di conseguenza non c'era bisogno né di costruire case né di cercar riparo dalle intemperie.
Questa leggenda
comparve per la prima volta in Le opere e i giorni di Esiodo (VIII sec. a.C.). Esiodo vi descrive cronologicamente anche altre quattro ere che si sarebbero succedute dopo l’Età dell'Oro: quelle dell'Argento, del Bronzo, degli Eroi e del Ferro. Tale involuzione della condizione umana fu imposta da Zeus dopo che Pandora, con un ruolo simile a quello di Eva, aprì (così narra il mito) un otre nel quale erano segregati tutti i mali che durante l'Età dell'Oro erano sconosciuti dagli uomini. La leggenda nel tempo fu ripresa ampiamente; ne scrissero Platone inLa Repubblica”, Ovidio nelle “Metamorfosi” e nei tempi a venire influenzò tutta la letteratura utopica. [torna al testo]

[6] In “Le isole felici” Orazio propone all’assemblea dei propri concittadini una fuga verso le Isole dei Beati, di cui scrissero in molti da Sallustio, a Virgilio. Le Isole dei Beati o Fortunate sono isole individuabili nell'Oceano Atlantico e sono presenti nella letteratura classica sia in contesti mitici che in opere storiche o geografiche. Fin dai tempi di Claudio Tolomeo in poi si era sempre sostenuto che coincidessero con le Canarie.
Il mito, presente nella letteratura greca, probabilmente è anche derivato da racconti Fenici, le Isole dei Beati, a volte identificate con i Campi Elisi, sono isole dal clima dolce e dalla vegetazione lussureggiante che fornisce cibo senza che gli uomini abbiano bisogno di lavorare la terra. Gli dei, racconta la tradizione mitografica, destinano alcuni eroi a vivervi un'eterna vita felice. 
[torna al testo]

[7] Il “Giardino delle Delizie” è anche il titolo di un trittico a olio su tavola di Hieronymus Bosch, conservato nel Museo del Prado di Madrid. L'opera rappresenta numerose scene bibliche con lo scopo di descrivere la storia dell'umanità attraverso la dottrina cristiana medievale.
L’intricato mescolarsi di figure simboliche, in particolare nel pannello centrale, ha portato nel tempo a differenti interpretazioni: c’è chi crede che contenga un insegnamento morale per l'uomo e chi lo considera una veduta del Paradiso perduto. Nel XX secolo l'opera di Bosch visse un periodo d'oro, ispirando il panorama artistico. I primi surrealisti ne traslitterarono i contenuti simbolici e immaginifici connettendoli alle teorie psicanalitiche che allora si diffondevano e tanto permearono il loro movimento artistico. In particolare Joan Miró e Salvador Dalí ne rievocarono, trasformandolo, il linguaggio.
Entrambi conoscevano personalmente il Giardino delle Delizie avendolo ammirato nel Museo del Prado, e consideravano il pittore fiammingo come un vero e proprio maestro, anche se André Breton non lo incluse nel Manifesto Surrealista del 1924 al pari di autori quali Gustave Moreau, Georges Seurat e Paolo Uccello. [torna al testo]



indicebiografia |  indice delle opere | homepage del sito | storia della galleria


Il Copyright © relativo ai testi e alle immagini appartiene ai relativi autori per informazioni scrivete a
miccal@caldarelli.it