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Iconografia dell'invisibile

Calati nell'iperspazio delle emozioni, nella virtualità dell'immagine. Un impulso celebrale parte dagli occhi, viene trasmesso alla mente, poi codificato. Ma tutto ciò che si vede è soggettivo. L'emozione è una forma autonoma di coscienza, ha una propria intenzionalità e un proprio mondo di riferimento, analogo a quello dell'immaginazione. E' messaggio subliminale, troppo veloce per essere captato e assimilato. Eppure quante volte la nostra percezione ci ha proiettati in una situazione o di fronte a un panorama che avremmo vissuto o visto in un tempo progressivamente avanzato?
Luca Gaddini indaga proprio questa realtà soggettiva, variabile e indefinita, utilizzando il computer per trasferire le sue percezioni dal mondo virtuale direttamente sulla tela.
Siamo di fronte a una via reale per l'inconscio. Il processo che trasforma i pensieri in "fermo immagine emozionale" e che utilizza come materiali i "resti diurni", ricordi di situazioni, fatti e percezioni sperimentate nella vita. Un momento di "condensazione" e spostamento che deforma questi elementi in rapporto alle associazioni inconsce evocate da questi stessi resti, in modo tale cioè, che gli elementi possano essere rappresentati in immagini visive del contenuto manifesto. Le immagini così prodotte sono a loro volta sottoposte a un'elaborazione secondaria, che tende a rendere il più possibile sensato e coerente il risultato della ricerca.
"E' questa forzatura, il voler trovare a tutti i costi un senso alla propria emozione - dice Gaddini - che distrugge la percezione ma la rende fruibile a noi; e non è più la stessa cosa, non è elaborazione ma risultato logico deduttivo. Mi piace immaginare invece che ciò che elabora il cervello sia profondamente diverso da quello che vedono i nostri occhi. Come un disturbo formato da pulsazioni, onde e colori. Un codice che solo lui sa leggere e che necessita di una decodificazione per essere appreso dall'uomo".
Per questo Gaddini va oltre il leggibile, apre lentamente, delicatamente, il forziere delle emozioni umane, quelle da lui provate e rimaste informi, smaterializzate, prive di un'immagine nitida, sensazioni informali, ma forti abbastanza da lasciare un'impronta, da non dover cadere nell'oblio, nel dolce naufragare dei sentimenti. Questo fa sì che il soggetto si protegga dal disturbo costituito dall'affiorare di desideri e sentimenti inediti. Gaddini va ad esplorare l'uomo nel labirinto della sua anima, con la certezza che "l'occhio non vede allo stesso modo del cuore". Cerca nel pensiero quella quinta dimensione che consente ad ogni individualità di fruire dell'emozione e dell'immagine in maniera autonoma.
Gaddini gioca con le emozioni come un alchimista alle prese con sostanze vitali per l'essere umano che ne trae piacere ma può abusarne per cadere poi in uno stato di assuefazione emozionale. La capacità di provare emozioni è presente in varia misura nei diversi individui. Nel caso di una risposta eccessiva all'incontro con l'agente stimolatore, cui seguono emozioni violente, superiori al normale, si parla di iperemotività. E' un elemento principale e talvolta deformante del processo di apprendimento: la stabilità e irreversibilità di una conoscenza aumenta al crescere delle emozioni presenti nel momento conoscitivo.
La sua macchina che traduce un testo chiaro in testo cifrato e viceversa, come un crittografo, funziona come uno strumento di "democratizzazione dell'immagine prodotta dall'emozione", dalla passione, al dolore, dalla gioia fino all'aporia di sentimenti o dall'intossicazione di immagini cui siamo sottoposti quotidianamente.
Non è casuale che l'artista contrapponga "al bombardamento di immagini" che sta raggiungendo un livello di saturazione massimo, il "deserto", esplicitato sulle sue tele che rimandano, grazie alla sapiente gestione del disturbo e del colore, a quel senso di smarrimento, di disorientamento, nel quale anneghiamo come in una sorta di assuefazione ipnotica.
"Lascia che i tuoi occhi si muovano, seguendo il computer. I reticoli degli indicatori diventeranno verdi. Ricomincia da capo. La macchina registra quello che vedi , ma registra anche il modo in cui reagisce il tuo cervello, in risposta a quello che vedono i tuoi occhi. Registra il fenomeno biochimico della vista e più tu ti concentri, più chiaramente il computer può leggere e trasmettere la tua esperienza visiva" Nel film "Fino alla fine del mondo" il regista Win Wenders nel 1990 ipotizzava l'invenzione di una macchina che permettesse ai ciechi di percepire per mezzo delle sensazioni forme fino ad allora misteriose, ignote e svelate al loro istinto grazie alle onde celebrali, trasformate con l'apparecchio in una sinfonia di colori che scaturiscono vibrando anche in modo dissonante, ma coinvolgente.

Cristina Olivieri
da Art in Italy n° 17 2001

"Il nostro cervello ha il compito di esplorare il mondo esterno, di metterci in relazione con esso, di prestare attenzione agli stimoli nuovi, selezionando quelli più rilevanti e infine di rielaborare l'esperienza sensoriale attribuendone un significato
Prestare attenzione e percepire sono due aspetti essenziali del nostro stare al mondo, che filosofi e scienziati hanno affrontato in termini di certezza o di affidabilità delle conoscenze sensoriali, nell'intento di arrivare a comprendere in quale misura la nostra mente rispecchi un mondo reale o costruisca artificialmente la propria realtà".

Da un articolo di Alberto Oliveiro
(direttore dell'istituto di psicobiologia del consiglio nazionale delle ricerche)

 

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