Lo Sguardo e la Visione
Al mattino, nel ritornare allo stato di veglia, verifichiamo
quasi senza accorgerci che tutto sia come lo abbiamo lasciato prima
di coricarci e, in modo automatico, reimpostiamo le coordinate spazio
temporali del nostro corpo. Nel caso che il nostro orologio si sia
fermato, ci preoccupiamo di sapere che ore sono e, se ci si trova,
per esempio, in vacanza impieghiamo alcuni minuti prima di riprendere
piena coscienza della mutata planimetria del luogo. Ecco! di lì
si trova il bagno e là... no là! sta la porta di uscita
dalla stanza d'albergo. In quei pochi attimi di smarrimento, durante
i quali non siamo certi che sia mattino piuttosto che pomeriggio,
oppure ci rammentiamo velocemente di trovarci in un luogo estraneo
per qualche giorno, sprofondiamo in una sensazione di meraviglia mista
a sbigottimento... non riusciamo nemmeno a verificare fino in fondo
se ci procura più disagio o curiosità.
D'altronde ad ogni cambiamento, ogni variazione corrisponde un dispendio
di energia, sia essa mentale che fisica, ed entrambe vengono compensate
dall'arricchimento della conoscenza o dall'accrescimento del vigore
fisico. Questo accade soprattuttto nell'addentrarci nello studio di
una nuova materia o nella pratica di una disciplina sportiva. Ma ugualmente
accade nel vivere di tutti i giorni e, per questo, nei confronti della
nostra routine quotidiana affievoliamo le nostre capacità,
di osservazione e di invenzione, nella reiterazione passiva di consuetudini
a favore di un risparmio di energia. L'uscire dalle abitudini, il
riesaminare con rinnovata attenzione tutto ciò che ci appare
scontato, quasi immutabile nella sua natura, necessita di una fatica
più che raddoppiata rispetto a quella occorrente ad adeguarci
a cose e situazione oggettivamente nuove. Si può essere presi
per incantamento anche nella vita di tutti i giorni se addestriamo
lo sguardo; bisogna saper osservare, da un lato, e, dall'altro, sapersi
abbandonare alla visione. Occorre penetrare la vera natura del miraggio
per conoscerne sì la causa ma anche goderne la fascinazione,
così come occorre conoscere la meccanica fisico-chimica delle
nostre percezioni sensoriali ma nel contempo "assaporarne"
gli effetti. Dobbiamo convincercene per poter vivere appieno la realtà
"altra" della quotidianità più banale; occorre
reinserire il meraviglioso nella vita di tutti i giorni, aprire bene
gli occhi ed ascoltare con attenzione per riattualizzare la magia
delle visioni così "normali" e consuete nelle féeries
medievali. L'occhio crede ciò che vede ma vede anche ciò
che crede e, anche lungi dal cedere alla lusinga dell'ignoto, può
comunque vivere come reale ciò che non lo è affatto
e viceversa; può credere fermamente di aver scorto un'oasi
nel deserto, anche se questa non si trova nel luogo indicato ma a
miglia di distanza, oppure, con eguale certezza, sostenere che sia
il sole a girare attorno alla terra come pure l'esatto opposto. Eppure
è così bello assistere al "calar del sole".
D'altro canto nulla risulta più ingannevole della stessa verità
scientifica nel momento in cui viene smentita da un'altra più
recente. Orbene non vorrei certo tacciare di millanteria la serietà
delle ricerche scientifiche o per contro dar credito alle fantasticherie
più sfrenate dell'immaginazione creativa, quanto piuttosto
porre l'accento sul fatto che si considera vero e reale solo ciò
che pare verificabile nell'arco di una sequenza di esperienze identiche,
ripetibili... esperienza docet. Nel contempo risulta salutare lo smentire
la realtà stessa o la verità acquisita in favore del
progredire della conoscenza e della fecondazione dell'immaginario
in funzione di una vita più apprezzabile che favorisca il risveglio
dell'intelligenza e, perché no di una sensorialità più
attiva.
Le "sagome" delle costellazioni anche agli occhi del navigatore
che vuole individuare la propria rotta paiono tracciate su di un piano
che sovrasta quello della terra mentre in effetti ogni stella che
le compone giace nella propria profondità siderale. E' lo sguardo
che le compone virtualmente nel configurare razionalmente lo spazio
mentre ne osserva gli spostamenti per computare le stagioni o, per
pretesa e non dissimile certezza razionale, leggervi il proprio "tempo";
per comprendere il dipanarsi della propria esistenza nell'infinita
sequenza degli attimi del destino.
Michele Caldarelli