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Fiume Aperto
opere di Gaetano Orazio su testi poetici di Pietro Berra

Fiume Aperto - storia di rabdomanti e salamandre

In che cosa consista la collaborazione Orazio/Berra, se in una esercitazione metonimica e puramente intellettuale o in una più profonda sinergia spirituale, è sicuramente il primo interrogativo suscitato in chi osserva e legge Fiume Aperto. Non ancora un libro, come osserverebbe chi desidera la carta stampata a sigillo e garanzia di concretezza compiuta di qualunque cosa, Fiume Aperto è invece già progetto stilato e, soprattutto via percorribile, via d'acqua, come precisa la denominazione stessa, e fondamentalmente dischiusa, fluida e pregna di energia in divenire. In fondo Internet, che in queste pagine lo accoglie nel suo affacciarsi, ne costituisce culla opportuna e, il mare della rete, substrato idroponico ideale per i mille sviluppi che si possono intuire. I caratteri specifici della pittura e della scrittura, non sono, nel nostro caso, fondamento di un concorso tecnico didascalico o illustrativo, quanto piuttosto strumento dicotomico generato da un incontro fra due personalità. Il risvolto enigmatico della quotidianità vissuto nel tessuto antropico attraverso gli scritti di Berra fa da controcanto al mysterium, estrapolato dalla natura con la pittura di Orazio, e viceversa; si tratta di un dialogo, per immagini e parole, intrattenuto fra due viandanti, autentici pellegrini del vissuto.
Il Cercatore d'acqua, (motivo ricorrente di Orazio) provvisto di bordone dalla caratteristica forma ricurva, potrebbe impersonarli entrambi come pure l'immagine letteraria del Fiume Aperto sotterraneo (coniata da Berra) può rappresentare l'oggetto d'attenzione della loro comune ricerca. Il bordone, bastone del pellegrino (anche pastorale), costituisce contemporaneamente sostegno nel cammino e segno di comando, esorcizza gli spiriti maligni, rappresenta in essenza l'axis mundi attorno al quale tutto avviene e diviene. Addomestica i dragoni, fa scaturire le sorgenti e costituisce cavalcatura invisibile, veicolo utile per viaggiare attraverso i piani e i mondi. Altrove lo ritroviamo come attributo di Mercurio, simbolo dell'arte medica (virtualmente capace di restituire la salute corporea) e ancor prima come caduceo ermetico i cui serpenti (curiosa prefigurazione della spirale del dna) rappresentano il solve et coagula alchemico e/o le correnti della vita fisica e psichica. Ma il Cercatore d'acqua forse impugna un bastone anche simile a quello di Mosè che fece sgorgare l'acqua dalla roccia e si tramutò in serpente, prefigurazione della croce redentrice, legno di vita che rinverdisce... o più verosimilmente a quello del sacerdote di Demetra con cui questi percuote la terra provocandone la nuova fertilità.
Lo stesso legno forma la bacchetta del rabdomante strumento di navigazione attraverso i flussi energetici universali... Siamo tutti rabdomanti/l'astronauta dell'Apollo 17/che pensa di trovare ghiaccio/sotto la superficie della luna... commenta Berra. ... e possiamo aggiungere che, nave esso stesso, legno di vita, ci sostiene solcando, talvolta di bolina affrontando venti contrari, la forza generatrice dell'universo rappresentata dall'acqua.
L'acqua elemento fluido, fonte di energia, transeunte come il fuoco, a questo viene assimilata da uno dei più misteriosi e contradditori simboli dell'alchimia classica: l'acqua mercuriale (mea aqua ignis est), prima materia, e fondamento del mondo visibile, che in alcuni testi viene indicata come zolfo e chiamata salamandra.
E' la salamandra, per tornare alla pittura di Orazio, che accompagna il Cercatore d'acqua e, col giallo/nero della sua livrea maculata, fa capolino da ogni dove come presenza fuggevole quanto vivificante. La salamandra, animale acquatico e igneo, essere misteriosofico, si credeva capace di resistere alle fiamme, incombustibile; ancor più, nella tradizione cristiana era considerata simbolo del Giusto che attraversa indenne le tribolazioni, domina e controlla la fiamma della vita che lo nutre e lo consuma nel contempo. Eppure in realta si tratta di una creatura innocua, graziosa e pigra, che predilige l'umido degli stagni, l'ombra delle pietre e la frescura della vegetazione selvatica. Io e Gaetano che risaliamo/il Rio Toscio in secca/perché su in alto deve essere/rimasta qualche pozza/con girini di salamandra - commenta Berra rabdomante e, altrove - Alla fine della scampagnata/preoccuparsi della salamandra/tenuta in pugno per qualche secondo...
Sarà la sua smagliante veste gialla e nera, che quasi per nulla la mimetizza e la fa balzare alla vista, a determinarla come corpo igneo, o forse la fama esagerata di velenosità totale, dovuta alla sua urticante autodifesa estrema se aggredita, o alla somiglianza con qualche pericolosissimo serpente policromo... chissà se allo stesso modo anche la pittura migliore intimorisce qualche osservatore perché scambiata per inganno mediatico, o se la poesia più sincera, altalena inutilmente nel luna park auricolare dell'utente televisivo.
Ma il vero fondamento del vivere quotidiano permane altrove, in paziente attesa di riemergere dal sottosuolo della nostra coscienza assopita... C'era un corso d'acqua/sotto la botola in giardino/Si chiamava Fiume Aperto.

Michele Caldarelli, agosto 2004

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