Archivio Attivo Arte Contemporanea
http://www.caldarelli.it



"L'approccio matematico nell'arte di oggi non è attualmente matematico" - Max Bill

Enrico Jcovelli, nei suoi quarant'anni di attività artistica, non ha mai perso di vista quel limite che separa la chiarezza del progetto dall'opacità della sua realizzazione, ecco perché i suoi lavori conservano un fascino enigmatico e quella freschezza di ciò che Max Bill definiva "pensiero individuale dell'esplorazione matematica". Sin dai Concavo-convesso del 1971 Jacovelli ha stretto un patto con la geometria elementare stabilendo che essa doveva servire da piattaforma di partenza per una ricerca formale che interrogasse sia l'occhio che la mente.
Astrazione concreta? Forse, di sicuro questo artista si è formato sia dalle propaggini estreme della Bauhaus, la scuola di Ulm di Bill e Màldonado, che sulle riflessioni di Bruno Munari, carpendo quel suo giocoso modo di affrontare problemi percettivi ed esecutivi. D'altronde, dando uno sguardo ad alcune opere di Jacovelli, notiamo come esse si basino sulla tensione tra un interno sfaccettato, colorato caos apparente di piani, spigoli, angoli, e la linearità dell'asse che determina il continuum spaziale, la statica frastica della verticalità della scultura (Interno esterno ). Questa coesistenza tra diverse armonie e ritmi, controllata dalle leggi di Fibonacci, dalle regole della Sezione Aurea è pertanto riconducibile ad una concettualità che, in alcuni casi, avvicina questi lavori persino alle opere di Sol Le Witt.
Sono elaborazioni che mostrano relazioni razionali e logiche visuali ed abbracciano la formula matematica non per farne una rigida normativa, ma per rivelare una topologia misteriosa. Questi "solidi ignoti", come li definì Alberto Miralli, tanto più si avvicinano ai paradossi di Escher (Rilievi) quanto più prendono le distanze dalla esoterica geometria pitagorica e dal primarismo platonico. Per questo, sebbene nati in un clima in cui si avvertiva una impellente esigenza di ridurre al minimo l'astrazione, i "solidi", sono solo la metafora di quel rigore che apparentemente ostentano. Come metafora, le sculture di Jacovelli sono parte di un discorso, riconducono ad una immagine aperta che significa anche altro, sebbene essa risulti introdotta, per una sua evidenza strutturale, in una dimensione a noi nota.
In altre parole: il numero, per Jacovelli, è lo strumento di indagine di uno spazio che si autosignifica dichiarando, al tempo stesso, la possibilità di evertire dalla logica ortogonale, dallo spazio euclideo, per intenderci: Jacovelli, come van Doesburg, avrebbe di sicuro contestato la griglia mondrianica.
Del resto, dei due libretti scritti di Enrico Jacovelli uno è una raccolta di fiabe (Bolle di sapone, 1983) e l'altro un bizzarro manuale sulla percezione visiva (Ricercando non so che trovo, 1998), ciò ad indicare la duplice natura del lavoro dell'artista, una rivolta a stabilire nuove dimensioni immaginative, sino a farsi porta aperta alla fantasia, e l'altra proponente nuove elaborazioni cognitive suggerite dai diversi modi di vedere il mondo e l'arte proposti dall'autore tramite l'applicazione di formule matematiche ad una composizione geometrizzante. Un percorso che riempiendo lo spazio pubblico, entra ed esce dalla dimensione plastica definita. La fantasia analitica di questa scultura ci riporta all'idea di Dedalo che, dopo aver costruito il labirinto, trappola dianoetica, ci invita al volo, (Senza titolo, 2000).

Marcello Carriero

Torna

Il Copyright © relativo ai testi e alle immagini appartiene ai relativi autori
per informazioni scrivete a miccal@caldarelli.it