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Emilio Alberti
Labirinti

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Labirinti

Con questa mostra di dipinti di Emilio Alberti, allestita fra le mura del Castello di San Pelagio, si presenta l’occasione di ampliare, nello specifico, il tema del "Labirinto" sviluppato dall’artista nelle opere esposte, e non solo, dando un contributo di proseguio, seppur minimo, ai molti studi che nel tempo sono stati sviluppati sull’argomento. Qui e oggi si inaugura, nel parco il 3° labirinto, in ordine di tempo, a corredo del Museo del Volo, presente nel castello e che al mito di Icaro dà corpo fornendo a commento dei cimeli una ben documentata storia dell'aviazione italiana.
La natura primordiale di questo elemento grafico è cosa nota e possiamo definirlo, nella sua forma più elementare e ricorrente, come appare nelle incisioni rupestri o nelle monete cretesi, una struttura geometrica basata sulla commistione di altre tre che lo precedono e ne fondano il carattere simbolico: cerchio, croce e spirale. In sintesi, nel caso del labirinto, si tratta di una formulazione grafica intesa ad illustrare intellettualmente la dinamica di un rapporto intrattenuto fra due elementi/nature in contrapposizione quanto inequivocabilmente interconnessi. E così possiamo osservare come l'archetipo del cerchio, quadripartito dalla croce, corrisponda simbolicamente sia alla fondazione del villaggio primitivo che, in tempi più recenti, anche se storicamente da noi ancora lontani, a quella del castrum, della città romana. Il riferimento al rapporto della terra con il sole e, in senso più ampio, all’armonia cosmica da rispettarsi al fine di una buona riuscita di ogni operare umano, risulta evidente. Si tratta di una vera e propria "quadratura del cerchio" (e possiamo ben giocare sull’equivoco geometrico-matematico) in cui il rapporto di incommensurabilità è generato dalla duplice natura spazio/temporale dei cicli astronomici.
Natura concreta e simbolica del labirinto sono state, comunque e nel tempo, intese e sviluppate su più livelli di riferimento e di complessità. Il più semplice e antico labirinto è stato, prima di essere rappresentato dalla circonvoluzione di meandri contigui, una semplice grotta buia, destinata a riti di iniziazione, dove il senso di smarrimento era dettato unicamente dalla deprivazione sensoriale della vista. Il secondo tipo, strutturato secondo un primo elementare avvolgimento quadripartito, si può anche supporre fosse riferito alla regolamentazione sociale nei rapporti matrimoniali del villaggio, organizzati secondo il principio del Cross Cousin Marriage. Come ben possiamo vedere il centro dello stesso è costituito dall'incrocio di due linee che nel loro percorso congiungono in modo alternato quattro punti semicentrali: gli elementi maschile e femminile di due gruppi parentali distinti. Alla ritualità del percorso si accompagnavano danze magico/iniziatiche che attraverso i secoli sono confluite/mutate nei balli popolari più comuni, eseguiti in lunghe catene di persone tenentesi per mano o congiunte mediante corde, per giungere in tempi moderni alla convenzione sociale dei balli da sala, fra i quali il più cosmico è forse il walzer con il roteare delle coppie in circolo a guisa di galassie guidate dall'armonia musicale del universo. Seguendo l'idea della natura di regolamentazione rituale, potremmo ipotizzare di conseguenza che il principio del labirinto non è stato, perlomeno inizialmente, quello di creare smarrimento in chi lo volesse percorrere, seppur mentalmente, quanto piuttosto di incanalare in un percorso tutto sommato univoco, fornito di un'unica entrata che poi corrisponde all'uscita. Il trasferimento di significato sul piano più marcatamente spirituale avviene solo più tardi, nei tracciati medioevali, all’interno delle chiese, sostituti simbolici che riproducono su microscala il percorso del pellegrinaggio in Terrasanta..."Chemin de Jérusalem". Al centro dei labirinti, da percorrersi penitenzialmente a piedi scalzi per espiare i propri peccati, appare ora l’immagine cristiana in luogo del taurobolio pagano.
I tracciati, proseguendo brevemente e velocemente nella sterminata storia del labirinto, hanno assunto forme e articolazioni sempre più complesse ed è solo a partire dal rinascimento, che il percorso labirintico, immerso anche nel verde dei giardini e arboreo/vegetale esso stesso, diviene luogo di svago intellettuale o amoroso, soggetto o ambientazione per esercizi letterari dal "Forse che si forse che no" dannunziano alla complessa prosa di J.L.Borghes nella cui "Biblioteca di Babele" potremmo riscontrare, a posteriori, un parallelo visionario fra antichi esercizi calligrafici e la omnicomprensività di Internet... oppure e ancora, ormai non più ansiogeno o moralizzante, quanto piuttosto ricettacolo di divertimento, giardino infinito e percorso ludico come, mutatis mutandis, nel comunissimo "gioco dell'oca" con un pizzico di non-sense legato a una segreta avventura. Altra, è in più, risulta essere la sua vocazione enigmistica più attuale che, abbandonata totalmente l’aura del mistero, vi sostituisce le problematiche complesse legate a speculazioni squisitamente logiche. E’ così che al labirinto irrisolto del vivere quotidiano che come nuvola nutre e avvolge la natura psichica di ogni nostro agire e sentire, si sovrappone, oserei dire inadeguatamente, quello che andiamo con orgoglio a sviluppare con la rete informatica globale. Ma la realtà, anche se nascosta, è altra... perché ogni nostro movimento fisico, ogni formulazione mentale, ogni sviluppo del nostro esistere partecipa all'insondabilità autogenerante di quel mare che gli alchimisti chiamavano mercuriale ed occupava quell'invaso misterioso dell'operatività alchemica... un luogo tutto sommato onirico, come ben rappresentato nel quattrocentesco "Sogno di Polifilo Prenestino", di Francesco Colonna, come navigazione spiraliforme.
Riprendendo il filo del discorso, argomentando sulle opere qui esposte di Emilio Alberti, possiamo ora osservare, e più ampiamente ricordare prendendo in considerazione tutta l'ampiezza della sua ispirazione artistica, come nel suo lavoro riflessi e diffrazioni generati dall'acqua e dall'aria siano gli elementi più osservati ed elaborati. La loro oscillazione, le metamorfosi cromatiche, gli istanti percettivi che nel flusso del divenire ce ne rivelano la natura fisica e ne permeano l'interpretazione simbolica, si ritrovano in ogni sua opera, espressi dai colori, rappresentati da metafore e simboli compositivi: meridiane, pendoli, gnomoni, labirinti, specchi d'acqua, onde e vortici... in un vero viaggio, anch'esso labirintico, fra gli elementi. In più di un'opera viene evidenziata, a corollario, un'impronta digitale (la sua) impressa/ingigantita sulla superficie della tela... fatta di circonvoluzioni, trasformata in immagine enigmatica che nel suo essere “biologica” nella metonimia identità/verità ricorda il groviglio fisico e funzionale della massa cerebrale come pure le sinuosità delle viscere simbolicamente rappresentate dall'antica effigie del volto di Humbaba, celato da sette veli, custode misterioso della foresta degli dei e ucciso da Gilgamesh. L'epopea di questo eroe babilonese che sfida il divino, prefigura l'avventura di Teseo e la foresta/giardino, luogo oscuramente disorientante, e prelude alla costruzione di Cnosso, con un comun denominatore espresso dalla decisionalità eroica. Il labirinto si rivela dunque luogo/logos delle verità e delle contraddizioni fra le quali si snoda il percorso, un percorso fatto di scelte che il "filo di Arianna" guida...
Per altra via e filo, pur non volendo seguire l'eccesso della disavventura di Icaro, il senso del volo, come volontà e superamento psichico o elevazione spirituale ben incarna il motivo purificatore dell'avventura labirintica ben oltre l'eroicità aviatoria... sollevandoci dal peso fisico della corporeità, introducendoci alla possibile alterazione percettiva del rapporto spazio-tempo che incatena il carattere effimero dell'esistenza... inseguendo il moltiplicarsi dei tramonti dirigendo la rotta verso Ovest o come il Piccolo Principe di Saint-Exupéry, semplicemente spostando continuamente, anche se di poco, la piccola seggiola della nostra immaginazione.

Michele Caldarelli - maggio 2013

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