Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como
2 novembre - 31 dicembre 2020
Marcello Diotallevi

"CAPNOSCRITTURE"
una mostra e un blog dedicati alle scritture immaginarie
 a cura di Michele Caldarelli
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Ecco qui di seguito e in progress un universo di segni, parole e avventure che, invitiamo tutti ad esplorare.

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Alla ricerca di un liguaggio iconico universale, di una scrittura "adamica" semplice ed elegante, prelogica quanto raffinatamente strutturata, Marcello Diotallevi mi ricorda, nel suo "scrivere" polivalente quanto criptico, la sindrome di Panurge, quel personaggio (Gargantua e Pantagruele - II-9) che nell'incontrare per la prima volta Pantagruele si espresse in differenti xenoglossie, raffinate ed auliche finché, alla fine, per riuscire nel farsi intendere si inventò una nuova lingua del tutto incomprensibile: "Agonou dont oussys... fren goul oust tropassou". A Pantagruele, pur in errore, parve allora di rintracciare, in questo lessico inventato, affinità con la lingua d'Utopia, suo paese di origine da parte di nonna, e a noi, per curiosità e amor di conoscenza, spalanca ulteriormente le porte all'universo delle lingue immaginarie, portandoci a leggere di tutto, dal "Tetrastichon" dell'alfabeto utopiano alla lingua musicale descritta da Hector Berlioz in "Euphonia", dalla scrittura inversa nella "Scoperta australe" di Restif de la Bretonne, alla comunicazione tattile degli abitanti di Flatland raccontata da Edwin A. Abbott, ai sistemi di mnemotecnica, dai carmi figurati ai calligrammi futuristi, dalle erronee quanto fantasiose interpretazioni egiziane di Athanasius Kircher alla pseudo lallazione dadaista.

Partito di buon passo, esplorando il territorio sterminato delle lingue immaginarie, ho provato un senso di smarrimento, non sapendo bene da dove prendere l'avvio, nella mia ottica, per un ragguaglio enciclopedico della materia. Da qualche parte si deve però pur cominciare, magari, banalmente, dall'inizio o dal suo esatto contrario, come mi è capitato di meditare considerando un bassorilievo dei Rodari (sec. XV) su una porta laterale del Duomo di Como. Qui si trova, un poco defilata, la famosa "rana", attorno alla quale è nato un motto leggendario che al suo linguaggio fa riferimento: "Quando la rana parlerà, un tesoro si troverà". Si tratta ovviamente di una locuzione a sfondo filosofico anche se qualcuno, dall'intelletto debole, ne è stato vittima ossessiva e negli anni '50 ha decapitato l'innocuo animale per impedirgli di parlare. La porta, sul cui stipite è stata scolpita la rana alla fine del XV secolo, dato l'orientamento della cattedrale, accoglie e rappresenta, costituendone soglia di transito, la culminazione solstiziale estiva del nostro astro. Per intenderci, il qui ed ora di quando il sole raggiunge la massima altezza lungo il proprio percorso per iniziarne poi la conseguente discesa invernale. Un percorso notturno, questo, caratterizzato dalla deprivazione della luce e che ha permeato simbolicamente molta letteratura e mitologia. Varcando questa "soglia" mi si è rivelato ordunque, come un'eco imperiosa, il gracidare onomatopeico delle rane riportato dalla commedia "Le Rane" di Aristofane: "brekekekex koax koax". Le rane intendevano elevare un inno a Dioniso che invece, fraintendendole contrariato, ne sperimentò con fastidio la "voce", mentre stava discendendo nell'oscurità Ade per riportare in vita Euripide e così salvare il mondo della tragedia greca, allora ormai in declino. Quella di Dioniso era una missione culturale altamente meritoria che però nella sua aulicità ha oscurato le ottime intenzioni delle rane la cui lingua, effettivamente incomprensibile agli umani, va ad annoverarsi fra i molti linguaggi animali dell'imagerie letteraria da "Il verbo degli uccelli" di Farīd ad Dīn 'Attār alla lingua equina degli Houyhnhnm nei "Gulliver Travels" di Jonathan Swift, all'idioma delle galline in "A voyage to Caklogallinia" di Samuel Brunt e a "Gli uccelli", tornando ancora ad Aristofane, che così "cantano": "upupoi popoi pupupopoi, iu iu siu siu...). Non dimentichiamo poi "Il libro della giungla" di Rudyard Kipling con Mowgli a colloquio con gli "archetipi" umani in forma di animale, consueti in ogni bestiario dell'antichità e non solo, dal Phisiologus a Leonardo da Vinci, al Dottor Dolittle. In "Sylvie e Bruno", l'ultimo libro di Lewis Carroll, anche questi, che già aveva familiarizzato nei libri precedenti con conigli ed altro elaborando calembours lessicali, qui si occupa di zoosemiotica cimentandosi col linguaggio canino... Raymond Quenau ne avrebbe commentato i contenuti in "De quelques langages animaux...". Che dire poi di tutti gli animali parlanti della favolistica, che troviamo in Esopo, Fedro, Perrault, Trilussa e Calvino, per citare per ora solo alcuni autori. Per affinità col gradevole canto degli uccelli, ci occuperemo anche dei "linguaggi musicali" individuati in numerose invenzioni letterarie che dell'"Utopia" di Tommaso Moro hanno fatto tema di riferimento. Dalla lingua degli ermafroditi descritti
da Retif de La Bretonne in "La decouverte Australe Connue par un Homme Volant", eredi simbolici dell'uomo indiviso del Simposio di Platone, alle fantasie di John Wilkins che argomenta degli abitanti della luna dove il linguaggio musicale è appannaggio delle classi superiori mentre quello gestuale lo è delle classi popolari. Giacomo Casanova nel suo "Icosameron" narra dei "Megamicri", aborigeni abitanti del "Protocosmo", la cui lingua è costituita solo da vocali... in "Flatland" Edwin Abbott descrive gli abitanti di questo mondo bidimensionale, nella fattispecie di poligoni che sono in grado di comunicare e riconoscersi solo tastandosi i lati...
 
MI ASPETTA APPARENTEMENTE UN LAVORO SENZA FINE
MA PER ORA METTO IN RETE QUESTA PAGINA
CHE PROSSIMAMENTE SARA' SVILUPPATA NEI CONTENUTI E NEI COLLEGAMENTI

Michele Caldarelli - novembre 2020

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