Rodolfo
Signorini
IL
CIELO IN PIAZZA
Il
“nobilissimo horologio”di Mantova
«[...]
dir possiamo Mantova esser generata dal cielo e come amante et
amorevol figlia hora esso cielo creato et di material materia
fabricato tenirlo e nodrirlo in seno, altiera e superba che sola
possiede quello che in altra parte de il mondo non se trova». Così
scriveva fra l’altro Timoteo Orsini Bartholdi, il 20 maggio 1560, a
Francesco Filòpono, l’umanista, giureconsulto, matematico e
astronomo che tredici giorni prima gli aveva inviato la copia del
proprio trattato sull’eccellenza,
parti e uso dell’horologio di Mantova (conservato
presso la Biblioteca Universitaria di Padova, ms 926, e, in copia
ottocentesca, nella Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova, ms 999
[HIV 12], la cui portentosa macchina, guastata «dall’ignorante
presontione di quelli a’ quali apparteniva diffenderla e lodarla
[...]», egli aveva saputo perfettamente ripristinare nelle sue
mirabili funzioni. Al termine di tanta fatica, che gli aveva rivelata
tutta la genialità di quella creazione astronomico-astrologica, non
aveva saputo tacere al terzo duca di Mantova, Guglielmo Gonzaga, il
proprio orgoglio d’essere riuscito nell’impresa, per cui poteva
dichiarare a buon diritto: «Io son el pietoso Enea» (En.
I 378). Infatti era stato in grado di correggere, regolare e
rinnovare quel prodigio di meccanica, e da «morto» ch’esso era,
l’aveva restituito alla vita. Dal suo ideatore quel complicato
congegno era stato costruito «corottibile e non conosciuto», egli
invece, con il suo trattato, l’aveva reso «perpetuo ed eterno».
Nel
1989 tanta macchina è stata ricostruita da Alberto Gorla e, con il
ripristino dell’orologio di Bartolomeo Manfredi, Mantova è tornata
a riappropriarsi di quel cielo tolemaico che un tempo fu suo, e può
nuovamente, per così dire, godere del privilegio celeste di
conoscerne i mirabili «effetti» grazie a colui che introdusse
l’arte della stampa in Mantova (1471), il già ricordato
giureconsulto e letterato mantovano Pietroadamo de’ Micheli. Egli
ci ha infatti lasciato un’affascinante descrizione dell’orologio
in un raro incunabolo databile dopo il dicembre del 1473
(probabilmente 1474) e conservato nella Biblioteca Civica «Angelo
Mai» di Bergamo (segn. 5/35), nella Biblioteca Universitaria di
Bologna [(segn.A.V.B.X. 11; errata la sequenza dei fascicoli, cc.
6r-27v (recte
18r-39v); cc.28r-39r (recte
6r-17r)], nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (segn. E.
6.4.21) e nella Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova (508),
esemplare mutilo dell’introduzione e danneggiato particolarmente
alle cc.17, 18, 33 e 34. Mario Equicola ha celebrato l’orologio
come uno dei meriti del marchese Ludovico II Gonzaga, principe colto
e mecenate (Chronica
di Mantua,
1521, pp. Siiiiv-[Svv] (278-280)
L’opera d Pietroadamo fu ristampata, in testo facilitato, a
Mantova, nel 1547, da
Giacomo Ruffinelli. La riedizione è priva dell’introduzione e
della parte relativa alle «Regule de trouar furti», ma possiede il
grande vantaggio di recare in frontespizio l’immagine del quadrante
dell’orologio retto sulle spalle da Ercole.Alla destra dell’eroe
è raffigurato un personaggio con un berretto coronato in capo.
Potrebbe essere Atlante, il titano che fu costretto da Giove a
sorreggere il cielo e che per breve tempo cedette quel compito ad
Ercole. Ma, secondo una leggenda più tarda, Atlante sarebbe stato re
della Mauritania. Un altro mito narra che Atlante avrebbe invece
istruito Ercole nell’astrologia, per questo si dice che Ercole lo
abbia temporaneamente alleggerito del peso del cielo (Diodoro Siculo,
III 60 e IV, 27). La figura virile alla sinistra di Ercole, con un
turbante orientale in capo, rappresentata nell’atto di reggere due
libri con la mano sinistra e di osservare il cielo, potrebbe essere
Claudio Tolomeo, colui che teorizzò il sistema geocentrico del cosmo
e scrisse fra l’altro l’Almagesto
e il Tetràbiblos
(Previsioni Astrologiche),
vissuto ad Alessandria d’Egitto nel II sec. d.C. La suddetta
immagine ha costituito il modello per la recente ricostruzione
dell’antico quadrante.
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Descrizione
del quadrante antico
Nell’introduzione
al suo libretto Pietroadamo indugia nella narrazione di sapore
decameroniano di un proprio sogno. Sul far di un mattino gli parve di
vedere Lombardia in forma di giardino, percorso da un rivo lungo e
sinuoso, il Po. E le città lombarde erano donne, assise quali più,
quali meno vicine al fiume. Mantova era la più bella e vestita di
nuovo. Se ne stava sotto un lauro (simbolo della poesia virgiliana),
seduta accanto allo sposo, il marchese Ludovico II, e fra loro erano
solo continui sguardi, dolci e innamorati. La «bella donna» si
tolse dal seno uno specchio donatole dal consorte e tale da
consentire, a chiunque vi si specchiasse, di conoscere «molte cose
future et presenti ad altri incognite». La «valorosa donna» chiese
a Pietroadamo di rivelarle l’«occulta virtù» di quella «cara
gioia», ed egli, dopo aver a lungo fissato lo specchio, vi scorse un
volto umano, tutto dorato. E già stava per rispondere alla «cara
donna» quando il sogno s’interruppe.Ma egli se ne ricordò bene il
giorno che sulla torre di piazza fu scoperto l’orologio e nel disco
raggiante del Sole ravvisò quel dorato volto umano che aveva
contemplato nello specchio sognato. Così, non avendolo potuto fare
dormendo, decise di soddisfare il desiderio della propria città da
sveglio, scrivendo il suddetto libretto, esplicativo dell’ostensorio
e dei suoi «effetti». È a questo punto che Pietroadamo, pieno di
gratitudine nei confronti del «liberalissimo» donatore di «sì
cara gioia», non sa tacere un commosso elogio di Mantova e dei
propri tempi privilegiati.
«O
gloriosa et felicissima cità, sempre de spiriti gentil fecunda matre
e antiquo albergo, qual sì retroso o de virtù svogliato in te si
troverà, ch’el mirrabil effetto de così cara e pretiosa gemma
intender non voglia? O felicissimi noi, ad questi tempi riservati!».
Facciamo
osservare che, prima di concludere l’introduzione, Pietroadamo
definisce «tripartito» il suo «libretto», ma la prima
«particella», che doveva trattare di cosmologia, di geografia e di
astrologia, non figura in nessuno degli esemplari da noi conosciuti.
Rivolto
verso Nord-Ovest (312° ca), l’orologio ha l’oriente a sinistra,
verso la reggia del principe, e l’occidente in direzione
dell’antico quartiere di San Giacomo, compreso fra le attuali vie
Giuseppe Verdi e Domenico Fernelli, piazza Carlo d’Arco e viale
Alberto Pitentino, corso Umberto I, via della Libertà e via Giovanni
Chiassi. La chiesa di San Giacomo, che dava il nome al borgo, sorgeva
presso il Rio e la porta Leona (già porta delle Quattro Porte),
all’inizio dell’attuale corso Vittorio Emanuele II. Una tettoia
di marmo (originale) ripara il quadrante, ch’era coronato di dodici
tondi contenenti i ritratti di altrettanti (o tredici, dal momento
che uno dei dipinti superstiti presenta due figure?) «famosi et
doctissimi homini, quali in geometria, quali in arithmetica, quali in
musica et quali in astrologia» (le Arti Liberali del Quadrivio),
poiché se l’astrologia è la «madonna», le altre ne sono le
«serve» indispensabili. Il più alto di quei tondi fu in seguito
sacrificato per collocarvi il globo della Luna (mezzo nero e mezzo
dorato), sormontato da una corona, recante ancora dipinti in nero i
giorni lunari 6, 9, 12 e 15, e poche tracce di doratura.
Più
all’interno, incorniciata da una «festa dorata» (l’attuale
festone costituito da un ramo d’alloro con le bacche dorate) si
leggevano le ventiquattro ore dette «del vulgo» (cioè quelle
computate da un tramonto all’altro), scritte in cifre romane, nere
su fondo bianco. La I ora era segnata in occidente e via via, in
senso orario, seguivano le altre, cosicché l’ora XXIIII finiva
anch’essa in occidente, al di sopra della I ora. L’ora XVIII era
tracciata in cima al quadrante, e la fine di quell’ora
corrispondeva al mezzogiorno. Al punto opposto, il termine della VI
ora corrispondeva alla mezzanotte. Va inoltre ricordato che mentre
oggi si considera giorno il periodo di ventiquattro ore che va da una
mezzanotte all’altra, allora il giorno andava da un tramonto
all’altro o a circa mezz’ora dopo, al suono dell’Avemaria. La
prima ora del nuovo giorno era dunque la prima ora di notte, e mutava
con il graduale variare delle stagioni.
Sulla
fascia d’intonaco che circonda la cavità ricavata nello spessore
del muro per sistemarvi i meccanismi astronomico-astrologici,
collegati con i treni del tempo e della suoneria, collocati nella
camera interna della torre, erano dipinte sul muro ventiquattro
fasce, dodici bianche e dodici nere, corrispondenti alle ore diurne e
notturne. Esse servivano per determinare quale dei sette pianeti
(Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio, Luna) fosse
dominatore di una certa ora del dì o della notte. Le dodici fasce
bianche erano divise da linee nere e numerate in nero, da oriente a
occidente, in cifre arabe, da 1 a 12. Quelle nere erano divise da
linee bianche e numerate in bianco, in cifre arabe, da occidente a
oriente, da 1 a 12. Aggiunge il Filòpono che nelle fasce bianche
d’inverno si ravvisavano le ore diurne e d’estate quelle
notturne; nelle nere, d’estate si riconoscevano le ore diurne e
d’inverno quelle notturne.
Veniva
quindi l’ostensorio, con i dodici segni zodiacali (Ariete, Toro,
Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario,
Capricorno, Acquario, Pesci), in rame, «fatti de relevo», ossia a
sbalzo, «et dorati». Ogni segno recava sul bordo esterno trenta
tratti, alternamente bianchi e neri, corrispondenti a 30°.
Sporgevano dal bordo sei scudetti d’oro, uno ogni cinque gradi.
Pertanto ogni segno dello zodiaco era irto di sei scudetti, e
l’intera circonferenza zodiacale merlata di settantadue
scudetti.Essi dovevano servire a coloro che, a causa dell’altezza
dell’orologio, per difficoltà visive non potevano leggere i gradi.
Fissato allo zodiaco, dal primo grado di Bilancia al trentesimo di
Pesci, era un semicerchio azzurro, immagine dell’equatore celeste.
Esso era segnato di trentasei punti d’oro, uno ogni 5° dei sei
sottostanti segni zodiacali (Bilancia, Scorpione, Sagittario,
Capricorno, Acquario, Pesci). La fascia dello zodiaco (assieme al
semicerchio azzurro) ruotava in senso orario, da oriente a occidente
e da occidente a oriente, compiendo un giro intero su se stessa in
ventiquattro ore, avanzando tuttavia di poco più di 1° al giorno.
Il
volto aureolato del Sole, era collocato fra i giorni 15 e 16 della
fascia dell’età della Luna. Un raggio più lungo saliva dal disco
solare fino ai segni zodiacali ad indicare in quale segno e in quale
grado del medesimo si trovava il luminare diurno.
La
fascia dell’età della Luna, tutta radiante anch’essa, era divisa
in dieci parti da liste d’oro e numerata in cifre arabe e in senso
antiorario, di tre in tre, fino a 27. Nella decima ed ultima parte
era scritto 29 (1/2). Il mese
sinodico
(il periodo compreso fra due Lune Nuove, ossia il tempo impiegato
dalla Luna per compiere il suo giro di 360° e tornare al punto di
partenza rispetto al Sole e alla Terra) è infatti mediamente di 29 g
12 h 44’. Ognuna delle prime nove parti corrispondeva a tre giorni,
la decima a due giorni e mezzo; per questo tutte erano divise al loro
interno da due punti d’oro. Prendiamo, per intenderci, la parte
segnata 3. Lo spazio compreso fra la prima lista d’oro e il primo
punto d’oro equivale al giorno 1; lo spazio compreso fra i due
punti d’oro rappresenta il giorno 2; lo spazio compreso fra il
secondo punto d’oro e la seconda lista d’oro corrisponde al
giorno 3, e così di seguito.
Il
disco centrale era occupato dalla figura di Latona, madre di Selene e
di Apollo ossia della Luna e del Sole. Sopra di essa era scritto il
nome: Latona.
Sul capo le brillava dorato il crescente lunare (il primo spicchio di
Luna). Adagiato alla sua destra un cerbiatto (?) le rivolgeva il
muso. Ella stava seduta, con le braccia aperte. Con una freccia che
teneva nella mano sinistra indicava il disco della Luna che, secondo
il succedersi delle fasi lunari, di volta in volta imbiancava o
anneriva. Al disco della Luna era unito un raggio dorato che si
prolungava fino ai gradi dei segni zodiacali a indicare così in
quale segno e a quale grado del medesimo si trovava il pianeta. Con
la mano destra Latona mostrava sulla corona dell’età della Luna in
quale giorno del suo ciclo si trovava il luminare notturno. Assieme
allo Zodiaco, al disco del Sole e alla fascia dell’età della Luna
la dea compiva un intero giro su se stessa in senso orario circa in
ventiquattro ore, mentre il raggio connesso con il disco lunare e
Latona stessa si spostavano lungo lo zodiaco, in senso antiorario
(secondo la sequenza dei giorni lunari), circa 13° al giorno.
I
punti cardinali dell’orologio erano: a oriente, l’angolo
orientale o Ascendente o prima Casa (dove confinano la prima fascia
bianca e la dodicesima fascia nera); a occidente, l’angolo
occidentale o Discendente o settima Casa (dove confinano la
dodicesima fascia bianca e la prima fascia nera); a meridione, il
Mezzo Cielo (Medium
Coeli)
o decima Casa (sulla verticale della linea divisoria dell’ora XVIII
dall’ora XIX); a settentrione, l’Imo Cielo (Imum
Coeli)
o angolo della Terra o di mezzanotte o quarta Casa (sulla verticale
della linea divisoria dell’ora VI dall’ora VII).
Gli
«effetti» dell’orologio
L’orologio
aveva otto «effetti», scrive Pietroadamo (ma dodici ne elenca il
Filòpono):
I)
«El primo è di sapere quante hore sono secundo el vulgo, cioè
quante hore son passate doppo el tramontar del Sole»;
II)
«El secundo serà di sapere, anci, vedere continuamente in quale
signo [zodiacale] et in qual grado serà il Sole»;
III)
«El terzo serà di sapere et vedere similmente in qual signo et
grado serà continuamente la Luna et quanti zorni haverà et quanta
se vederà, cioè se la serà rotunda o meza, piena o vòta, et in
qual parte serà, cioè in oriente o in occidente, et quando la se
farà [Luna Nuova] et quando la darà volta [Luna Piena], cioè
quando la serà in coniunctione [con il Sole] et quando in
oppositione [al Sole], et quando serà in quadratura [I quarto,
quando la distanza angolare del Sole dalla Luna è di 90°] o mezza
quadratura [quando la distanza angolare è di 45°], o in aspetto
sextile [quando il Sole e la Luna distano fra loro della sesta parte
dello zodiaco, ossia di 60°] o trigono [quando i due astri distano
fra loro di 120°], col Sole dextro [a destra] o sinistro [a
sinistra]»;
IV)
«El quarto effetto serà di sapere li quatro anguli del cielo [i
punti cardinali], cioè qual signo [zodiacale] et qual grado serà in
Ascendente, o ver in oriente; qual serà in Mezo Cielo [il Medium
Coeli è
il punto d’incontro fra il meridiano locale (quindi di Mantova) con
la circonferenza tracciata dal Sole nel suo apparente motto attorno
alla Terra (eclittica).Esso si trova a meridione (ossia sulla sommità
del quadrante) ed è il punto più alto sullo zodiaco occupato dal
Sole a mezzogiorno]; qual serà in occidente [Discendente] et qual
serà in Meza Notte, o ver angulo de la Terra [l’Imum
Coeli
indica il settentrione e si trova al punto opposto del Medium
Coeli]»;
V)
«El quinto effetto è di sapere le hore dî sette pianeti, cioè
qual pianeta regna qualunque hora, perché sempre regna mo un
pianeta, mo un altro [...]»;
VI)
«El sexto effetto è di sapere le hore particulari de’ Mantuani,
cioè la campana del dì [mattutino, ovvero l’Avemaria del mattino,
che si suonava con la squilla, la campana più piccola del
campanile], l’Offitiala da matina [si suonava al sorgere del Sole],
Terza [si suonava a metà mattina], Nona [si suonava a mezzodì],
Offitiala da mezzodì [si suonava un’ora dopo il mezzogiorno] et
meza notte [notturno (?)], cioè ad qual hora sona ciascuna de loro
[...]»;
VII)
El septimo effetto è di sapere le ore dî astrologi, cioè quante
hore siano passate doppo el mezo dì, secundo el qual modo ozidì se
usa per tutta la Alemagna, dove, quando egli è precisamente mezo dì,
alora sonano vintiquatro hore»;
VIII)
«L’octavo et ultimo effetto è di sapere continuamente quanto sia
longo el dì et la note da ogni tempo».
Per
la lettura degli «effetti» si faceva sempre riferimento al disco
del Sole, al di sotto del quale ruota lo Zodiaco.
*
* *
Molti
altri, interessantissimi responsi dava l’orologio, relativi a
diverse attività umane, dall’agricoltura all’artigianato, dalla
mercatura alla medicina; ma per questo si veda il testo di
Pietroadamo de’ Micheli riportato qui di seguito. Tuttavia, prima
di concludere non vorremmo tacere un altro, sorprendente «effetto»
di quest’orologio: esso consentiva anche di scovare i ladri e, a
volte, di recuperare la refurtiva. Pietroadamo produce numerosi
esempi in proposito. Qui basti il seguente, per cui l’autore cita
l’autorità di Haly Halbohazen, che scrisse sull’argomento al
capitolo 34 (In
latrone et furto)
del Liber
in iudiciis stellarum:
«Dice
Haly’
che secundo ch’el Sole è in signo orientale, occidentale,
meridionale o setentrionale, così la casa del latro è verso
oriente, occidente, mezo dì o setentrione, guardando dal loco dove è
fatto el furto. Et così, secundo el signo nel qual è la Luna, così
a quella parte guarda la porta del latro, et secundo che la Luna è
grande o picola, cioè piena o vòta, così la porta è grande o
picola».
Dopo
il ripristino compiuto dal Filòpono tanta macchina tornò a
guastarsi e, scrisse il Davari, fu nuovamente accomodata nel 1593. In
sèguito il congegno dovette nuovamente deteriorarsi, al punto che
(cito ancora il Davari), «nel 1722, per le difficoltà di trovare un
artefice atto a restituirlo nelle sue primitive condizioni, si pensò
di limitare il meccanismo all’attuale movimento delle ore e dei
minuti [...]».
*
* *
Con
la riattivazione dell’antico orologio del Manfredi (25 ottobre
1989), grazie all’impegno del sindaco Vladimiro Bertazzoni, al
generoso mecenatismo della Cassa di Risparmio di Verona Vicenza
Belluno e Ancona, e alla geniale maestria di Alberto Gorla, che
coniuga in sé il talento del fabbro e la passione
dell’orologiaio-astronomo, è stata compiuta un’opera culturale
altamente civile e di portata storica. L’antica campana del 1296,
oggi confinata in luogo del tutto improprio, aperto all’aria e
all’incuria dei passanti, ai piedi della scala d’accesso al
Palazzo delle Ragione, primo vano a sinistra (mentre merita una
collocazione degna della sua antichità e del suo valore storico e
documentario), è stata sostituita da una nuova eseguita dalla ditta
Capanni di Castelnuovo ne’ Monti (Reggio Emilia). Tutti i lavori
(compreso il restauro della statua in cotto della Vergine Immacolata
del 1639) sono stati seguiti, per conto della Soprintendenza,
dall’arch. Roberto Soggia e dal dott. Franco Negrini, per il
Comune, dall’ing.Marzio Malaguti. Ma nulla di tutto questo sarebbe
stato possibile senza le preziose testimonianze documentarie
lasciateci dal Filòpono e dal de’
Micheli, che così concludeva il suo trattato:
«Usa
adonque discretamente queste regulette, tutte ellette e d’oro,
ch’io ti ho datte, secundo el modo soprascritto, le quali, son
certissimo, ti seranno di grandissima utilità e piacere, et lauda
sempre il summo e glorioso Idio, che così alta e sublime scientia ha
revellata a l’homo». Parole che, in verità, contrastano con i
seguenti versi dello stesso Pietroadamo (conservati presso la
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms Magliabechiano II IV
723, c.74r), scritti «contra quelli che vogliano predire le cose
future», in cui si dichiara l’inutilità dell’astrologia, dal
momento che i progetti umani non s’accordano mai con la volontà
divina. Il sonetto fu composto fra il 5 giugno 1477 (data della morte
in battaglia di Carlo, il
Temerario,
duca di Borgogna, qui menzionato assieme a Galeazzo Maria Sforza,
ucciso il 26 dicembre 1476) e il 15 (o 14?) agosto 1481, giorno
dell’assassinio del De’ Micheli:
Termina
l’homo et tucto il mondo parte.
O
insensata cura, o cechi ingegni!
Et
prophetiza, per veder nei segni
Iove
benigno e ’l furibundo Marte.
Ma
Dio ne ride, et sta là su, et comparte
richezze,
signorie, thesori et regni,
et
fa che nostre fabule et disegni
sempre
falliscon el pensier et l’arte.
Cesar,
che tucto il mondo prese in mano,
vedi
come li ruppe Cassio et Bruto
il
gran disegno et fe’ suo pensier vano.
Né
harebbe Ptholomeo antiveduto
ch’el
duca di Borgogna et di Milano
finisser
le lor liti nanti a Pluto.
Auspichiamo
che il presente saggio contribuisca a capire la prodigiosa macchina
del tempo di cui il ‘Pericle’ di Mantova, il marchese Ludovico II
Gonzaga, volle coronare la sua città. E quanto rimane di quella
“così cara gioia” ha superato i secoli ed è rimasto a
testimoniare l’antica magnificenza di una città, che fu e dovrà
tornare ad essere una delle capitali europee della cultura, e che già
l’UNESCO ha annoverato a buon diritto con Sabbioneta, patrimonio
dell’umanità.
Leggi il testo commentato di Pietroadamo
de’ Micheli
Firenze,
Biblioteca Nazionale Centrale, inc. E. 6. 4. 21., cc. 77r-115v. c.
77r (p. 1)
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Bibliografia
essenziale:
R.
SIGNORINI,
Fortuna dell’Astrologia a Mantova. Arte. Letteratura. Carte
d’Archivio,
Mantova, Editoriale Sometti, 2007.
R.
SIGNORINI,
Il mirabile orologio di Mantova e diciannove disegni inediti del
1706,
Mantova, Editoriale Sometti, 2011.
Note biografiche
relative all’autore