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COSMOGONIE
il grande mistero dell’universo esplorato da
Paolo Barlusconi
progetto culturale interdisciplinare a cura di Michele Caldarelli

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Rodolfo Signorini

IL CIELO IN PIAZZA
Il “nobilissimo horologio”di Mantova

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«[...] dir possiamo Mantova esser generata dal cielo e come amante et amorevol figlia hora esso cielo creato et di material materia fabricato tenirlo e nodrirlo in seno, altiera e superba che sola possiede quello che in altra parte de il mondo non se trova». Così scriveva fra l’altro Timoteo Orsini Bartholdi, il 20 maggio 1560, a Francesco Filòpono, l’umanista, giureconsulto, matematico e astronomo che tredici giorni prima gli aveva inviato la copia del proprio trattato sull’eccellenza, parti e uso dell’horologio di Mantova (conservato presso la Biblioteca Universitaria di Padova, ms 926, e, in copia ottocentesca, nella Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova, ms 999 [HIV 12], la cui portentosa macchina, guastata «dall’ignorante presontione di quelli a’ quali apparteniva diffenderla e lodarla [...]», egli aveva saputo perfettamente ripristinare nelle sue mirabili funzioni. Al termine di tanta fatica, che gli aveva rivelata tutta la genialità di quella creazione astronomico-astrologica, non aveva saputo tacere al terzo duca di Mantova, Guglielmo Gonzaga, il proprio orgoglio d’essere riuscito nell’impresa, per cui poteva dichiarare a buon diritto: «Io son el pietoso Enea» (En. I 378). Infatti era stato in grado di correggere, regolare e rinnovare quel prodigio di meccanica, e da «morto» ch’esso era, l’aveva restituito alla vita. Dal suo ideatore quel complicato congegno era stato costruito «corottibile e non conosciuto», egli invece, con il suo trattato, l’aveva reso «perpetuo ed eterno».

Nel 1989 tanta macchina è stata ricostruita da Alberto Gorla e, con il ripristino dell’orologio di Bartolomeo Manfredi, Mantova è tornata a riappropriarsi di quel cielo tolemaico che un tempo fu suo, e può nuovamente, per così dire, godere del privilegio celeste di conoscerne i mirabili «effetti» grazie a colui che introdusse l’arte della stampa in Mantova (1471), il già ricordato giureconsulto e letterato mantovano Pietroadamo de’ Micheli. Egli ci ha infatti lasciato un’affascinante descrizione dell’orologio in un raro incunabolo databile dopo il dicembre del 1473 (probabilmente 1474) e conservato nella Biblioteca Civica «Angelo Mai» di Bergamo (segn. 5/35), nella Biblioteca Universitaria di Bologna [(segn.A.V.B.X. 11; errata la sequenza dei fascicoli, cc. 6r-27v (recte 18r-39v); cc.28r-39r (recte 6r-17r)], nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (segn. E. 6.4.21) e nella Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova (508), esemplare mutilo dell’introduzione e danneggiato particolarmente alle cc.17, 18, 33 e 34. Mario Equicola ha celebrato l’orologio come uno dei meriti del marchese Ludovico II Gonzaga, principe colto e mecenate (Chronica di Mantua, 1521, pp. Siiiiv-[Svv] (278-280)

L’opera d Pietroadamo fu ristampata, in testo facilitato, a Mantova, nel 1547, da Giacomo Ruffinelli. La riedizione è priva dell’introduzione e della parte relativa alle «Regule de trouar furti», ma possiede il grande vantaggio di recare in frontespizio l’immagine del quadrante dell’orologio retto sulle spalle da Ercole.Alla destra dell’eroe è raffigurato un personaggio con un berretto coronato in capo. Potrebbe essere Atlante, il titano che fu costretto da Giove a sorreggere il cielo e che per breve tempo cedette quel compito ad Ercole. Ma, secondo una leggenda più tarda, Atlante sarebbe stato re della Mauritania. Un altro mito narra che Atlante avrebbe invece istruito Ercole nell’astrologia, per questo si dice che Ercole lo abbia temporaneamente alleggerito del peso del cielo (Diodoro Siculo, III 60 e IV, 27). La figura virile alla sinistra di Ercole, con un turbante orientale in capo, rappresentata nell’atto di reggere due libri con la mano sinistra e di osservare il cielo, potrebbe essere Claudio Tolomeo, colui che teorizzò il sistema geocentrico del cosmo e scrisse fra l’altro l’Almagesto e il Tetràbiblos (Previsioni Astrologiche), vissuto ad Alessandria d’Egitto nel II sec. d.C. La suddetta immagine ha costituito il modello per la recente ricostruzione dell’antico quadrante.

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Descrizione del quadrante antico

Nell’introduzione al suo libretto Pietroadamo indugia nella narrazione di sapore decameroniano di un proprio sogno. Sul far di un mattino gli parve di vedere Lombardia in forma di giardino, percorso da un rivo lungo e sinuoso, il Po. E le città lombarde erano donne, assise quali più, quali meno vicine al fiume. Mantova era la più bella e vestita di nuovo. Se ne stava sotto un lauro (simbolo della poesia virgiliana), seduta accanto allo sposo, il marchese Ludovico II, e fra loro erano solo continui sguardi, dolci e innamorati. La «bella donna» si tolse dal seno uno specchio donatole dal consorte e tale da consentire, a chiunque vi si specchiasse, di conoscere «molte cose future et presenti ad altri incognite». La «valorosa donna» chiese a Pietroadamo di rivelarle l’«occulta virtù» di quella «cara gioia», ed egli, dopo aver a lungo fissato lo specchio, vi scorse un volto umano, tutto dorato. E già stava per rispondere alla «cara donna» quando il sogno s’interruppe.Ma egli se ne ricordò bene il giorno che sulla torre di piazza fu scoperto l’orologio e nel disco raggiante del Sole ravvisò quel dorato volto umano che aveva contemplato nello specchio sognato. Così, non avendolo potuto fare dormendo, decise di soddisfare il desiderio della propria città da sveglio, scrivendo il suddetto libretto, esplicativo dell’ostensorio e dei suoi «effetti». È a questo punto che Pietroadamo, pieno di gratitudine nei confronti del «liberalissimo» donatore di «sì cara gioia», non sa tacere un commosso elogio di Mantova e dei propri tempi privilegiati.
«O gloriosa et felicissima cità, sempre de spiriti gentil fecunda matre e antiquo albergo, qual sì retroso o de virtù svogliato in te si troverà, ch’el mirrabil effetto de così cara e pretiosa gemma intender non voglia? O felicissimi noi, ad questi tempi riservati!».
Facciamo osservare che, prima di concludere l’introduzione, Pietroadamo definisce «tripartito» il suo «libretto», ma la prima «particella», che doveva trattare di cosmologia, di geografia e di astrologia, non figura in nessuno degli esemplari da noi conosciuti.
Rivolto verso Nord-Ovest (312° ca), l’orologio ha l’oriente a sinistra, verso la reggia del principe, e l’occidente in direzione dell’antico quartiere di San Giacomo, compreso fra le attuali vie Giuseppe Verdi e Domenico Fernelli, piazza Carlo d’Arco e viale Alberto Pitentino, corso Umberto I, via della Libertà e via Giovanni Chiassi. La chiesa di San Giacomo, che dava il nome al borgo, sorgeva presso il Rio e la porta Leona (già porta delle Quattro Porte), all’inizio dell’attuale corso Vittorio Emanuele II. Una tettoia di marmo (originale) ripara il quadrante, ch’era coronato di dodici tondi contenenti i ritratti di altrettanti (o tredici, dal momento che uno dei dipinti superstiti presenta due figure?) «famosi et doctissimi homini, quali in geometria, quali in arithmetica, quali in musica et quali in astrologia» (le Arti Liberali del Quadrivio), poiché se l’astrologia è la «madonna», le altre ne sono le «serve» indispensabili. Il più alto di quei tondi fu in seguito sacrificato per collocarvi il globo della Luna (mezzo nero e mezzo dorato), sormontato da una corona, recante ancora dipinti in nero i giorni lunari 6, 9, 12 e 15, e poche tracce di doratura.
Più all’interno, incorniciata da una «festa dorata» (l’attuale festone costituito da un ramo d’alloro con le bacche dorate) si leggevano le ventiquattro ore dette «del vulgo» (cioè quelle computate da un tramonto all’altro), scritte in cifre romane, nere su fondo bianco. La I ora era segnata in occidente e via via, in senso orario, seguivano le altre, cosicché l’ora XXIIII finiva anch’essa in occidente, al di sopra della I ora. L’ora XVIII era tracciata in cima al quadrante, e la fine di quell’ora corrispondeva al mezzogiorno. Al punto opposto, il termine della VI ora corrispondeva alla mezzanotte. Va inoltre ricordato che mentre oggi si considera giorno il periodo di ventiquattro ore che va da una mezzanotte all’altra, allora il giorno andava da un tramonto all’altro o a circa mezz’ora dopo, al suono dell’Avemaria. La prima ora del nuovo giorno era dunque la prima ora di notte, e mutava con il graduale variare delle stagioni.
Sulla fascia d’intonaco che circonda la cavità ricavata nello spessore del muro per sistemarvi i meccanismi astronomico-astrologici, collegati con i treni del tempo e della suoneria, collocati nella camera interna della torre, erano dipinte sul muro ventiquattro fasce, dodici bianche e dodici nere, corrispondenti alle ore diurne e notturne. Esse servivano per determinare quale dei sette pianeti (Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio, Luna) fosse dominatore di una certa ora del dì o della notte. Le dodici fasce bianche erano divise da linee nere e numerate in nero, da oriente a occidente, in cifre arabe, da 1 a 12. Quelle nere erano divise da linee bianche e numerate in bianco, in cifre arabe, da occidente a oriente, da 1 a 12. Aggiunge il Filòpono che nelle fasce bianche d’inverno si ravvisavano le ore diurne e d’estate quelle notturne; nelle nere, d’estate si riconoscevano le ore diurne e d’inverno quelle notturne.
Veniva quindi l’ostensorio, con i dodici segni zodiacali (Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci), in rame, «fatti de relevo», ossia a sbalzo, «et dorati». Ogni segno recava sul bordo esterno trenta tratti, alternamente bianchi e neri, corrispondenti a 30°. Sporgevano dal bordo sei scudetti d’oro, uno ogni cinque gradi. Pertanto ogni segno dello zodiaco era irto di sei scudetti, e l’intera circonferenza zodiacale merlata di settantadue scudetti.Essi dovevano servire a coloro che, a causa dell’altezza dell’orologio, per difficoltà visive non potevano leggere i gradi. Fissato allo zodiaco, dal primo grado di Bilancia al trentesimo di Pesci, era un semicerchio azzurro, immagine dell’equatore celeste. Esso era segnato di trentasei punti d’oro, uno ogni 5° dei sei sottostanti segni zodiacali (Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci). La fascia dello zodiaco (assieme al semicerchio azzurro) ruotava in senso orario, da oriente a occidente e da occidente a oriente, compiendo un giro intero su se stessa in ventiquattro ore, avanzando tuttavia di poco più di 1° al giorno.
Il volto aureolato del Sole, era collocato fra i giorni 15 e 16 della fascia dell’età della Luna. Un raggio più lungo saliva dal disco solare fino ai segni zodiacali ad indicare in quale segno e in quale grado del medesimo si trovava il luminare diurno.
La fascia dell’età della Luna, tutta radiante anch’essa, era divisa in dieci parti da liste d’oro e numerata in cifre arabe e in senso antiorario, di tre in tre, fino a 27. Nella decima ed ultima parte era scritto 29 (1/2). Il
mese sinodico (il periodo compreso fra due Lune Nuove, ossia il tempo impiegato dalla Luna per compiere il suo giro di 360° e tornare al punto di partenza rispetto al Sole e alla Terra) è infatti mediamente di 29 g 12 h 44’. Ognuna delle prime nove parti corrispondeva a tre giorni, la decima a due giorni e mezzo; per questo tutte erano divise al loro interno da due punti d’oro. Prendiamo, per intenderci, la parte segnata 3. Lo spazio compreso fra la prima lista d’oro e il primo punto d’oro equivale al giorno 1; lo spazio compreso fra i due punti d’oro rappresenta il giorno 2; lo spazio compreso fra il secondo punto d’oro e la seconda lista d’oro corrisponde al giorno 3, e così di seguito.
Il disco centrale era occupato dalla figura di Latona, madre di Selene e di Apollo ossia della Luna e del Sole. Sopra di essa era scritto il nome:
Latona. Sul capo le brillava dorato il crescente lunare (il primo spicchio di Luna). Adagiato alla sua destra un cerbiatto (?) le rivolgeva il muso. Ella stava seduta, con le braccia aperte. Con una freccia che teneva nella mano sinistra indicava il disco della Luna che, secondo il succedersi delle fasi lunari, di volta in volta imbiancava o anneriva. Al disco della Luna era unito un raggio dorato che si prolungava fino ai gradi dei segni zodiacali a indicare così in quale segno e a quale grado del medesimo si trovava il pianeta. Con la mano destra Latona mostrava sulla corona dell’età della Luna in quale giorno del suo ciclo si trovava il luminare notturno. Assieme allo Zodiaco, al disco del Sole e alla fascia dell’età della Luna la dea compiva un intero giro su se stessa in senso orario circa in ventiquattro ore, mentre il raggio connesso con il disco lunare e Latona stessa si spostavano lungo lo zodiaco, in senso antiorario (secondo la sequenza dei giorni lunari), circa 13° al giorno.
I punti cardinali dell’orologio erano: a oriente, l’angolo orientale o Ascendente o prima Casa (dove confinano la prima fascia bianca e la dodicesima fascia nera); a occidente, l’angolo occidentale o Discendente o settima Casa (dove confinano la dodicesima fascia bianca e la prima fascia nera); a meridione, il Mezzo Cielo (
Medium Coeli) o decima Casa (sulla verticale della linea divisoria dell’ora XVIII dall’ora XIX); a settentrione, l’Imo Cielo (Imum Coeli) o angolo della Terra o di mezzanotte o quarta Casa (sulla verticale della linea divisoria dell’ora VI dall’ora VII).

Gli «effetti» dell’orologio

L’orologio aveva otto «effetti», scrive Pietroadamo (ma dodici ne elenca il Filòpono):
I) «El primo è di sapere quante hore sono secundo el vulgo, cioè quante hore son passate doppo el tramontar del Sole»;
II) «El secundo serà di sapere, anci, vedere continuamente in quale signo [zodiacale] et in qual grado serà il Sole»;
III) «El terzo serà di sapere et vedere similmente in qual signo et grado serà continuamente la Luna et quanti zorni haverà et quanta se vederà, cioè se la serà rotunda o meza, piena o vòta, et in qual parte serà, cioè in oriente o in occidente, et quando la se farà [Luna Nuova] et quando la darà volta [Luna Piena], cioè quando la serà in coniunctione [con il Sole] et quando in oppositione [al Sole], et quando serà in quadratura [I quarto, quando la distanza angolare del Sole dalla Luna è di 90°] o mezza quadratura [quando la distanza angolare è di 45°], o in aspetto sextile [quando il Sole e la Luna distano fra loro della sesta parte dello zodiaco, ossia di 60°] o trigono [quando i due astri distano fra loro di 120°], col Sole dextro [a destra] o sinistro [a sinistra]»;
IV) «El quarto effetto serà di sapere li quatro anguli del cielo [i punti cardinali], cioè qual signo [zodiacale] et qual grado serà in Ascendente, o ver in oriente; qual serà in Mezo Cielo [il
Medium Coeli è il punto d’incontro fra il meridiano locale (quindi di Mantova) con la circonferenza tracciata dal Sole nel suo apparente motto attorno alla Terra (eclittica).Esso si trova a meridione (ossia sulla sommità del quadrante) ed è il punto più alto sullo zodiaco occupato dal Sole a mezzogiorno]; qual serà in occidente [Discendente] et qual serà in Meza Notte, o ver angulo de la Terra [l’Imum Coeli indica il settentrione e si trova al punto opposto del Medium Coeli]»;
V) «El quinto effetto è di sapere le hore dî sette pianeti, cioè qual pianeta regna qualunque hora, perché sempre regna mo un pianeta, mo un altro [...]»;
VI) «El sexto effetto è di sapere le hore particulari de’ Mantuani, cioè la campana del dì [mattutino, ovvero l’Avemaria del mattino, che si suonava con la squilla, la campana più piccola del campanile], l’Offitiala da matina [si suonava al sorgere del Sole], Terza [si suonava a metà mattina], Nona [si suonava a mezzodì], Offitiala da mezzodì [si suonava un’ora dopo il mezzogiorno] et meza notte [notturno (?)], cioè ad qual hora sona ciascuna de loro [...]»;
VII) El septimo effetto è di sapere le ore dî astrologi, cioè quante hore siano passate doppo el mezo dì, secundo el qual modo ozidì se usa per tutta la Alemagna, dove, quando egli è precisamente mezo dì, alora sonano vintiquatro hore»;
VIII) «L’octavo et ultimo effetto è di sapere continuamente quanto sia longo el dì et la note da ogni tempo».
Per la lettura degli «effetti» si faceva sempre riferimento al disco del Sole, al di sotto del quale ruota lo Zodiaco.

* * *

Molti altri, interessantissimi responsi dava l’orologio, relativi a diverse attività umane, dall’agricoltura all’artigianato, dalla mercatura alla medicina; ma per questo si veda il testo di Pietroadamo de’ Micheli riportato qui di seguito. Tuttavia, prima di concludere non vorremmo tacere un altro, sorprendente «effetto» di quest’orologio: esso consentiva anche di scovare i ladri e, a volte, di recuperare la refurtiva. Pietroadamo produce numerosi esempi in proposito. Qui basti il seguente, per cui l’autore cita l’autorità di Haly Halbohazen, che scrisse sull’argomento al capitolo 34 (In latrone et furto) del Liber in iudiciis stellarum:
«Dice Ha
ly’ che secundo ch’el Sole è in signo orientale, occidentale, meridionale o setentrionale, così la casa del latro è verso oriente, occidente, mezo dì o setentrione, guardando dal loco dove è fatto el furto. Et così, secundo el signo nel qual è la Luna, così a quella parte guarda la porta del latro, et secundo che la Luna è grande o picola, cioè piena o vòta, così la porta è grande o picola».
Dopo il ripristino compiuto dal Filòpono tanta macchina tornò a guastarsi e, scrisse il Davari, fu nuovamente accomodata nel 1593. In sèguito il congegno dovette nuovamente deteriorarsi, al punto che (cito ancora il Davari), «nel 1722, per le difficoltà di trovare un artefice atto a restituirlo nelle sue primitive condizioni, si pensò di limitare il meccanismo all’attuale movimento delle ore e dei minuti [...]».

* * *

Con la riattivazione dell’antico orologio del Manfredi (25 ottobre 1989), grazie all’impegno del sindaco Vladimiro Bertazzoni, al generoso mecenatismo della Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona, e alla geniale maestria di Alberto Gorla, che coniuga in sé il talento del fabbro e la passione dell’orologiaio-astronomo, è stata compiuta un’opera culturale altamente civile e di portata storica. L’antica campana del 1296, oggi confinata in luogo del tutto improprio, aperto all’aria e all’incuria dei passanti, ai piedi della scala d’accesso al Palazzo delle Ragione, primo vano a sinistra (mentre merita una collocazione degna della sua antichità e del suo valore storico e documentario), è stata sostituita da una nuova eseguita dalla ditta Capanni di Castelnuovo ne’ Monti (Reggio Emilia). Tutti i lavori (compreso il restauro della statua in cotto della Vergine Immacolata del 1639) sono stati seguiti, per conto della Soprintendenza, dall’arch. Roberto Soggia e dal dott. Franco Negrini, per il Comune, dall’ing.Marzio Malaguti. Ma nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza le preziose testimonianze documentarie lasciateci dal Filòpono e dal de’ Micheli, che così concludeva il suo trattato:
«Usa adonque discretamente queste regulette, tutte ellette e d’oro, ch’io ti ho datte, secundo el modo soprascritto, le quali, son certissimo, ti seranno di grandissima utilità e piacere, et lauda sempre il summo e glorioso Idio, che così alta e sublime scientia ha revellata a l’homo». Parole che, in verità, contrastano con i seguenti versi dello stesso Pietroadamo (conservati presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms Magliabechiano II IV 723, c.74r), scritti «contra quelli che vogliano predire le cose future», in cui si dichiara l’inutilità dell’astrologia, dal momento che i progetti umani non s’accordano mai con la volontà divina. Il sonetto fu composto fra il 5 giugno 1477 (data della morte in battaglia di Carlo,
il Temerario, duca di Borgogna, qui menzionato assieme a Galeazzo Maria Sforza, ucciso il 26 dicembre 1476) e il 15 (o 14?) agosto 1481, giorno dell’assassinio del De’ Micheli:

Termina l’homo et tucto il mondo parte.

O insensata cura, o cechi ingegni!

Et prophetiza, per veder nei segni

Iove benigno e ’l furibundo Marte.

Ma Dio ne ride, et sta là su, et comparte

richezze, signorie, thesori et regni,

et fa che nostre fabule et disegni

sempre falliscon el pensier et l’arte.

Cesar, che tucto il mondo prese in mano,

vedi come li ruppe Cassio et Bruto

il gran disegno et fe’ suo pensier vano.

Né harebbe Ptholomeo antiveduto

ch’el duca di Borgogna et di Milano

finisser le lor liti nanti a Pluto.


Auspichiamo che il presente saggio contribuisca a capire la prodigiosa macchina del tempo di cui il ‘Pericle’ di Mantova, il marchese Ludovico II Gonzaga, volle coronare la sua città. E quanto rimane di quella “così cara gioia” ha superato i secoli ed è rimasto a testimoniare l’antica magnificenza di una città, che fu e dovrà tornare ad essere una delle capitali europee della cultura, e che già l’UNESCO ha annoverato a buon diritto con Sabbioneta, patrimonio dell’umanità.

Leggi il testo commentato di Pietroadamo de’ Micheli

Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, inc. E. 6. 4. 21., cc. 77r-115v. c. 77r (p. 1)

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Bibliografia essenziale:

R. SIGNORINI, Fortuna dell’Astrologia a Mantova. Arte. Letteratura. Carte d’Archivio, Mantova, Editoriale Sometti, 2007.

R. SIGNORINI, Il mirabile orologio di Mantova e diciannove disegni inediti del 1706, Mantova, Editoriale Sometti, 2011.





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