OPERETTE MORALI - 8 "DIALOGO DELLA TERRA E DELLA LUNA" 1824 di GIACOMO LEOPARDI (1798 - 1837)
Terra.
Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere; per essere una
persona; secondo che ho inteso molte volte da' poeti: oltre che i
nostri fanciulli dicono che tu veramente hai bocca, naso e occhi,
come ognuno di loro; e che lo veggono essi cogli occhi propri; che in
quell'età ragionevolmente debbono essere acutissimi. Quanto a me,
non dubito che tu non sappi che io sono né più né meno una
persona; tanto che, quando era più giovane, feci molti figliuoli:
sicché non ti maraviglierai di sentirmi parlare. Dunque, Luna mia
bella, con tutto che io ti sono stata vicina per tanti secoli, che
non mi ricordo il numero, io non ti ho fatto mai parola insino
adesso, perché le faccende mi hanno tenuta occupata in modo, che non
mi avanzava tempo da chiacchierare. Ma oggi che i miei negozi sono
ridotti a poca cosa, anzi posso dire che vanno co' loro piedi; io non
so che mi fare, e scoppio di noia: però fo conto, in avvenire, di
favellarti spesso, e darmi molto pensiero dei fatti tuoi; quando non
abbia a essere con tua molestia. Luna.
Non dubitare di cotesto. Così la fortuna mi salvi da ogni altro
incomodo, come io sono sicura che tu non me ne darai. Se ti pare di
favellarmi, favellami a tuo piacere; che quantunque amica del
silenzio, come credo che tu sappi, io t'ascolterò e ti risponderò
volentieri, per farti servigio.
Terra.
Senti tu questo suono piacevolissimo che fanno i corpi celesti coi
loro moti? Luna.
A dirti il vero, io non sento nulla. Terra.
Né pur io sento nulla, fuorché lo strepito del vento che va da'
miei poli all'equatore, e dall'equatore ai poli, e non mostra saper
niente di musica. Ma Pitagora dice che le sfere celesti fanno un
certo suono così dolce ch'è una maraviglia; e che anche tu vi hai
la tua parte, e sei l'ottava corda di questa lira universale: ma che
io sono assordata dal suono stesso, e però non l'odo. Luna.
Anch'io senza fallo sono assordata; e, come ho detto, non l'odo: e
non so di essere una corda. Terra.
Dunque mutiamo proposito. Dimmi: sei tu popolata veramente, come
affermano e giurano mille filosofi antichi e moderni, da Orfeo sino
al De la Lande? Ma io per quanto mi sforzi di allungare queste mie
corna, che gli uomini chiamano monti e picchi; colla punta delle
quali ti vengo mirando, a uso di lumacone; non arrivo a scoprire in
te nessun abitante: se bene odo che un cotal Davide Fabricio, che
vedeva meglio di Linceo, ne scoperse una volta certi, che spandevano
un bucato al sole. Luna.
Delle tue corna io non so che dire. Fatto sta che io sono
abitata. Terra.
Di che colore sono cotesti uomini? Luna.
Che uomini? Terra.
Quelli che tu contieni. Non dici tu d'essere abitata? Luna.
Sì, e per questo? Terra.
E per questo non saranno già tutte bestie gli abitatori tuoi. Luna.
Né bestie né uomini; che io non so che razze di creature si sieno
né gli uni né l'altre. E già di parecchie cose che tu mi sei
venuta accennando, in proposito, a quel che io stimo, degli uomini,
io non ho compreso un'acca. Terra.
Ma che sorte di popoli sono coteste? Luna.
Moltissime e diversissime, che tu non conosci, come io non conosco le
tue. Terra.
Cotesto mi riesce strano in modo, che se io non l'udissi da te
medesima, io non lo crederei per nessuna cosa del mondo. Fosti tu mai
conquistata da niuno de' tuoi? Luna.
No, che io sappia. E come? e perché? Terra.
Per ambizione, per cupidigia dell'altrui, colle arti politiche, colle
armi. Luna.
Io non so che voglia dire armi, ambizione, arti politiche, in somma
niente di quel che tu dici. Terra.
Ma certo, se tu non conosci le armi, conosci pure la guerra: perché,
poco dianzi, un fisico di quaggiù, con certi cannocchiali, che sono
instrumenti fatti per vedere molto lontano, ha scoperto costì una
bella fortezza, co' suoi bastioni diritti; che è segno che le tue
genti usano, se non altro, gli assedi e le battaglie murali. Luna.
Perdona, monna Terra, se io ti rispondo un poco più liberamente che
forse non converrebbe a una tua suddita o fantesca, come io sono. Ma
in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le
cose di qualunque parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la
natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti puntualmente
da per tutto. Io dico di essere abitata, e tu da questo conchiudi che
gli abitatori miei debbono essere uomini. Ti avverto che non sono; e
tu consentendo che sieno altre creature, non dubiti che non abbiano
le stesse qualità e gli stessi casi de' tuoi popoli; e mi alleghi i
cannocchiali di non so che fisico. Ma se cotesti cannocchiali non
veggono meglio in altre cose, io crederò che abbiano la buona vista
de' tuoi fanciulli; che scuoprono in me gli occhi, la bocca, il naso,
che io non so dove me gli abbia. Terra.
Dunque non sarà né anche vero che le tue province sono fornite di
strade larghe e nette; e che tu sei coltivata; cose che dalla parte
della Germania, pigliando un cannocchiale, si veggono
chiaramente. Luna.
Se io sono coltivata, io non me ne accorgo, e le mie strade io non le
veggo Terra.
Cara Luna, tu hai a sapere che io sono di grossa pasta e di cervello
tondo; e non è maraviglia che gli uomini m'ingannino facilmente. Ma
io ti so dire che se i tuoi non si curano di conquistarti, tu non
fosti però sempre senza pericolo: perché in diversi tempi, molte
persone di quaggiù si posero in animo di conquistarti esse; e a
quest'effetto fecero molte preparazioni. Se non che, salite in luoghi
altissimi, e levandosi sulle punte de' piedi, e stendendo le braccia,
non ti poterono arrivare. Oltre a questo, già da non pochi anni, io
veggo spiare minutamente ogni tuo sito, ricavare le carte de' tuoi
paesi, misurare le altezze di cotesti monti, de' quali sappiamo anche
i nomi. Queste cose, per la buona volontà ch'io ti porto, mi è
paruto bene di avvisartele, acciò che tu non manchi di provvederti
per ogni caso. Ora, venendo ad altro, come sei molestata da' cani che
ti abbaiano contro? Che pensi di quelli che ti mostrano altrui nel
pozzo? Sei tu femmina o maschio? perché anticamente ne fu varia
opinione. È vero o no che gli Arcadi vennero al mondo prima di te?
che le tue donne, o altrimenti che io le debba chiamare, sono
ovipare; e che uno delle loro uova cadde quaggiù non so quando? che
tu sei traforata a guisa dei paternostri, come crede un fisico
moderno?che sei fatta, come affermano alcuni Inglesi, di cacio
fresco? che Maometto un giorno, o una notte che fosse, ti spartì per
mezzo, come un cocomero; e che un buon tocco del tuo corpo gli
sdrucciolò dentro alla manica? Come stai volentieri in cima dei
minareti? Che ti pare della festa del bairam? Luna.
Va pure avanti; che mentre seguiti così, non ho cagione di
risponderti, e di mancare al silenzio mio solito. Se hai caro
d'intrattenerti in ciance, e non trovi altre materie che queste; in
cambio di voltarti a me, che non ti posso intendere, sarà meglio che
ti facci fabbricare dagli uomini un altro pianeta da girartisi
intorno, che sia composto e abitato alla tua maniera. Tu non sai
parlare altro che d'uomini e di cani e di cose simili, delle quali ho
tanta notizia, quanta di quel sole grande grande, intorno al quale
odo che giri il nostro sole. Terra.
Veramente, più che io propongo, nel favellarti, di astenermi da
toccare le cose proprie, meno mi vien fatto. Ma da ora innanzi ci
avrò più cura. Dimmi: sei tu che ti pigli spasso a tirarmi l'acqua
del mare in alto, e poi lasciarla cadere? Luna.
Può essere. Ma posto che io ti faccia cotesto o qualunque altro
effetto, io non mi avveggo di fartelo: come tu similmente, per quello
che io penso, non ti accorgi di molti effetti che fai qui; che
debbono essere tanto maggiori de' miei, quanto tu mi vinci di
grandezza e di forza. Terra.
Di cotesti effetti veramente io non so altro se non che di tanto in
tanto io levo a te la luce del sole, e a me la tua; come ancora, che
io ti fo gran lume nelle tue notti, che in parte lo veggo alcune
volte. Ma io mi dimenticava una cosa che importa più d'ogni altra.
Io vorrei sapere se veramente, secondo che scrive l'Ariosto, tutto
quello che ciascun uomo va perdendo; come a dire la gioventù, la
bellezza, la sanità, le fatiche e spese che si mettono nei buoni
studi per essere onorati dagli altri, nell'indirizzare i fanciulli ai
buoni costumi, nel fare o promuovere le instituzioni utili; tutto
sale e si raguna costà: di modo che vi si trovano tutte le cose
umane; fuori della pazzia, che non si parte dagli uomini. In caso che
questo sia vero, io fo conto che tu debba essere così piena, che non
ti avanzi più luogo; specialmente che, negli ultimi tempi, gli
uomini hanno perduto moltissime cose (verbigrazia l'amor patrio, la
virtù, la magnanimità, la rettitudine), non già solo in parte, e
l'uno o l'altro di loro, come per l'addietro, ma tutti e interamente.
E certo che se elle non sono costì, non credo si possano trovare in
altro luogo. Però vorrei che noi facessimo insieme una convenzione,
per la quale tu mi rendessi di presente, e poi di mano in mano, tutte
queste cose; donde io penso che tu medesima abbi caro di essere
sgomberata, massime del senno, il quale intendo che occupa costì un
grandissimo spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini tutti gli anni
una buona somma di danari. Luna.
Tu ritorni agli uomini; e, con tutto che la pazzia, come affermi, non
si parta da' tuoi confini, vuoi farmi impazzire a ogni modo, e levare
il giudizio a me, cercando quello di coloro; il quale io non so dove
si sia, né se vada o resti in nessuna parte del mondo; so bene che
qui non si trova; come non ci si trovano le altre cose che tu
chiedi. Terra.
Almeno mi saprai tu dire se costì sono in uso i vizi, i misfatti,
gl'infortuni, i dolori, la vecchiezza, in conclusione i mali? intendi
tu questi nomi? Luna.
Oh cotesti sì che gl'intendo; e non solo i nomi, ma le cose
significate, le conosco a maraviglia: perché ne sono tutta piena, in
vece di quelle altre che tu credevi. Terra.
Quali prevalgono ne' tuoi popoli, i pregi o i difetti? Luna.
I difetti di gran lunga. Terra.
Di quali hai maggior copia, di beni o di mali? Luna.
Di mali senza comparazione. Terra.
E generalmente gli abitatori tuoi sono felici o infelici? Luna.
Tanto infelici, che io non mi scambierei col più fortunato di
loro. Terra.
Il medesimo è qui. Di modo che io mi maraviglio come essendomi sì
diversa nelle altre cose, in questa mi sei conforme. Luna.
Anche nella figura, e nell'aggirarmi, e nell'essere illustrata dal
sole io ti sono conforme; e non è maggior maraviglia quella che
questa: perché il male è cosa comune a tutti i pianeti
dell'universo, o almeno di questo mondo solare, come la rotondità e
le altre condizioni che ho detto, né più né meno. E se tu potessi
levare tanto alto la voce, che fossi udita da Urano o da Saturno, o
da qualunque altro pianeta del nostro mondo; e gl'interrogassi se in
loro abbia luogo l'infelicità, e se i beni prevagliano o cedano ai
mali; ciascuno ti risponderebbe come ho fatto io. Dico questo per
aver dimandato delle medesime cose Venere e Mercurio, ai quali
pianeti di quando in quando io mi trovo più vicina di te; come anche
ne ho chiesto ad alcune comete che mi sono passate dappresso: e tutti
mi hanno risposto come ho detto. E penso che il sole medesimo, e
ciascuna stella risponderebbero altrettanto. Terra.
Con tutto cotesto io spero bene: e oggi massimamente, gli uomini mi
promettono per l'avvenire molte felicità. Luna.
Spera a tuo senno: e io ti prometto che potrai sperare in
eterno. Terra.
Sai che è? questi uomini e queste bestie si mettono a romore: perché
dalla parte della quale io ti favello, è notte, come tu vedi, o
piuttosto non vedi; sicché tutti dormivano; e allo strepito che noi
facciamo parlando, si destano con gran paura. Luna.
Ma qui da questa parte, come tu vedi, è giorno. Terra.
Ora io non voglio essere causa di spaventare la mia gente, e di
rompere loro il sonno, che è il maggior bene che abbiano. Però ci
riparleremo in altro tempo. Addio dunque; buon giorno. Luna.
Addio; buona notte.
|